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Rcs, l’offerta di Cairo sottolinea la rivoluzione in atto nell’editoria italiana

Urbano Cairo è pronto a fondere Cairo Communications con Rcs MediaGroup, ma dovrà convincere creditori e asset manager cui fa ormai capo l’editore del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport. Vista la reazione del titolo non è detto non possa riuscirci, magari con un rilancio rispetto alla prima offerta…
A cura di Luca Spoldi
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Cosa rimane di quello che un tempo era il principale gruppo editoriale italiano, Rcs MediaGroup? Un paio di testate storiche ancora con un forte appeal, Il Corriere della Sera e ancor più la Gazzetta dello Sport, una montagna di debiti (a fine 2015 pari a 487 milioni di euro netti, dato peraltro migliore delle attese), tanti azionisti in disaccordo quasi su tutto salvo che nel mettere il meno possibile mano al portafoglio, una montagna di rimpianti per quello che è stato, che avrebbe potuto essere e che non si capisce se potrà ancora divenire un domani.

Tra gli azionisti di Rcs MediaGroup, accanto alla storica coppia di testa Giovanni Agnelli e C. s.a.p.a. (16,734%, che però a breve verrà redistribuito tra gli azionisti del gruppo Fiat Chrysler Automobiles e finirà gradualmente sul mercato) e Mediobanca (9,93%), vi è uno dei pochi, se non l’unico, imprenditore italiano che in questi anni è riuscito a guadagnare dalla carta stampata: Urbano Cairo, quinto maggior azionista col 4,616%, subito alle spalle di Diego Della Valle (7,325%) e dei fondi di Schroders Plc (5,015%). Cairo venerdì sera ha atteso la chiusura dei mercati poi ha annunciato: lancio un’offerta di scambio offrendo 0,12 azioni Cairo Communication per ogni azione Rcs MediaGroup, vale a dire che in quel momento per Cairo un’azione Rcs valeva 55,10 centesimi di euro.

Stasera Cairo Communications vale 4,822 euro per azione , in crescita del 2,07% rispetto alla chiusura di venerdì, con una capitalizzazione salita a 370 milioni di euro. La variazione positiva sembra indicare che il mercato valuti consistenti le possibilità di Cairo nel riuscire in un’impresa che a molti altri prima di lui è stata fatale. In parallelo i titoli Rcs MediaGroup sono volati all’insù del 28,79% a 58,6 centesimi di euro per azione, leggermente meglio dei 57,86 centesimi che dovrebbero valere per adeguarsi all’offerta di scambio. Segno in questo caso che il mercato non esclude una contro offerta?

Non necessariamente, visto che l’epoca dei “salotti buoni è ormai tramontata persino in Italia (tanto che gli stessi eredi Agnelli, impegnati a costituire un polo e che tanti altri soggetti pronti ad andare ad un’asta non se ne vedono, salvo una discesa in campo dei Boroli-Drago (De Agostini) o del gruppo Caltagirone. Semmai è probabile che gli investitori stiano da un lato valutando i benefici dell’integrazione tra i due gruppi (Banca Akros in una nota ha sottolineato come “data la creazione futura di valore, che dovrebbe almeno corrispondere al nostro attuale prezzo obiettivo pari a 0,85 euro”, il titolo potrebbe salire ancora), dall’altra il formarsi di un fronte ostile a Cairo, che oltre a Mediobanca, già dettasi non intenzionata ad aderire all’offerta, potrebbe comprendere Finsoe (Unipol), che di Rcs MediaGroup ha il 4,601%, China National Chemical Corporation (Pirelli), al 4,433% e Paolo Rotelli, al 2,744%.

Per convincere i soci contrari, che insieme peserebbero oltre il 21,7% (ma che secondo alcuni potrebbero in realtà arrivare a superare il 25%), lo stesso Urbano Cairo ha già fatto sapere di non voler delistare Rcs, qualora l’operazione riesca, e di voler “tenere dentro i vecchi soci di Rcs, perché possano beneficiare insieme a me e ai miei azionisti di eventuali incrementi e attività positive che faremo cercando di ristrutturare la Rizzoli”. Ora: per ristrutturare Rcs occorre arrivare a una ristrutturazione del suo debito, che anche ammesso l’Ebtida 2016 risalga come previsto sui 100 milioni e il debito stesso scendesse attorno ai 400 milioni resterebbe pari a quattro volte il margine operativo lordo.

Per questo Urbano Cairo deev aver preventivamente cercato, e presumibilmente trovato, l’assenso dei principali creditori di Rcs e in particolare di Intesa Sanpaolo, socia al 4,176% e a cui fanno capo oltre 200 milioni di debito, di cui 165 milioni in pool con altre quattro banche (Ubi Banca, cui fanno capo 112,5 milioni di debito, Unicredit, con 56,2 milioni, Bnp Paribas, esposta per 48,7 milioni, e Mediobanca, cui fanno capo poco meno di 19 milioni), che finora ha mantenuto nei negoziati già avviati l’atteggiamento più intransigente (in particolare armonia, pare, con Bnp Paribas), dovendo, come ha ribadito più volte l’amministratore delegato Carlo Messina, tutelare i propri interessi “attraverso la tutela dei crediti”, anche, se del caso, partecipando a futuri aumenti di capitale.

Secondo alcune voci riportate dalla stampa italiana Giovanni Bazoli, l’ultimo “grande vecchio” rimasto sulla scena della finanza italiana ma ormai in uscita da Intesa Sanpaolo, che da oltre un anno stava cercando senza successo un cavaliere bianco pronto a mettere soldi in Rcs, avrebbe “benedetto” l’impresa e non avrebbe escluso di essere disponibile a diventare il presidente del nuovo gruppo editoriale a giochi fatti. Tutte queste voci, tuttavia, per quanto possano riportare interesse sul titolo non possono far dimenticare che Via Solferino, anche per errori propri (come l’inopportuna espansione spagnola), ha vissuto un autentico crepuscolo, con una quotazione crollata dai 21 euro del maggio 2005 (l’estate dei “furbetti del quartierino” che con Stefano Ricucci provavano a conquistare Via Rizzoli), o anche solo dai 15 euro di esattamente 10 anni fa alle quotazioni attuali.

Per i soci “storici” Rcs MediaGroup è stato un bagno di sangue ed è comprensibile che non possano essere contenti di un’offerta che potrebbe consentire a Urbano Cairo di rimanere il solo uomo sulla plancia di comando senza dover sborsare un euro (ma apportando un asset sano come Cairo Communication). Ma per molti investitori istituzionali, cui fa ormai capo la maggioranza del capitale, l’offerta dell’editore di La7 potrebbe bastare, magari dopo un ulteriore rialzo.

Nel frattempo gli eredi Agnelli si faranno un nuovo salotto editoriale fondendo La Stampa con La Repubblica e Il Secolo XIX (senza scordarsi il 43,4% dell’Economist) e il gruppo Berlusconi, dopo aver rilevato con Mondadori  le attività di Rizzoli Libri, conferirà Mediaset Premium a Vivendi (e non è detto si fermi qui) in cambio di una partecipazione nel colosso francese. Ormai più che “se” è solo una questione di “quando” l’editoria italiana, finora ultimo baluardo degli scenari economici e politici del XX secolo, cambierà volto e controllo.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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