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Shakespeare, i frontespizi delle opere avranno doppia firma

Secondo un’analisi sui big data, William Shakespeare avrebbe scritto ben 17 opere teatrali su 44 con altri autori. E così dalla prossima edizione omnia del Bardo la Oxford University Press pubblicherà i nomi dei coautori sui frontespizi.
A cura di Redazione Cultura
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Il "Chandos", ritratto di William Shakespeare non confermato attribuito a John Taylor
Il "Chandos", ritratto di William Shakespeare non confermato attribuito a John Taylor

Ben 17 opere teatrali su 44 di William Shakespeare sarebbero state scritte assieme ad altri autori. E così, dalla prossima edizione omnia del Bardo, si è deciso di cambiare. Sul frontespizio delle opere in questione, infatti, la Oxford University Press ha deciso di inserire i nomi dei coautori del grande drammaturgo inglese sulla cui reale identità si discute da sempre.

In realtà, come sostengono i maggiori studiosi dell'opera di Christopher Shakespeare, tra cui Nadia Fusini, sulla reale esistenza del Bardo non vi sono dubbi. Resta però la scoperta, grazie a un lungo studio che ha coinvolto 23 studiosi provenienti da tutto il mondo, supervisionati da quattro professori – Gary Taylor (Florida State University, Stati Uniti) John Jowett (Shakespeare Institute, Università di Birmingham), Terri Bourus (Indiana University, Indianapolis, Stati Uniti) e Gabriel Egan (De Montfort University, Leicester) – secondo cui verrebbe accreditata l'ipotesi che Shakespeare avrebbe avuto alcuni collaboratori, tra loro Christopher Marlowe sarebbe stato uno dei principali.

Tanto che entrambi i due drammaturghi appariranno sui frontespizi delle tre parti che compongono Enrico VI, prossima (aggiornata) pubblicazione della Oxford University Press. Il contributo di  Marlowe nell’Enrico VI, infatti, sarebbe così “evidente” secondo i ricercatori dell’università, da meritare una menzione paritaria rispetto al Bardo rispetto alle parti 1, 2 e 3.

"Finora nessuno ha avuto il coraggio di mettere il nome sul frontespizio", ha detto Taylor. "il che è perfettamente ragionevole, perché l'unica ragione per cui ora siamo in grado di farlo è perché Shakespeare è entrato nel mondo dei big data." E infatti, per arrivare a questa scoperta in maniera oggettiva, sono stati usati i più recenti strumenti di analisi del testo per studiare le opere, attraverso l'uso di una tecnologia che ha permesso di individuare le "impronte" di Marlowe, ma anche di altri autori come Robert Greene e George Peele.

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