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Stadi aperti ai tifosi, in Giappone hanno trovato il modo per non arrendersi al virus

Oltre 30 mila tifosi a una partita di baseball. È successo a Yokohama, in Giappone, ed è stato un test in vista delle prossime Olimpiadi. Nel Sole Levante fanno ricorso alla tecnologia per consentire alle persone di andare allo stadio in sicurezza. Telecamere ad alta precisione, dispositivi di controllo dei livelli di anidride carbonica e misurazione della velocità del vento sono una parte delle misure adottate che verranno elaborate da un super computer. Una su tutte, obbligo di indossare la mascherina.
A cura di Maurizio De Santis
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È possibile che un evento sportivo si disputi con i tifosi allo stadio? In Giappone sono convinti di sì e, al netto delle misure di contenimento per la diffusione dei contagi da Covid-19, sperimentano soluzioni tecnologiche in vista delle prossime Olimpiadi differite di un anno proprio a causa della pandemia. Qual è lo stratagemma escogitato e quali sono i mezzi usati finora? Due gli esempi, il più recente fa riferimento alla partita di baseball giocata nell'impianto di Yokohama davanti a 32 mila spettatori mentre un altro risale all'estate scorsa. Una follia, rispetto a quanto avviene in Italia dove è stato perfino bandito l'accesso agli impianti per un numero molto basso di persone (appena 1000 e con biglietti distribuiti dagli sponsor). Eppure nel Sol Levante ritengono che questa opzione sia tutt'altro che un azzardo, utilizzando tutti gli strumenti a disposizione in previsione dei Giochi.

Quali? Telecamere ad alta precisione, attraverso le quali fornire una mappatura di tutte i presenti all'interno della struttura che hanno l'obbligo di indossare mascherine. Dispositivi per testare i livelli di anidride carbonica e, al tempo stesso, velocità e direzione del vento. Dati che serviranno a redigere una relazione e verranno consegnati a Fugaku. Chi è? Non è il nome di un ufficio e nemmeno di un gruppo di ricercatori ma un super computer in grado di elaborare con precisione scientifica l'analisi dei flussi di goccioline trasportate nell'aria, quelle secrezioni salivari emesse dalle persone quando si parla oppure si fanno tosse e starnuti.

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Finora il cervellone elettronico è stato utilizzato per simulare cosa accade in altre situazioni ambientali al chiuso (trasporti, aule di scuole, luoghi di lavoro) con persone che hanno la mascherina. Non c'è ancora un rapporto preciso su cosa può avvenire all'aperto ecco perché è iniziato lo screening che terrà conto anche della diversa tipologia di strutture, di come sono costruite e dell'organizzazione dei posti a sedere. L'obiettivo è riprodurre nella maniera più fedele possibile alla realtà come si diffonde il ‘droplet' così da prevenire eventuali forme di contagio.

La simulazione insiste anche su altri punti fermi: detto dell'uso obbligatorio della mascherina, la capienza dell'impianto è ridotta almeno al 50%, a tutti gli spettatori è stato suggerito di installare delle app per tracciarne la posizione e verificare con quali persone possono essere entrate in contatto (informazione necessaria per avvisarle di eventuali casi emersi dopo la partita), accomodarsi al proprio posto senza allontanarsi durante il match, fornendo alla sicurezza anche la possibilità di verificare – attraverso il segnale emesso dai cellulari – dove e quando si verificavano assembramenti e il distanziamento sociale non era rispettato.

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Fantascienza? No, è la realtà di un Paese che non vuole arrendersi al virus né alle privazioni che può comportare un lockdown e cerca soluzioni. Da quelle più tecnologiche ad altre che fanno leva sulla capacità delle singole persone di autodisciplinarsi. A fine luglio scorso il Giappone ha riaperto gli stadi ai tifosi con una ‘raccomandazione': sedetevi e assistete in silenzio agli incontri, al massimo è consentito battere le mani. Niente cori, né urla così da non trasmettere nell'aria droplet e altre secrezioni veicolo del virus. Tutto vero. Non cose dell'altro mondo ma cose che accadono realmente da un'altra parte del mondo.

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