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Se chiami “cicciottelle” delle atlete è giusto che tu venga licenziato in tronco

Il licenziamento del direttore del Quotidiano Sportivo reo di aver avvallato il titolo contenente “cicciottelle”, ritenuto offensivo da molti lettori e commentatori social ha scatenato un’accesa polemica. Esiste un limite alla libertà di espressione? Sì, e presuppone che ogni individuo si assuma la responsabilità dei concetti che esprime.
A cura di Charlotte Matteini
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Quel "cicciottelle" che credeva essere tanto simpatico e per nulla denigratorio non ha affatto portato fortuna al direttore del Quotidiano Sportivo, del gruppo bolognese Poligrafici editoriale, da ieri al centro delle polemiche a causa di un epiteto finito in pagina che puntava l'attenzione, più che sull'impresa delle atlete olimpiche, sulla loro fisicità descrivendole come ragazze in carne, forse troppo in carne per essere delle campionesse in gara alle olimpiadi di Rio De Janeiro.

Ebbene, il simpatico "cicciottelle" pubblicato nella quinta pagina del Quotidiano sportivo diretto da Giuseppe Tassi ha scatenato una vera e propria bagarre sul social network, dove utenti, lettori e persino numerosi giornalisti hanno dimostrato pura indignazione per la caduta di stile del quotidiano edito da Riffeser Monti, che ha deciso di destituire dall'incarico con effetto immediato Tassi comunicandolo ai propri lettori con una breve nota pubblicata online. Nonostante il direttore responsabile de Quotidiano abbia in serata pubblicato una sorta di lettera di rettifica, che a leggerla sembrava una toppa peggio del buco, una "democristianata" scritta quasi fosse un obbligo, in cui si porgevano le scuse per il termine utilizzato nel titolo – e poi sostituito in ribattuta – sostenendo però che non ci fosse alcun intento "denigratorio" nella scelta di quella descrizione appioppata alle tre atlete.

Insomma, quasi sembrava leggendo la rettifica che il direttore responsabile, nonostante le polemiche e le proteste degli utenti, ancora non avesse colto il problema di fondo: per quale motivo utilizzare un termine utile a sottolineare la fisicità non proprio filiforme delle ragazze, sia pur vezzeggiativo, anziché puntare sin da subito sulla descrizione della storica impresa portata a termine, come invece fatto correttamente nel titolo andata in stampa in seconda edizione? Voleva far sì che si parlasse del giornale? Il dubbio è lecito, visto che il trucchetto viene utilizzato da tempo da altre testate giornalistiche, che difendono con forza il diritto a scrivere titoli forti e a utilizzare termini molto coloriti per attirare click e aumentare le vendite. A quanto pare non è dato sapere il reale motivo che ha portato quel titolo in pagina, solo che la polemica scatenatasi a margine della pubblicazione non è affatto piaciuta all'editore del Quotidiano Nazionale Andrea Riffeser Monti, che ha provveduto a licenziare in tronco Tassi.

Com'è facile immaginare, la decisione di Riffeser Monti ha rinfocolato gli animi nuovamente: se fino a ieri il titolo era stato condannato dalla maggior parte degli utenti e dei lettori, il licenziamento di Tassi ha invece provocato una sorta di presa di posizione di molte persone che hanno immediatamente preso le difese del direttore del Quotidiano Sportivo, imbastendo una crociata contro il tanto bistrattato e famigerato "politically correct", a favore della libertà di espressione indiscriminata.

Bene, a me piacerebbe davvero capire per quale motivo il sanzionare una persona che ha contravvenuto a delle regole editoriali, prima ancora che etiche e deontologiche, debba conservare il proprio posto? Il direttore responsabile è quella figura che, nel mondo  del giornalismo, è – per l'appunto – responsabile di ciò che viene pubblicato dalla testata da lui diretta e che deve controllare che i propri giornalisti eseguano scrupolosamente il proprio lavoro. Mancando di controllare il lavoro della propria squadra o avallando delle scelte editoriali irrispettose e non condivise dall'editore proprietario della testata, in ogni Paese civile del Mondo il direttore responsabile non solo verrebbe costretto a lasciare la propria poltrona per manifesta incapacità, ma anzi avrebbe probabilmente presentato spontaneamente le dimissioni, non prima di essersi scusato pubblicamente e chiaramente con i propri lettori.

In questo Paese particolare, però, sembra invece che in nome della libertà di espressione si debba essere costretti a sopportare qualsiasi tipo di nefandezza senza protestare o pretendere legittime sanzioni per non passare per fan del "politicamente corretto" o, peggio ancora, per intolleranti e illiberali. Beh, io non so francamente che cosa significhi per certe persone "libertà di espressione", per quanto mi riguarda in ogni Paese che voglia definirsi civile esiste un limite alla libertà di espressione, che non è la censura ma più semplicemente l'assunzione di responsabilità di fronte alle conseguenze che l'espressione della propria opinione può provocare, soprattutto quando questa opinione lede la dignità o la sensibilità di altre persone. Vuoi essere libero di esprimere ciò che pensi? Fallo, ma ricordati che "a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria" e che c'è nulla di coraggioso o anticonformista nell'esprimere un'opinione sopra le righe pretendendo però di non pagare mai pegno per le offese proferite.

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Milanese, classe 1987, da sempre appassionata di politica. Il mio morboso interesse per la materia affonda le sue radici nel lontano 1993, in piena Tangentopoli, grazie a (o per colpa di) mio padre, che al posto di farmi vedere i cartoni animati, mi iniziò al magico mondo delle meraviglie costringendomi a seguire estenuanti maratone politiche. Dopo un'adolescenza turbolenta da pasionaria di sinistra, a 19 anni circa ho cominciato a mettere in discussione le mie idee e con il tempo sono diventata una liberale, liberista e libertaria convinta.
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