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Si fa presto a dire crescita

Janet Yellen, candidata a succedere a Ben Bernanke al vertice della Federal Reserve americana, non ha dubbi: meglio sfruttare appieno gli incentivi monetari e ottenere una crescita “forte” così da poter tornare a una politica monetaria “normale” in futuro. Ma cosa vuol dire forte e cos’è normale? Dipende…
A cura di Luca Spoldi
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Tutto bene ciò che finisce bene? Come da attese Janet Yellen, vicepresidente della Federal Reserve destinata a succedere all’attuale numero uno, Ben Bernanke, alla scadenza del secondo mandato di quest’ultimo, il 31 gennaio prossimo, di fronte alla Commissione bancaria del Senato Usa che deve confermare la scelta di Barack Obama (una formalità dato che la commissione è composta in maggioranza da democratici e che anche alcuni esponenti repubblicani hanno già fatto filtrare l’intenzione di appoggiare la candidatura della Yellen) si è mantenuta nel solco della politica varata da Bernanke dichiarando che gli stimoli alla crescita (ossia gli acquisti di bond sul mercato) è opportuno restino in essere fino a quando l’economia americana non migliorerà, segnale letto dal mercato come nuova conferma che il “tapering” (rallentamento degli acquisti) non inizierà almeno fino alla prossima primavera, cosa che sta facendo recuperare terreno ai bond e consente a Wall Street (ma anche ai listini asiatici ed europei) di interrompere il modesto calo visto nei giorni passati.

Cerchiamo tuttavia di andare un po’ più in là della cronaca: secondo la Yellen una “ripresa forte” è necessaria per consentire, alla fine, alla Federal Reserve di “ridurre la sua politica monetaria accomodante” e la dipendenza (dell’economia) “da strumenti non convenzionali come l’acquisto di asset” sul mercato secondario. Ciò significa che continuare a “supportare oggi la ripresa è la strada più sicura per tornare ad un più normale approccio di politica monetaria” in futuro. Ad un’analisi meno che superficiale tutto sembra giocarsi su aggettivi come “forte” (la ripresa) e “normale” (la politica monetaria) che non hanno in realtà connotati propriamente oggettivi e univoci e si prestano anzi a difformi interpretazione. E’ “forte”, ad esempio, la crescita del Pil giapponese (+1,9% annualizzato nel terzo trimestre del 2013)? Secondo la Bank of Japan sicuramente, visto che la crescita potenziale in quel caso è stimata pari ad appena lo 0,5%, ma come nota Mario Seminerio si tratta per molti versi di un “bluff” finora abbastanza ben giocato, visto che osservando i contributi alla crescita trimestrale (+0,5%), la spesa delle famiglie è stata pari a zero, come pure gli investimenti privati (non residenziali), mentre il contributo della spesa corrente pubblica è stato pari allo 0,1%, quello degli investimenti pubblici allo 0,4% e quello delle scorte private ad un altro 0,4%.

Insomma, tutta la crescita a Tokyo e dintorni è “merito” non tanto delle fantomatiche riforme della Abeconomics, di cui si continua a non veder traccia soprattutto per quanto riguarda una maggiore apertura del mercato alla concorrenza, quanto (se non esclusivamente) all’incremento della spesa pubblica, il che in un paese con un pesante deficit fiscale, un debito pubblico elevato e un profilo demografico preoccupante è tutto meno che indice di una crescita “forte” (e tanto meno di una politica monetaria “normale”). La Yellen, d’altro canto, sembra voler approfittare dell’assenza di inflazione per sparare rapidamente le sue cartucce, sperando che servano ad abbattere una disoccupazione che resta da quattro anni sopra il 7% ufficiale (ossia non tenendo conto che nel frattempo il mercato del lavoro è peggiorato anche in termini qualitativi, con una crescita dei lavori a tempo o “precari” a scapito di forme di occupazione più stabili), senza aspettare i tempi lunghi che hanno caratterizzato la “ricetta giapponese” prima e che caratterizzano la “ricetta tedesca” ora.

In mezzo al guado, l’Europa stretta tra l’austerità fiscale di matrice tedesca (in lenta attenuazione) e flessibilità monetaria (frenata) della Bce registra una “crescita” dello 0,1% nel terzo trimestre dell’anno rispetto ai precedenti tre mesi (+0,2% per la Ue-28), continuando però ad accusare un calo dello 0,4% rispetto a dodici mesi prima (+0,1% per la Ue-28). E’ una crescita debole al punto da richiedere l’utilizzo di ulteriori “misure non convenzionali” da parte della Bce? Difficile dire di no, ma scendendo a livello di singoli paesi membri si nota come nel trimestre il Pil tedesco abbia segnato un rialzo dello 0,3%, quello spagnolo dello 0,1%, mentre il Pil francese è calato dello 0,1% così come quello italiano.  Su base annua la Germania registra una crescita dello 0,6%, la Francia dello 0,2%, la Spagna arretra dell’1,2% e l’Italia dell’1,9%. Nello stesso periodo gli Stati Uniti, che continuano a pompare dollari nel sistema, hanno segnato un incremento del Pil dello 0,7% su base trimestrale, ovvero dell’1,6% rispetto al 30 settembre 2012 e però vedono un debito pubblico in continua crescita e uno scontro politico sempre più aspro, che il compromesso di metà ottobre ha spostato solo di alcuni mesi in avanti, su come ridurlo. No, decisamente non è tutto bene ciò che finisce bene, perché qui il bello (o il brutto) ha tutta l’aria di dover ancora venire e non è detto possa venire rapidamente, con buona pace di giovani e meno giovani di tutto il mondo.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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