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Gregoretti, via libera definitivo del Senato al processo a Salvini: 152 voti favorevoli

Il Senato non salva il leader della Lega, Matteo Salvini, dal processo sul caso Gregoretti. L’aula di Palazzo Madama ha bocciato l’ordine del giorno presentato da Forza Italia e Fratelli d’Italia che chiedeva, in sostanza, di negare l’autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro dell’Interno. I voti contrari alla proposta sono stati 152, quelli favorevoli 76: la Lega non ha votato.
A cura di Annalisa Girardi
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Il Senato non salva Matteo Salvini dal processo sul caso Gregoretti. L'Aula di Palazzo Madama ha votato contro l’ordine del giorno presentato da Forza Italia e Fratelli d’Italia, a firma di Bernini e Ciriani, che chiedeva di esprimersi in maniera difforme dalla Giunta per le autorizzazioni del Senato chiedendo, dunque, di negare l’autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro dell’Interno. Oggi l'Aula del Senato era chiamata a esprimersi sul caso Gregoretti, per cui l'ex ministro dell'Interno, Matteo Salvini, è accusato di sequestro di persona per non aver autorizzato lo sbarco di circa 130 migranti dalla nave della Guardia costiera che li aveva soccorsi nel Mediterraneo. I voti contrari all'odg sono stati 152, quelli favorevoli solo 76, con i senatori della Lega che hanno lasciato l'Aula e non hanno votato. La maggioranza assoluta (che sarebbe servita per salvare il leader della Lega) era fissata a 160 voti.

Ieri sera Fratelli d'Italia e Forza Italia avevano tentato un salvataggio all'ultimo minuto per evitare a Salvini il processo, presentando un ordine del giorno a Palazzo Madama per ribaltare l'esito del voto dello scorso 20 gennaio della Giunta delle Immunità di palazzo Madama. Un documento che richiamava al caso Diciotti per dimostrare come l'azione dell'ex ministro dell'Interno fosse legittima: "Il Senato non potrebbe mai prescindere dalla valutazione oggettiva del precedente della Diciotti e dal decisum adottato in tale circostanza: una soluzione diversa potrebbe infatti essere prospettata solo qualora le divergenze tra i due casi fossero ritenute tali da giustificare, attenendosi ad un principio di ragionevolezza, un'eventuale decisione difforme rispetto a quella adottata per il caso Diciotti".

La strategia di Salvini e gli avvertimenti dalla coalizione

Anche nei giorni scorsi Salvini aveva affermato di non voler fare passi indietro e di essere pronto a presentarsi in tribunale. In una diretta Facebook il leader leghista aveva sottolineato: "Domani c'è il processo. Ribadisco: ritengo che un processo nei miei confronti sia privo di qualsiasi fondamento, perché ho difeso l'interesse nazionale e ho protetto l'Italia, gli italiani, i miei e i vostri figli, controllando chi entra e chi esce da questo Paese e svegliando i signori che in Europa dormivano. Se Partito democratico, Movimento Cinque Stelle e Italia Viva invece ritengono che sia un crimine io non scappo, non ho paura, male non fare e paura non avere, e andrò in quel tribunale chiedendo ai giudici di riconoscere che la difesa della patria non è un diritto ma un dovere, di ogni cittadini e quindi di ogni ministro. se mai dovessero essere processati anche quei ministri che hanno spalancato porti e frontiere facendo arrivare migliaia e migliaia di persone".

Una strategia di questo tipo era stata sconsigliata dalla senatrice leghista e avvocata Giulia Bongiorno: "Il mio timore non è l’esito del processo ma i tempi. L’idea che un uomo possa rimanere per anni e anni a processo non dovrebbe piacere a nessuno. E questo certamente lo farò presente a Matteo Salvini. Lui pensa di andare in aula e dimostrare davanti a tutti in tempi brevi che ha ragione. Però, questo rischia di non succedere. I tempi potrebbero essere lunghissimi e c’è il problema di restare bloccati per anni, ostaggi del processo". Secondo alcuni consiglieri giuridici del leader leghista l'autorizzazione al processo da parte dei parlamentari del Carroccio sarebbe equivalente a un'ammissione di colpa, e potrebbe, quindi, rivelarsi un autogol politico.

L'implicazione di Giuseppe Conte

La strategia difensiva di Salvini, oltre che sulla retorica della difesa dei confini, si è sempre concentrata sul ruolo del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e del ministro Luigi Di Maio. Quando il tribunale dei ministri aveva chiesto l'autorizzazione a procedere contro il leader leghista nel caso Diciotti, questi era stato salvato in Parlamento proprio dal Movimento Cinque Stelle. Secondo il Carroccio ora i pentastellati e Conte starebbero cambiando posizione solo per convenienza politica, quando al momento degli eventi non si sono minimamente opposti alle azioni per cui oggi Salvini è accusato.

"Tutta la fase decisionale riguardante lo sbarco è stata gestita dall'allora ministro dell'Interno, che l'ha anche rivendicata, come attestano le dichiarazioni pubbliche dell'epoca. Peraltro la vicenda risale al luglio 2019, quando era già in vigore il cosiddetto decreto "sicurezza bis", fortemente voluto dal ministro Salvini proprio allo scopo di rafforzare la competenza del Viminale", ha sempre affermato Conte. "Se qualcuno mi contesta il generale indirizzo politico sul tema delle migrazioni, sono pronto a risponderne. Le mie posizioni sul punto, formali e informali sono tutte documentate e non è mia abitudine sottrarmi alle responsabilità. Se però devo rispondere della specifica decisione riguardante lo sbarco di una nostra nave in un nostro porto, non posso affermare di essere stato coinvolto se questo non è avvenuto", ha spiegato in passato il presidente del Consiglio.

Il voto dello scorso 20 gennaio in Giunta

Lo scorso 20 gennaio, la Giunta per le immunità parlamentari del Senato aveva dato il via libera all'autorizzazione a procedere contro Salvini sul caso Gregoretti. La Giunta aveva respinto la mozione del presidente Maurizio Gasparri che puntava a negare la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell'ex ministro dell'Interno. A favore della proposta avevano votato i 4 senatori di Forza Italia e quello di Fratelli d'Italia. I 5 leghisti, secondo un'esplicita richiesta del leader, avevano invece respinto la richiesta, confermando quindi il sì al processo. I 10 senatori della maggioranza, invece, avevano deciso di disertare la seduta e non si erano quindi espressi.

La maggioranza aveva lasciato l'Aula in quanto temeva che Salvini, a pochi giorni dalle elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria, potesse strumentalizzare la vicenda a suo favore. La strategia della vittima di una magistratura politicizzata a sinistra, tuttavia, è stata messa in discussione dalla sconfitta in Emilia Romagna. Andare a processo "insieme a 60 milioni di italiani", come più volte affermato del segretario del Carroccio, potrebbe mettere in serio pericolo la sua ascesa a palazzo Chigi: e questo Salvini lo sa bene.

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