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Opinioni

Yusupha Joof è bruciato vivo per tre pomodori, ed erano i nostri

Yusupha Joof è morto in un incendio che non sarebbe potuto scoppiare in nessuna delle nostre case, per questo dico che Yusupha è stato ammazzato per tre pomodori.
A cura di Saverio Tommasi
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Yusupha Joof
Yusupha Joof

Guardate i suoi occhi.
Li vedete?
Lui è Yusupha Joof, ed è morto nell'incendio scoppiato nell'insediamento dei braccianti a Torretta Antonacci, nelle campagne tra San Severo, Foggia e Rignano Garganico.

Buoni i pomodori, vero? Non costano neanche molto. Lo dico a voi come lo dico a me stesso: costano poco perché qualcuno è sottopagato, che vuol dire sfruttato, che vuol dire schiavo. Perché davvero io altre parole per identificare chi vive in una baracca a lato del campo agricolo, non ne ho.
Non possiedo altro termine per identificare chi fa i bisogni in un buco e spesso muore incendiato, che non sia "schiavo".

Yusupha è morto per un incendio che non sarebbe potuto scoppiare in nessuna delle nostre case, perché le nostre case sono costruite con materiali migliori, e quando i materiali non sono ignifughi sono comunque più resistenti, e poi noi abbiamo il salvavita alle prese elettriche, e l'acqua la possiamo mettere a raffreddare in un frigo che sta su un piano che sta in una cucina, non in una stanza dove deve starci tutto e da dove se scoppia un incendio si fugge male, o come Yusupha non si scappa proprio.

Ci sono stato tante volte in queste baracche chiamate "ghetto". Le zone in cui sorgono questi accampamenti le chiamano così proprio coloro che ci vivono: ghetti. Il termine è pessimo e indica un confinamento coatto, ce lo spiega la storia: si chiamavano così i reparti ghetto nelle fabbriche dove venivano spediti i sindacalisti, poi i ghetti ebraici, oggi semplicemente quelle zone povere e diroccate delle città, dove trovano rifugio obbligato persone emarginate di varia provenienza, poveri, malati e alcolisti.

Le ho fotografate e riprese in video, quelle baracche. Sono costruite sempre uguali: cartoni e plastica intorno, perché il sole spezza ma la pioggia è una nemica ancora più grande. A volte lastroni di lamiera, recuperate da qualche cantiere abbandonato, o salvate da un incendio di una baracca di qualcuno che non si è salvato, prima di te. Così che dentro queste baracche di lamiera d'estate si raggiungono i gradi di un forno e d'inverno quelli dell'esterno, perché la lamiera copre ma non protegge.
Tutto è utile per tirare su queste baracche, come i passerotti quando fanno il nido. E come dei nidi, sono facilmente incendiabili.

Mi raccomando l'uso del verbo: le baracche dei ghetti non si costruiscono ma "si tirano su", letteralmente, senza fondamenta, appoggiando i pezzi a terra o quasi.

Chissà come si muore, avvolti dalle fiamme. Yusupha e tanti prima di lui non possono raccontarcelo, perché è una caratteristica comune del morire: non poter tornare indietro a dialogare con chi resta.
Si muore soli ma non in un attimo, e non credo nel sonno, quando si muore bruciati vivi.

Sono buoni i pomodori.
Pomodori verdi, fritti e ripieni.
I pomodori sono il frutto della stagione, sono un pezzo della bandiera italiana.
I pomodori sono anche rossi come il fuoco, guarda a volte il caso.

Nel pieno della stagione – fra luglio e settembre – sono migliaia i lavoratori sotto il sole, chinati a raccogliere pomodori per 30 euro al giorno, a volte 20 ma comunque mai più di 35, e quel che gli serve per mangiare devono comprarselo nella baracchina degli alimentari gestita dal solito padrone che già li sfrutta nei campi, così che il padrone possa guadagnare anche mentre loro mangiano o vanno in bagno, perché comunque la carta igienica sempre da lui la devono comprare.

La maggioranza delle persone che lavorano nei campi sono immigrati regolarmente soggiornanti, alcuni addirittura sotto protezione internazionale, o in attesa di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, o in attesa di qualcosa e basta.

La vita nei campi è dura, ma spesso non è neanche vita, è l'attesa di una vita futura che non arriva.

E nel frattempo noi cosa facciamo? Guardiamo e raccontiamo Youssef e i suoi occhi, e tutti quelli prima di lui compresi quelli con gli occhi brutti o piccoli, o che si erano scordati una foto che li ha resi dei modelli prima di ardere vivi con i desideri intatti.

Ora vi saluto, l'articolo è terminato e vado a fare la spesa, sono un uomo moderno e la spesa la faccio io. A proposito: oggi fa più caldo di ieri, che già faceva più caldo di due giorni fa. Per fortuna al centro commerciale dove vado io c'è l'aria condizionata, così trovo i pomodori già freschi.

Contraddizioni.

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Sono giornalista e video reporter. Realizzo reportage e documentari in forma breve, in Italia e all'estero. Scrivo libri, quando capita. Il più recente è "Siate ribelli. Praticate gentilezza". Ho sposato Fanpage.it, ed è un matrimonio felice. Racconto storie di umanità varia, mi piace incrociare le fragilità umane, senza pietismo e ribaltando il tavolo degli stereotipi. Per farlo uso le parole e le immagini. Mi nutro di video e respiro. Tutti i miei video li trovate sul canale Youmedia personale.
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