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Lavoratori della cultura sfruttati dalle società appaltatrici: succede anche nel Comune di Roma

Lavorare nella cultura con paghe da fame e contratti non idonei: “Zètema è solo la punta dell’iceberg, ma i tempi sono abbastanza maturi per rivendicare i nostri diritti”.
A cura di Beatrice Tominic
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Dalla manifestazione sotto al ministero del Lavoro di "Mi Riconosci?" del 24 giugno scorso.
Dalla manifestazione sotto al ministero del Lavoro di "Mi Riconosci?" del 24 giugno scorso.

Lavorare per i musei e i siti archeologici romani e guadagnare meno di 5 euro all'ora: è quello che succede in Zètema, la società partecipata al 100% che si occupa delle sedi culturali a Roma. "Non si tratta solo Zètema e H501: non sono le uniche società ad applicare condizioni di lavoro contrattuali discutibile, queste sono soltanto le maggiori", spiega Valentina, una degli attivisti di "Mi Riconosci?" a proposito delle condizioni lavorative nel settore della cultura.

Il caso Zètema e il settore culturale nelle società in appalto

Stando alle informazioni raccolte dall'associazione, gran parte dei lavoratori (che, temendo ripercussioni, preferiscono restare anonimi) ha retribuzioni orarie molto basse: "La maggior parte delle persone impiegate nei musei e nei siti archeologici di Roma, anche nelle zone centrali, turistiche e molto frequentate, è composta da lavoratori esternalizzati cioè che non lavorano direttamente per le istituzioni culturali, ma che lavorano in appalto con società o cooperative", spiega l'attivista. I dipendenti a cui fa riferimento sono operatori museali, lavoratori che gestiscono bookshop e biglietterie, che fanno accoglienza ai visitatori, che gestiscono le sale: si occupano direttamente, quindi,  della fruizione del patrimonio culturale da parte dei cittadini e dei turisti.

"Zètema, con H501, è una partecipata del comune di Roma e gestisce buona parte dei musei e dei siti archeologici più grandi della capitale, con grandi incassi. L'attenzione è focalizzata su questa, ma non è l'unica: alla fine si sono un po' adeguate tutte le altre società, è soltanto la punta dell'iceberg. Non si tratta di un attacco diretto a queste due realtà: è un problema generalizzato di tutto il settore dei beni culturali – continua l'attivista – Esclusa qualche realtà particolarmente virtuosa, propongono tutti le stesse condizioni di lavoro. Sembra che nessuno se ne accorga, ma in realtà è un po' un segreto di Pulcinella: tutti coloro che lavorano nel settore sanno cosa succede. Si tratta di migliaia di lavoratori soltanto su Roma: lasciare Zètema e H501 per farsi assumere altrove non cambia la situazione". Le realtà virtuose a cui fa riferimento Valentina sono quelle che permettono una retribuzione oraria più alta e, in alcuni casi, applicano anche il contratto Federculture, Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro per il settore culturale. "Purtroppo sono mosche bianche", si affretta ad aggiungere.

Il contratto Federculture: cosa prevede

Il contratto Federculture è specifico per i lavoratori del settore culturale: "Comprende tutte quelle figure che lavorano nel settore culturale, ognuna delle quali rientra in uno dei diversi livelli di specializzazione e di retribuzione indicati dallo stesso contratto. Interessa, quindi, il personale impiegato nei musei, nei siti archeologici, nei parchi, nelle biblioteche, negli archivi e in tutti i luoghi della cultura – continua a spiegare l'attivista – È firmato dai maggiori sindacati ed è stato spesso rinnovato: nel 2016, ad esempio, sono state aggiunte nuove specifiche per quanto riguarda le tabelle retributive".

La caratteristica più importante del Federculture è che non riguarda soltanto figure tecniche del settore, ma è applicabile anche più in generale a tutti coloro che, con diverse mansioni, lavorano nei luoghi della cultura: "Il contratto è strutturato su tre livelli. Alla base c'è proprio il personale non specializzato in cui rientrano tutte le figure, non necessariamente formate a livello universitario o con competenze particolari, che si occupano di servizi di accoglienza e informazione: per loro lo stipendio base è di 1400 euro. Il secondo livello, invece, comprende i lavoratori a media specializzazione, cioè coloro che gestiscono le sale museali, l'accoglienza, la vigilanza e la comunicazione dei musei, la biglietteria e il bookshop e anche loro partono da 1600 euro mensili, mentre il terzo livello riguarda il personale specializzato, con formazione universitaria o molta esperienza sul campo e prevede uno stipendio ancora più alto".

La situazione contrattuale dei lavoratori della cultura

Le cifre previste dal contratto sono lontanissime da ciò che succede realmente: sono molti gli escamotage per non applicare il Federculture. "Molto spesso vengono proposti contratti collettivi per vigilanza e servizi fiduciari o multiservizi, con retribuzioni molto più basse. Chi è assunto con questo tipo di contratto durante le ore di lavoro svolge mansioni spesso diverse da quelle previste da contratto – continua a spiegare l'attivista – Non è normale".

A questo si aggiunge anche il problema dell'impiego selvaggio di tipologie contrattuali anomale: "Si tratta dell'utilizzo di Partite Iva coatte o ritenute d'acconto al posto dei lavoratori dipendenti, cioè persone che contrattualmente risultano collaboratori esterni o a chiamata, ma che lavorano come se fossero dipendenti- afferma prima di spiegare – Con tutti gli svantaggi del lavoratore dipendente che è soggetto a turni, a orari di lavoro preimpostati e gestito dall'azienda, ma anche del lavoro autonomo cioè la necessità di pagare in autonomia i contributi e l'assenza di garanzie".

Manifestazione alle porte

Gli attivisti dell'associazione "Mi Riconosci?", che hanno già protestato davanti al ministero del Lavoro, hanno inviato diverse segnalazioni e sono stati convocati in Senato dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro per esporre i problemi dei lavoratori della cultura. Si attendono ulteriori risposte specifiche, però, anche dalla capitale, dal sindaco di Roma Roberto Gualtieri e dall'assessore alla Cultura Capitolino, Miguel Gotor: "Speriamo che possano riceverci. Vogliamo che si rendano conto del problema e che decidano di affrontarlo, magari internalizzando questi lavoratori negli enti pubblici smettendo di delegare sempre il privato: spesso queste aziende hanno fatturato davvero molto elevati mentre il personale prende retribuzioni da fame – ha concluso l'attivista –  Se non otteniamo risposta, non ci resta che scendere in piazza: ci stiamo organizzando perché pensiamo che i tempi siano abbastanza maturi per rivendicare i nostri diritti. Se serve riempire le piazze per ottenere ascolto, siamo pronti a farlo."

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