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Un anno senza Kobe Bryant: l’eco della sua morte rimbomba ancora in questo mondo nuovo

Il 26 gennaio 2020 in un indicente con il suo elicottero, Kobe Bryant muore insieme a sua figlia Gianna e altre sette persone. Quella notizia ci addolora e sgomenta, ma non dura un attimo come tante altre notizie che ascoltiamo ogni giorno. Quella morte fa iniziare uno dei tempi più angosciosi della storia dell’uomo contemporaneo e la sua eco rimbomba ancora oggi.
A cura di Jvan Sica
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Non si sa bene per quale motivo, ma davvero tante persone ricordano dov’erano e cosa stavano facendo nel momento in cui prese a circolare la notizia della morte di Kobe Bryant, avvenuta esattamente un anno fa, il 26 gennaio 2020. Eppure Kobe non era un atleta italiano (anche se sappiamo quanto l’Italia era nel suo cuore e nei suoi ricordi) e praticava uno sport che di sicuro non è quello di massa per quanto riguarda il nostro Paese.

Il 26 gennaio 2020 vivevamo in un mondo completamente diverso, si accennava senza grande enfasi a questo virus che in Cina stava facendo le prime vittime, ma era una delle tante notizie che ogni due minuti dovrebbero cambiarci la vita, ma alla fine la vita resta sempre così com’è. La notizia di Kobe riuscì a bloccarci anche in quella situazione e in quel presente, completamente differente rispetto a questo inter-pandemico di oggi.

Un anno fa ci fermammo perché morire a 41 anni è sempre una tragedia e se questo avviene in un incidente con l’elicottero e quindi improvvisamente, l’impatto è ancora più forte. E se a questa tragedia leghiamo che insieme a Kobe sono morti sua figlia Gianna e altre sette persone, disintegrando intere famiglie, siamo travolti da un effetto di shock ancora più enorme.

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Ma non è solo la tragedia in sé ad averci dato un colpo, la morte di Kobe ci ha segnato anche perché apre un anno infausto, che scopriremo già dal mese successivo terribile. In questo anno abbiamo perso cari, persone a noi vicine, libertà che sembravano assodate, punti di riferimento nel presente e punti cardinali per il futuro, oltre che in ambito strettamente sportivo altri grandi campioni come Maradona e Paolo Rossi.

Mai nessuno di noi che non abbia avuto almeno 20 anni nel 1940, ha sentito parlare di morte in maniera così costante e tambureggiante come nel 2020. La morte e la malattia sono state nostre compagne a tavola con i “congiunti”, per strada quelle poche volte che siamo riusciti a mettere il muso fuori casa, nei luoghi dove siamo andati, rintronandoci di paure affinché andasse tutto bene. E quella morte di Kobe Bryant, anche se è una persona lontanissima da tante persone che non lo conoscevano affatto e magari non sanno nemmeno che si gioca un torneo di basket in America, ci ha però come spalancato a un anno di dolore e paure, che purtroppo ancora non finisce.

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Inoltre la morte di Kobe ci ha privato di tanto futuro e molti se ne sono resi conto, anche se conoscevamo per piccoli frammenti la sua carriera e vita. Kobe non era soltanto un poster nella cameretta degli anni zero o l’idolo di chi vedeva nel basket americano un oltre rispetto a quello che dobbiamo mangiare obbligatoriamente ogni giorno.

Kobe Bryant aveva un tempo incredibilmente ricco davanti ai suoi piedi, che avrebbe voluto percorrere, come dice lui stesso nelle sue ultime interviste, non con la corsa furiosa dei suoi anni da atleta, ma gustando ogni passo e cercando di donarci idee, progetti, ispirazioni. D’altronde il 13 aprile 2016 aveva concluso il Farewell Tour con 60 punti contro gli Utah Jazz, ritirandosi dal basket giocato, e il 4 marzo 2018 vinceva l’Oscar per il Miglior cortometraggio d’animazione. Immaginate cosa avrebbe potuto ancora fare nel basket e non solo.

Un po’ di quella morte improvvisa di un grande campione sportivo conosciuto in tutto il mondo ci tocca ancora, nonostante siamo con la melma della morte fino alle ginocchia da 11 mesi. Quella morte è per noi ancora un rintocco angoscioso che ha spalancato uno dei tempi peggiori della storia dell’uomo contemporaneo. È stata una morte con un’eco, che non smette di rimbombare.

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