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Obbligo di Green Pass al lavoro, o niente stipendio: la proposta di Confindustria

Utilizzare il Green Pass anche per accedere al luogo di lavoro, pena l’attribuzione di altre mansioni, ma anche la sospensione dall’impiego (e quindi dallo stipendio): è questa la proposta di Confindustria destinata a far discutere. Il dibattito è aperto: da un lato si sottolinea come, dal momento in cui la legge non prevede un obbligo vaccinale contro il coronavirus meno che per le professioni sanitarie, si apra un problema di privacy, mentre dall’altro c’è chi afferma che sia una facoltà legittima del datore di lavoro, che deve tutelare la salute degli altri dipendenti.
A cura di Annalisa Girardi
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Da giorni ormai si discute animatamente sulla possibilità di rendere il Green Pass obbligatorio, oltre che per i grandi eventi, anche per entrare in bar e ristoranti o per prendere un treno o un aereo. E da Confindustria arriva una proposta che animerà sicuramente ancor di più il dibattito: quella di utilizzare il Green Pass anche per accedere al luogo di lavoro. E chi non ce l'ha può essere spostato ad altre mansioni, ma anche sospeso dall'impiego, e quindi dallo stipendio. A dare la notizia è il quotidiano Il Tempo, che riporta una mail inviata dalla direttrice generale, Francesca Marinotti, in cui si legge che "l'esibizione di un certificato verde valido dovrebbe rientrare tra gli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede su cui poggia il rapporto di lavoro". 

E, sempre nella mail, si spiegano quali potrebbero essere le conseguenze per chi non si è dotato di Green Pass: "Il datore, ove possibile, potrebbe attribuire al lavoratore mansioni diverse da quelle normalmente esercitate, erogando la relativa retribuzione; qualora ciò non fosse possibile, il datore dovrebbe poter non ammettere il soggetto al lavoro, con sospensione della retribuzione in caso di allontanamento dell'azienda".

Sulla questione, però, è già stata sollevata la questione della privacy: il vaccino contro il coronavirus, a meno che non si parli delle professioni sanitarie, non è obbligatorio nel nostro Paese e quindi così facendo l'azienda andrebbe a richiedere un'informazione, quella sull'esecuzione o meno del vaccino, che non le è data sapere. Altri, invece, ritengono che sospendere un lavoratore non vaccinato per tutelare la salute degli altri dipendenti sia nelle facoltà del datore di lavoro. Insomma, se da un lato nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario se non lo dispone la legge (come ribadisce l'articolo 32 della Costituzione italiana), ma dall'altro l'articolo 2087 del Codice civile afferma anche che l'azienda sia obbligata ad adottare tutte le misure necessarie per assicurare l'integrità fisica dei suoi dipendenti.

Anche i sindacati sono intervenuti sul tema. "Spero che sia il caldo. In questo anno di pandemia i lavoratori sono sempre andati in fabbrica in sicurezza. Rispettando i protocolli e le norme di distanziamento. Non sono le aziende che devono stabilire chi entra e chi esce. Una scelta di questo tipo la può compiere solo il governo", ha commentato il segretario della Cgil Maurizio Landini in un'intervista con La Stampa. Secondo il sindacalista quella di Confindustria sarebbe una "forzatura". E ha concluso: "Io mi sono vaccinato e sono perché tutti si vaccinino. Ma non va mai dimenticato che i lavoratori sono cittadini e hanno i diritti e i doveri di tutti i cittadini. Confindustria, piuttosto, si preoccupi di far rispettare gli accordi contro i licenziamenti".

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