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Opinioni

I David di Donatello, il sistema elitario soffoca gli emergenti e favorisce il solito “circoletto”

Tra le candidature dei David di Donatello, per l’ennesima volta i premi saranno destinati al solito “circoletto” di favoriti. I giurati potrebbero sforzarsi di guardare oltre anche a costo di “rompere il giocattolo”, dando voce a quelle autrici e quegli autori all’ombra del botteghino che si trovano a lavorare per un cinema mosso dalla passione più che dai mezzi. Primadonna di Marta Savina, L’Invenzione della Neve di Vincenzo Moroni, Le ragazze non piangono di Andrea Zuliani sono solo alcuni esempi.
A cura di Isabella Insolia
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Il cinema è sopravvissuto a una serie di crisi. Nel corso della sua storia è stato scosso dal sonoro, dalla televisione, dalle videocassette, dai dvd, dalla pirateria. Un settore perennemente alla mercé degli eventi, tanto da fare i conti con la pandemia e l’ubiquità dello streaming. Eppure, anche questa volta, la settima arte italiana appare più viva che mai, raggiungendo ottimi risultati.

È in questo scenario illusoriamente roseo aleggia la gigantesca ombra del cinema indipendente. Se da un lato si festeggiano con gioia i successi raggiunti da Paola Cortellesi e Matteo Garrone, dall’altro c’è tutta una categoria di lavoratori del mondo del cinema in balìa della politica e della loro stessa industria. Al di là delle proposte, validissime, presentate formalmente durante conferenza “Vogliamo che ci sia Ancora un Domani” da 1500 professionisti del settore audiovisivo per chiedere l’inizio della stagione delle riforme, è necessario anche “guardarsi in casa” e capire quanto sia necessaria una rottura trasversale per dare respiro all’industria.

Fa strano pensare che su 188 film proposti per essere candidati ai David di Donatello solo 21 pellicole sono state prese in considerazione per una nomination. È possibile che le altre 167 opere siano così nettamente inferiori? Primadonna di Marta Savina, L’Invenzione della Neve di Vincenzo Moroni, Le ragazze non piangono di Andrea Zuliani sono solo alcuni esempi di film che avrebbero certamente meritato una candidatura e che invece rimarranno sconosciuti al pubblico estraneo ai festival cinematografici.

Checché se ne dica, in Italia, nonostante la crisi e le mille difficoltà, si concepiscono tante opere, per questa ragione il dato ancor più eclatante è che su 105 candidature disponibili per gli “Oscar italiani” 68 sono occupate da soli 5 film: C’è ancora domani (19), Io Capitano (15), La Chimera (13) Rapito (11) e Comandante (10) si sono presi più di metà piatto. È in queste cifre crude che si riflette la settarietà di un sistema sempre più elitàrio. Per carità, si tratta di ottimi film che ridefiniscono gli standard della narrazione e dell'espressione artistica cinematografica, ma in un certo senso questa sopraffazione svaluta la libertà creativa del cinema indipendente che spesso tratta temi audaci e sottorappresentati.

C’è da chiedersi: per quale motivo non hanno scelto di allargare la platea delle candidature nella categoria dei registi esordienti? Perché i giurati hanno puntato su attori già popolarissimi come Paola Cortellesi, Michele Riondino, Beppe Fiorello e Micaela Ramazzotti? Eppure solo nel 2023 ci sono stati 61 esordi alla regia: sessantuno, non dieci o undici. Attenzione, non è una critica ai candidati ma ai candidanti. Manco a dirlo, sono nomi illustri, che da anni danno pregio e cassa di risonanza al cinema italiano, e che non hanno bisogno di una candidatura come “esordienti” per confermare il loro talento, soprattutto se hanno ricevuto nomination in tutte le categorie in cui erano candidabili.

Se è vero che la limitata o, talvolta, assenza di una campagna promozionale adeguata contribuisce a tale esclusione è vero anche che questo è un problema decennale. “Il cinema è un circoletto, lavorano sempre gli stessi” aveva detto Giuliana De Sio a Francesca Fagnani durante l’intervista a Belve. Un’affermazione che si palesa sempre più veritiera, portando produzioni indipendenti e giovani esordienti a uno scontro impari con film che hanno dietro una macchina produttiva sostanziosa, come il film campione d’incassi in Italia. Sia chiaro, Paola Cortellesi merita tutte le nomination e tutti gli eventuali premi che prenderà, ma bisogna smettere di ignorare il problema a monte e comprendere che l’attuale sistema è sconfortante per chi si sta affacciando con fatica a questo settore.

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È necessario fermarsi a riflettere su cosa viene prodotto ogni anno nel nostro paese e non limitarsi solo su quelle dieci o quindici pellicole incensate, talvolta meritatamente, dal pubblico. Il lavoro dei giurati non è andare a favore del sentimento popolare composto per il novanta percento da spettatori superficiali e distratti, ma di sforzarsi a guardare oltre anche a costo di “rompere il giocattolo”, dando voce a quelle autrici e quegli autori all’ombra del botteghino come Tommaso Santambrogio e Davide Gentile, a quel cinema mosso dalla passione più che dai mezzi.

Aspettiamo da anni un coup de théâtre, un ribaltone di regole e intenti che portino a sprovincializzare il nostro cinema aprendo le porte a qualcosa di diverso. La nomina di Piera Detassis come presidente dell’Accademia del cinema italiano aveva portato grandi speranze per il futuro, ma è vero anche che candidare o, addirittura, far vincere il premio a un film che non appartiene al solito “circoletto” ci vuole coraggio e ci vogliono giurati intrepidi che li votino e perché li votino devono averli visti. Siamo proprio sicuri che i 188 film siano stati visti e sezionati uno per uno? A tal proposito, si nutre più di un dubbio.

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