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Covid 19

Record di morti, zero nascite e collasso sanitario: gli effetti della pandemia fotografati da Istat

Il rapporto annuale dell’Istat scatta una fotografia dell’Italia e di quanto il Paese sia cambiato dal punto di vista economico e sociale con la pandemia di Coronavirus. Dai dati sulla mortalità in eccesso all’impatto delle chiusure sull’istruzione e sulle imprese, passando per la sanità e l’ambiente, ecco tutti i principali elementi del report.
A cura di Stefano Rizzuti
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Dopo oltre un anno di pandemia è l’Istat a fotografare la situazione del Paese attraverso il suo 29esimo rapporto annuale. Un documento che quest’anno è stato reso ancora più complesso dall’emergenza sanitaria legata al Covid che ha caratterizzato il 2020 e che comporterà importanti conseguenze anche per il futuro. Di fatto si tratta del primo rapporto che può permettere di valutare l’impronta lasciata dalla pandemia sull’economia ma anche sulla vita sociale del Paese. L’Italia esce da un anno che ha visto una riduzione dell’8,9% del Pil con un crollo della domanda interna e dei consumi. Il primo trimestre del 2021 fa vedere un incremento dello 0,1%, migliore rispetto al dato delle grandi economie europee. E la crescita del Pil è stimata al 4,7% per il 2021.

L’economia italiana dopo la pandemia

I primi segnali positivi arrivano in primavera, con l’aumento della produzione industriale e del commercio estero. Resta da recuperare un crollo dei consumi che ha portato anche a un aumento della propensione al risparmio sia nel 2020 che nel primo trimestre di quest’anno. Il reddito disponibile per le famiglie italiane è in calo del 2,8% nel 2020, con un netto aumento delle prestazioni sociali (quasi il 10% in più). In forte crescita la povertà assoluta che riguarda più di 2 milioni di famiglie: il 7,7% contro il 6,4% pre-pandemia e un peggioramento più marcato al Nord che al Sud Italia.

Il calo delle nascite, la mortalità e l'impatto sanitario

Il 2020 è stato l’anno che ha fatto segnare il nuovo minimo storico di nascite, soprattutto alla fine del 2020 e all’inizio del 2021, il che vuol dire che i concepimenti sono diminuiti durante la pandemia. La prima inversione di tendenza si è registrata a marzo del 2021 e ha riguardato più famiglie italiane che straniere (dato in controtendenza rispetto al passato). Allo stesso tempo il numero di decessi è il più alto registrato nel secondo dopoguerra: sono 746mila totali, 100mila in più della media dal 2015 al 2019, con un eccesso di mortalità del 15%. Scende di oltre un anno la speranza di vita e l’eccesso di mortalità si conferma – seppur in maniera minore – anche nel 2021. Non aumentano solo le morti per Covid, ma anche quelle per altre cause: polmoniti, influenza, cardiopatie, diabete.

I decessi per Covid: incide anche livello di istruzione

Un elemento che emerge è l’incidenza del livello di istruzione sulla mortalità: le persone istruite sono quelle più colpite, soprattutto nelle aree in cui si è registrato un maggiore incremento della mortalità. Cresce il numero di decessi tra gli uomini più che tra le donne, soprattutto a causa del Covid. Le prestazioni sanitarie sono diminuite nel 2020, con effetti che potrebbero riverberarsi in futuro sulla salute della popolazione: il calo delle prestazioni – soprattutto le visite specialistiche e le riabilitazioni – è stato del 20,3% nel 2020, con un tasso maggiore nella fascia pediatrica. Altro dato da segnalare è il crollo dei matrimoni: sono stati meno di 97mila, la metà rispetto al 2019, con un calo più marcato al Sud. Questa riduzione potrebbe avere, almeno nel breve periodo, anche effetti negativi sulle nascite.

Il capitale umano: la scuola, l’università e il lavoro

Il ritardo sul grado di istruzione dell’Italia è ancora ampio, nonostante un recupero almeno sui diplomati. Per i laureati, però, l’Italia continua a essere il penultimo Paese in Ue, con un tasso di conseguimento della laurea nettamente inferiore alla media europea: 27% contro 40% tra i 30 e i 34 anni. Il ritardo dell’Italia deriva da un basso tasso di ingresso all’università e da un’alta probabilità di insuccesso: solo la metà dei diplomati infatti si iscrive all’università e solamente un terzo dei 25enni si laurea. Ben il 13% dei giovani tra i 18 e i 24 anni ha abbandonato precocemente gli studi, con al massimo la licenza media (in Europa siamo al 10%). Si conferma, poi, una maggiore facilità di inserimento nel mondo del lavoro per i laureati, con un calo dell’occupazione tra i diplomati che è stata maggiore con la pandemia rispetto a chi ha un’istruzione più elevata. In generale in Italia sono più le donne laureate degli uomini, così come sono di più quelle iscritte rispetto ai loro colleghi maschi.

Sul capitolo scuola e pandemia, invece, ci sono alcuni dati riguardanti la partecipazione degli studenti alla dad: tra aprile e giugno del 2020 l’8% degli iscritti delle scuole primarie e secondarie non ha partecipato alle video-lezioni, con percentuali più elevati al Sud e nelle primarie. Ancora più alta la percentuale tra gli alunni con disabilità (23%). Il dato positivo, però, è l’aumento dell’utilizzo di internet tra gli under 14 (+21% nei bambini dai 6 ai 10 anni). Su questo aspetto i bambini italiani erano in ritardo rispetto ai coetanei europei e hanno in parte recuperato il gap, anche e soprattutto per quanto riguarda l’uso didattico dei dispositivi. Al contrario, però, la didattica a distanza forzata dovrebbe comportare – secondo quanto emerso dal rapporto – effetti negativi sulle competenze medie, come confermato dalle famiglie italiane che sottolineano come uno studente su quattro abbia avuto ricadute sul rendimento scolastico. Inoltre vengono segnalati anche problemi collegati allo sviluppo relazionale ed emotivo come disturbi alimentari, del sonno, paura del contagio.

Le imprese italiane e l'impatto ambientale

Gli ultimi capitoli del rapporto annuale riguardano il mondo delle imprese, ma anche gli investimenti e l’ambiente. L’Italia si è trovata di fronte alla sfida del Covid non avendo ancora superato, dal punto di vista economico e occupazionale, la crisi del 2008. L’emergenza ha portato a sottolineare come la capacità delle imprese di reagire al Covid sia associata al comportamento precedente sul tema dell’innovazione e degli investimenti: chi ha fatto di più in passato ha accumulato un vantaggio. Le imprese che hanno risposto meglio sono quelle più solide e robuste, ma anche più grandi. Anche perché le piccole spesso rappresentano i settori più in difficoltà, come il turismo o il trasporto. Di positivo c’è l’aumento della diffusione del telelavoro, seppur rimangano anche qui differenze relative al livello di istruzione dei lavoratori (i più istruiti ricorrono maggiormente al lavoro agile).

Cresce l’uso dei servizi online per cittadini e imprese, con segnali incoraggiamenti anche per gli investimenti che potrebbero aumentare – almeno nel settore pubblico – grazie al Pnrr. Altra questione è quella ambientale: in Italia dal 2008 al 2019 si è registrata una riduzione dell’emissione dei gas serra del 25,5%, contro una media Ue più bassa (17,5%). Inoltre nel 2020, anno della pandemia, la riduzione stimata è quasi del 10%. La maggiore riduzione delle emissioni in Italia rispetto ad altri Paesi, comunque, è legata anche alla mancata crescita dell’economia. Ma ci sono anche altre spiegazioni: l’uso di tecnologie meno inquinanti, il rinnovamento del parco auto anche se a fronte di dati meno incoraggianti sull’efficientamento energetico di abitazioni e imprese. Resta alto, inoltre, il dato dell’inquinamento atmosferico nella città, soprattutto in quelle più grandi.

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