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La sconfitta del Quirinale ha cambiato Mario Draghi: il “migliore” ora fa paura ai partiti

La politica italiana vive un momento a dir poco surreale: partiti divisi su tutto e pronti a polemizzare su qualunque cosa. Una guerriglia sterile e stucchevole, che serve per rosicchiarsi qualche zero virgola, ma che non aiuta nessuno. E la battaglia del Quirinale ha cambiato Mario Draghi.
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Tutto si può dire dei leader politici che ci ritroviamo, tranne che non ci abbiano provato. La storiella secondo cui Draghi fosse una risorsa imprescindibile per il Paese, al punto da non poterlo spostare da Palazzo Chigi al Quirinale, l’hanno raccontato e ripetuta fino allo sfinimento, spesso addirittura senza ridere, con la speranza di renderla almeno un minimo credibile. Il problema è che più che i cittadini avrebbero dovuto convincere uno come Draghi, che non è proprio a digiuno di esperienza e conoscenza dei meccanismi della politica. La questione è sempre stata molto più semplice: non c'era convergenza sul suo nome al Colle, tra veti espliciti dei partiti e malessere trasversale anche nel campo dei suoi più ferventi sostenitori. Che lo abbia capito da tempo lo stesso Draghi è cosa nota, emersa infine in tutta la sua crudezza nell’ultima conferenza stampa del Presidente del Consiglio.

Ho visto che tanti politici e non solo mi candidano a tanti posti in giro per il mondo, mostrando una sollecitudine straordinaria nei miei confronti. Io li ringrazio moltissimo ma, tra l'altro, vorrei rassicurarli che, se per caso decidessi di lavorare dopo questa esperienza, probabilmente un lavoro me lo trovo anche da solo, eh”. Ci si è molto soffermati su questo passaggio della conferenza stampa, giustamente, considerando il tono infastidito e piccato di Draghi alle domande sull'orizzonte della sua esperienza politica.

Meno si è detto del contesto dello sfogo, che è lo stesso in cui si troverà a operare il Presidente del Consiglio nei prossimi mesi. Siamo a un anno esatto dal suo giuramento ed evidentemente le cose non sono andate come programmato, in particolare per la decisione di negargli la poltrona del Quirinale, cercata, voluta, addirittura pretesa. La scelta del secondo mandato a Sergio Mattarella lo obbliga a restare a Palazzo Chigi, ma è anche ragione sufficiente per considerare rotto quel patto di non belligeranza coi partiti, che ne aveva guidato le prime mosse, nomine incluse. Detto in altre parole, quello che vedremo nei prossimi mesi sarà certamente un altro Draghi, meno incline al compromesso e più decisionista, per nulla spaventato dalla prospettiva di alzare il livello dello scontro coi partiti. Non è un caso che sia stato così netto nel respingere la proposta di federatore del nuovo centro, tentativo dei suoi fedelissimi di blandirlo e prospettargli un futuro politico, un po' come fu per Monti anni addietro. Non il massimo, decisamente, per quella che è e resta la personalità italiana più rispettata e considerata oltre i confini nazionali.

La verità è che quella di “Draghi governa da solo, senza ascoltare nessuno” è sempre stata una favoletta buona a costruire l’immagine del “migliore” che si fa carico di salvare un Paese sull'orlo del baratro. Nella realtà, dalla costruzione della squadra alle prime nomine, dalla conferma delle scelte in campo economico ai provvedimenti chiave, Draghi ha sempre scelto la linea della concertazione e del compromesso (peraltro normale, considerando la natura “tecnica” della sua reggenza a Chigi), certamente riservandosi maggiori margini di manovra nella gestione della pandemia e nelle relazioni internazionali. Peraltro, segnaliamo che anche nelle modalità del suo operato, tra Dpcm e decreti e circolari interpretative, un vero e proprio cambio di passo non si è mai registrato.

La partita del Quirinale ha cambiato tutto. I partiti si sono assicurati il completamento della legislatura, con una scelta che ha però inquinato il clima in maniera irreversibile, avviando la lunga campagna elettorale delle politiche del 2023 nel modo peggiore possibile. Tra contrapposizioni, veti e polemiche continue, questa compagine scalcagnata che non è riuscita a trovare un nome condiviso per il Quirinale e non avrebbe saputo impostare un'alternativa per Chigi, chiede solo di tirare a campare, con leader che cercheranno di volta in volta di ritagliarsi piccoli o grandi spazi di visibilità. Immaginare che Draghi resti a fare il curatore di interessi di parte, il garante di un'equa spartizione di incarichi e prebende del Pnrr o anche solo della stabilità del sistema, senza incidere in alcun modo sui processi, è pura speculazione teorica.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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