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Tonnellate di uva da prosecco distrutte in Veneto: “Ecco perché lo buttiamo via”

In Veneto, dietro la storica annata del prosecco ci sono anche zone d’ombra. Agricoltori costretti a distruggere l’eccesso d’uva per rispettare i limiti di produzione e non perdere i cospicui guadagni legati a questo prestigioso vino italiano. Fanpage.it ha chiesto a due coltivatori del trevigiano il perché di tanto spreco e quali possono essere le conseguenze della corsa all’oro delle bollicine.
A cura di Mirko Bellis
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Vigneti di uva da prosecco (Consorzio tutela Prosecco Doc)
Vigneti di uva da prosecco (Consorzio tutela Prosecco Doc)

In Veneto, la vendemmia di prosecco del 2018 è stata straordinaria. Ma dietro un’annata storica c’è anche il risvolto della medaglia: cantine strapiene costrette a rifiutare l’uva e viticoltori che gettano via l’eccesso di produzione. Dopo la pubblicazione sui social di un video in cui si vede un agricoltore distruggere un intero filare, Fanpage.it ha chiesto a due coltivatori del trevigiano il perché di tanto spreco e quali possono essere i pericoli della corsa all'oro delle bollicine.

“Siamo strapieni di prosecco”

“Nel 2018 la produzione è stata di almeno un 40-50% superiore al previsto e le cantine non erano preparate per stoccare tutto il mosto. So di almeno tre grosse cooperative sociali che hanno rifiutato ulteriori conferimenti perché non sapevano più dove metterlo”, spiega Antonio, un agricoltore della zona. “Siamo stracolmi di prosecco”, conferma una cantina in provincia di Treviso. “Gli agricoltori hanno una quota assegnata e non possono oltrepassarla. Quest’anno, però, quasi tutti i nostri soci hanno avuto un eccesso di produzione. Non possono vendere l’uva al di fuori di noi, anche se sicuramente qualcuno ha trovato canali illeciti per smaltire quello che noi abbiamo rifiutato. E, purtroppo, sono molti quelli che hanno distrutto l’uva perché non la possono lasciare sulle viti”. “La vite soffre se non la vendemmiamo”, puntualizza Antonio.

Perché gli agricoltori distruggono l’eccesso di uva?

“Per fortuna non ho dovuto buttare il mio raccolto – continua l’agricoltore trevigiano – però conosco un viticoltore che ha distrutto 12 ettari piantati a prosecco”. “Il disciplinare del Consorzio di tutela del Prosecco parla chiaro”, afferma Giuseppe, un altro coltivatore diretto. “Non si possono produrre più di 180 quintali per ettaro, con una margine del 20% in più destinato a riserva. Se quest’anno quindi ne ho prodotti 300, tutto il mosto ricavato avrà una qualità più scadente. Vale per tutte le piante: a maggiore quantità di frutta corrisponde una qualità più scadente. Parlando di uva, questo significa che, in caso di eccesso, si è costretti a destinare l’intera produzione a vino di minore qualità, un bianco generico ad esempio. Ma nessun agricoltore vorrà farlo perché ci rimetterà: per cui rispetterà il limite e il resto lo distrugge”.

Nient’altro che prosecco: le conseguenze della monocoltura

La coltivazione delle tanto pregiate bollicine ha un’altra importante conseguenza: la monocoltura rischia di "inghiottire" gli altri prodotti agricoli e la stessa varietà di vino che finirà in bottiglia. “Le cantine pagano l’uva da prosecco a 1,10 euro al chilogrammo mentre le varietà di rosso arrivano a 16 centesimi. E’ ovvio che tutti vogliano piantare prosecco. I margini di guadagno, poi, sono ottimi”, precisa Antonio. Anche Giuseppe ammette: “Nessun’altra coltivazione in questo momento dà così tanto rendimento. Se un agricoltore pianta mais o frumento, con i prezzi attuali, finisce in perdita. La monocoltura del prosecco – prosegue – ha portato a non produrre più altre varietà di vino. Così adesso si vendemmia nell'arco di una settimana (quella dell’uva da prosecco, ndr) e le cantine, con la super annata che abbiamo avuto, si sono trovate ʽingolfateʼ. Anche se abbiamo diradato le viti a giugno-luglio, la quantità di uva è stata straordinaria”.

Il boom delle bollicine: tra grossi guadagni e qualche furbizia

Nelle colline di Conegliano e in tutto il Veneto orientale in questi anni è stato un proliferare di aziende agricole che hanno iniziato a coltivare prosecco. Il facile guadagno ha spinto sempre più imprenditori, vinicoli e non, a investire grossi capitali sulle bollicine. Ma capita anche che, tra le 181 case spumantistiche e 433 vinificatori che operano sul territorio, ci sia qualcuno che prova a fare il furbo. Un’altra delle caratteristiche di questo vino così amato in tutto il mondo, infatti, è la gradazione alcolica stabilita dal Consorzio di tutela. Il 29 settembre, in un’operazione condotta dai Nas in due note aziende vitivinicole di Valdobbiadene e Refrontolo, i carabinieri hanno sequestrato oltre settemila litri di vino, mosto e sostanze adulteranti usate per aumentare la gradazione, per un valore complessivo di tre milioni di euro. Decine di sacchi di zucchero di provenienza estera utilizzati “per aumentare la gradazione del vino in fermentazione”, secondo quanto hanno affermato i militari del nucleo antisofisticazione. “E’ doveroso sottolineare che la presenza dello zucchero è una pratica autorizzata dalla legge nella fase della spumantizzazione e soprattutto non è dannosa per la salute del consumatore – ha precisato il Consorzio di tutela del Prosecco – e lo stesso equivale per l’acido tartarico, anch'esso autorizzato in quanto acido naturale che si trova normalmente nell'uva; per quanto riguarda l’acido solforico è un prodotto che viene utilizzato per la sanificazione dei serbatoi e delle vasche”.

Il pericolo di una ʽbollaʼ del prosecco

“Certo che esiste una ʽbollaʼ del Prosecco”, sostengono i due agricoltori. “Dalle colline di Valdobbiadene ormai i vitigni si sono estesi fino al mare e questo avrà sicuramente delle conseguenze”, dice Antonio. “La domanda cresce ad un ritmo del 6-7% e le esportazioni tirano molto, soprattutto nel Regno Unito – conclude Giuseppe – ma cosa succederà alle vendite di prosecco nel mercato inglese una volta consumata la Brexit?”.

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