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“Io, militare gay, indignato e offeso dalle ‘sentinelle in piedi’”

In una lettera inviata al Mattino un militare omosessuale scrive: “Oggi, nel 2014 la gente scende in piazza non “per noi” (che potremmo essere i loro figli, fratelli, nipoti, amici) ma “contro” di noi. Tutto ciò mi fa tanto male, mi ricorda che siamo in un paese senza diritti”.
A cura di D. F.
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Non si può dire che l'iniziativa delle "Sentinelle in piedi" sia passata inosservata: se fino a qualche giorno fa la loro "protesta" era pressoché sconosciuta ai più il peso mediatico l'ha fatta balzare agli onori delle cronache: sostengono di voler "vigilare" – leggendo un libro o pregando – sulla salvaguardia della famiglia tradizionale, basata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Sostengono anche che il decreto legge contro l'omofobia sia una violazione del loro diritto di esprimersi liberamente e, se lo ritengono, utilizzare frasi ingiuriose contro i gay. Di fatto domenica le sentinelle si sono date appuntamento in un centinaio di piazze italiane: se nella maggior parte dei casi tutto è filato liscio per loro, talvolta ad accoglierli hanno trovato decine – se non centinaia – di cittadini infuriati. A Bologna, ad esempio, non sono mancati momenti di scontro.

Ebbene, l'iniziativa delle Sentinelle ha fatto molto discutere e – soprattutto da parte degli omosessuali – si è alzata la protesta. Un militare gay, ad esempio, ha scritto una lettera al Mattino che vi riproponiamo integralmente:

Sono un militare e sono gay, ho assistito come tutti alla manifestazione delle "Sentinelle in piedi". Ebbene volevo dirle che sono indignato. Ho ventisette anni e un compagno.
Ripetere per l'ennesima volta che l'omosessualità non è una malattia mi sembra da stupidi, lo sanno anche i muri ormai.

Io ho giurato anni fa di difendere questa nazione dinanzi a una bandiera, e come me mille altri di noi (sia etero, sia gay, sia lesbiche). Mi sembra che giorno dopo giorno mi venga tolto quel poco di diritto che mi rimane.

Vivo male la mia omosessualità a causa di gente come le "sentinelle" a cui non auguro nulla di male, mai.

Vorrei prestargli, se me lo permette, le mie scarpe. A tutti questi meravigliosi individui con le candele ai piedi e i libri fra le mani, vorrei fargli provare il mio cammino, le mie sfide e la cosa più brutta di tutte, tenere nascosta una storia che di nascosto non dovrebbe avere nulla.

Mantenere nascosto un compagno, una vita, un amore. E dire bugie, quelle ormai sono semplici da inventare.

Soffrire in silenzio a lavoro perché se parli dopo vieni additato e mi creda non è bello. Eppure ti fai forza e speri che un domani le cose possano cambiare. Ecco, io vorrei solo un domani poter assistere il mio compagno, in salute e in malattia.

Non ho bisogno di un matrimonio in chiesa, vorrei solo che mi venga riconosciuto in tutto e per tutto il mio compagno, mio marito.

Oggi, nel duemilaquattordici la gente scende in piazza non "per noi" (che potremmo essere i loro figli, fratelli, nipoti, amici) ma "contro" di noi.
Tutto ciò mi fa tanto male, mi ricorda che siamo in un paese senza diritti.

In un paese dove i ragazzi come me, persone normalissime e con interessi, vengono "freddati" da atteggiamenti di questo genere che fanno male.
Più male di un pugno nello stomaco.
Più male di un calcio nei denti.
Silenziosi.
Perché questa cattiveria gratuita e silenziosa fa male al cuore, di chi come me crede sempre che il domani possa sorprenderci.
E invece, caro direttore, devo ricredermi.
Oggi, nel duemilaquattordici, mi sono sentito un po' più solo.
Oggi, nel duemilaquattordici mi sono sentito diverso.

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