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Da Diabolik a Gioacchini: così a Roma vengono uccisi i giovani boss che toccano i soldi dei vecchi capi mafia

La guerra tra vecchie e nuove generazioni di boss per il controllo della Magliana e i legami tra l’omicidio di Diabolik e quello di Andrea Gioacchini. L’ex investigatore Massimiliano Vucetich: “Avevano superato la linea rossa”.
A cura di Gaetano De Monte
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Qualche mese prima dell’omicidio di Fabrizio Piscitelli, alias Diabolik, il capo ultras della Lazio e narcotrafficante ucciso con un colpo alla nuca il 7 agosto del 2019 mentre era seduto su una panchina del Parco degli Acquedotti, Andrea Gioacchini, 35 anni, sorvegliato speciale e boss in ascesa della Magliana, viene freddato il 10 gennaio del 2019 in via Castiglion Fibocchi davanti all’asilo dove aveva appena accompagnato i suoi figli, alla presenza della compagna Alina che viene ferita, ma infine risparmiata dalla furia dei killer.

Sono passati sei anni da quegli omicidi e, come è noto, per l’omicidio di Piscitelli è stato condannato in primo grado all’ergastolo l’esecutore materiale, Gustavo Alejandro Musumeci, mentre non è stata fatta piena luce sui mandanti. Nella vicenda della morte di Andrea Gioacchini, invece, sono stati condannati (sempre in primo grado) a trent’anni Ugo Di Giovanni ed Emiliano Sollazzo, ritenuti i mandanti, e a venti anni Fabrizio Olivani, considerato l'esecutore materiale. Non è escluso però che i due delitti sono collegati, e che sottotraccia nella Capitale scorra una guerra tra vecchie e nuove generazioni di boss. Andiamo con ordine.

L'ex colonnello dei Carabinieri: "Omicidi con origine simile"

Massimiliano Vucetich, colonnello oggi in pensione dell’Arma dei Carabinieri, per circa vent’anni ha coordinato l’articolazione del Nucleo Investigativo di via In Selci, a Roma, specializzata nella repressione dei reati contro la pubblica amministrazione, svolgendo indagini complesse su faccendieri, politici potenti e pubblici ufficiali privi di scrupoli. Inchieste importanti, come Calciopoli, quella sulla sanità nel Lazio ribattezzata Lady Asl, e sugli affari connessi alla realizzazione dello stadio di Roma, che l’investigatore ha raccontato nel libro uscito qualche mese fa ‘Contro i Giganti', edito da Paper First.

L’Unità coordinata da Vucetich, negli ultimi anni di servizio dell’ufficiale, ha però sviluppato anche importanti indagini sulla criminalità organizzata romana, tra cui quelle relative ai due omicidi, lavorando, grazie alla preziosa azione di coordinamento promossa dalla DDA di Roma, fianco a fianco con le migliori forze di contrasto al crimine nella Capitale, la Direzione Investigativa Antimafia e la Squadra Mobile. Fanpage ha chiesto all’ufficiale quale sia lo spaccato che esce dalle inchieste su questa striscia di sangue che ha bagnato i marciapiedi della capitale nel 2019.

"Le analogie fra i due omicidi sono molte, essi hanno avuto un’origine e una motivazione molto simile; per quanto concerne la morte di ‘Diablo', a parere di noi investigatori, non è stato un singolo episodio a indurre i mandanti a decretare e autorizzare l’esecuzione, ma sono state una serie di condotte protratte nel tempo che hanno portato il vertice del crimine romano e le varie anime che lo compongono a esprimere l’unanime volontà di sopprimere il ribelle Piscitelli per riportare l’Ordine al suo stato naturale. Così anche nel caso dell’omicidio di Andrea Gioacchini che ha trovato concorde tutta la malavita della Magliana perché il ragazzo, con i propri comportamenti, aveva superato la linea rossa", aggiunge.

La guerra tra vecchie e nuove generazioni

Secondo l’investigatore, in quella fetta di territorio a Sud-Ovest della Capitale che abbraccia anche Corviale, Trullo, San Paolo, Garbatella e Ostiense, i superstiti della storica Banda continuano a comandare, come sembra dimostrato anche dall’inchiesta a carico del boss Marcello Colafigli, 72 anni (alias Marcellone il Bufalo), arrestato l’anno scorso, sempre dalla squadra del colonnello, mentre si trovava in stato di semilibertà. Ma c’è di più, dice ancora l’ufficiale. "I vecchi esponenti della Banda sono stati affiancati da nuove leve. A loro volta i giovani sono divisi in due fazioni: coloro che vogliono tramandare il potere degli anziani, e tra questi ci sono anche i loro figli e nipoti, e altri che invece vogliono soppiantare il vecchio sistema per affermarne uno nuovo. E Andrea Gioacchini rientrava a pieno titolo tra questi ultimi, anzi, forse poteva essere considerato il capo della cordata di ribelli che cercava e cerca di appropriarsi di quella fetta di territorio".

Da quello che è emerso dagli atti di indagine, inoltre, Andrea Gioacchini voleva tutto e lo voleva subito, e non si preoccupava degli interessi che con il suo comportamento metteva a repentaglio, nemmeno del prestigio dei criminali del vecchio ordine che metteva alla berlina e con i quali negli ultimi tempi aveva avuto forti scontri.

Il sistema dei boss della Magliana

Quello della guerra tra vecchie e nuove generazioni di boss della Magliana è un dettaglio che non è entrato formalmente nel processo a carico dei killer di Gioacchini, rimanendo perciò sullo sfondo, ma che è abbastanza significativo per ricostruire anche sociologicamente gli equilibri criminali nella Capitale d’Italia. C’è un’intercettazione ambientale tra il fratello della vittima e un gioielliere della zona (la Magliana, ndr) in cui l’uomo è stato ucciso, che li fa emergere. I due parlano di un orologio prezioso che era al centro delle liti tra Andrea e un imprenditore, Alberto, a sua volta creditore di Di Giovanni, l’uomo collegato al clan Senese condannato in primo grado come mandante dell’omicidio. Il commerciante racconta che l’omicidio del ragazzo non è solo legato a queste dinamiche di piccolo cabotaggio (che chiama il “pretesto”), ma a qualcosa di più importante.

"L’orologio era un pretesto … poteva essere pure una spilla… pure un giacchetto alla fine, poteva essere pure una scarpa… …però poteva essere pure che ne so…mi hai venduto due giacchetti? Per me sono falsi!…mi hai venduto un bracciale?…per me è falso… quello stavano aspettando", dice il gioielliere, intercettato dalle tre squadre investigative della Capitale in coordinamento tra di loro. E, in effetti, l’imprenditore vessato da Andrea Gioacchini era a sua volta una pedina fondamentale nel sofisticato sistema di riciclaggio scoperchiato dall’indagine ‘Assedio' della Dia, un sistema che vedeva federate le mafie di diverse regioni.

E chi mette in crisi il sistema del riciclaggio non riceve sconti dalle organizzazioni criminali, questo segnalano i due omicidi del 2019. Le analogie tra i due delitti sono riscontrabili proprio leggendo l’informativa dell’Operazione Assedio: "Lì dove emerge come in questo Sistema avessero investito sia Andrea Gioacchini che un gruppo di ‘albanesi di Grottaferrata' protetti proprio da Diabolik e che sia l’uno che gli altri, volendo rientrare dei loro capitali, avevano iniziato a esercitare sui referenti del Sistema forti pressioni, rischiando così di farlo collassare e correndo inevitabilmente rischi mortali", conclude il detective.

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