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Opinioni

La nuova battaglia dei 5 Stelle: abolire l’impignorabilità dello stipendio dei parlamentari

Il Movimento 5 Stelle ha presentato una proposta di legge per abolire la legge del 1965 che impedisce ai creditori dei deputati e dei senatori di rivalersi sull’indennità e sulla diaria. Per la deputata Spadoni la non pignorabilità degli stipendi parlamentari è “un privilegio inaccettabile che va cancellato”.
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I cittadini pagano le tasse e non godono di nessun privilegio; se anzi si trovano in difficoltà il loro stipendio può essere pignorato. Mi chiedo allora: perché un cittadino viene penalizzato rispetto ad un parlamentare? Ebbene, ho deciso di porre fine a questa ingiustizia depositando una proposta di legge che rispetti il principio di eguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione: i parlamentari devono essere trattati esattamente come un qualsiasi altro lavoratore italiano”. Con queste parole la vicepresidente della Camera dei deputati, la grillina Maria Edera Spadoni, ha annunciato la proposta di legge che prevede la modifica della legge numero 1261 del 1965, nella parte in cui si occupa della retribuzione dei parlamentari sancendo che “l’indennità mensile e la diaria non possono essere sequestrate o pignorate”. Bisogna tuttavia specificare fin da subito che, se è vero che indennità e diaria non sono pignorabili, non è corretto parlare di parlamentari al riparo dai pignoramenti, che possono essere fatti sugli altri beni / conti correnti "non direttamente collegati" agli emolumenti da parlamentare.

Non è la prima volta che in Parlamento approda una proposta del genere. Solo nella scorsa legislatura furono depositate proposte simili da parte del deputato di Sinistra Italiana Gianni Melilla, del senatore Bartolomeo Pepe, eletto col Movimento 5 Stelle ma poi passato al gruppo Grandi Autonomie e Libertà, dal senatore del Movimento 5 Stelle Maurizio Buccarella e da un altro ex grillino, il deputato Cristian Iannuzzi. Per nessuna di queste proposte è iniziato l’iter di discussione in Commissione.

Tutti i proponenti concordavano su un punto: le ragioni che portarono alla norma derogatoria in favore del mandato parlamentare, possono ormai dirsi superate, dunque nell’ipotesi in cui un parlamentare sia condannato a risarcire un danno, e non sia intestatario di altri beni aggredibili, si configurerebbe per lui un trattamento diverso rispetto a quello dei semplici cittadini, in violazione dell’articolo 3 della Costituzione. La costituzionalità della norma approvata nel 1965, in realtà, non è mai stata messa in discussione, considerando che sembra essere nata per rafforzare un presidio democratico, come spiegava a Report l’avvocato Fulvio Pastore: “La ragione è quella di evitare che dei terzi creditori pignorino queste somme privando i parlamentari dei mezzi di sussistenza e in qualche modo ne vadano a condizionare la libertà e l’autonomia”.

Altra questione è invece quella relativa alla attualità di una norma di questo tipo, con lo stesso Pastore che parlava del venir meno di ogni “ragione storica oggettiva per mantenere questo privilegio”. Anche perché le cronache riportano esempi eclatanti di somme mai restituite da parlamentari più o meno “esposti” con alcuni creditori che, nel corso del loro mandato parlamentare, si sono trincerati dietro l’impignorabilità prima di stipendio e diaria, poi dei vitalizi.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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