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Gregoretti, Salvini non ha i numeri per scampare al processo e prova a fare il martire

“Mercoledì vado in Aula assolutamente tranquillo. È sicuro che passerà la richiesta di processo ai miei danni: spero solo che facciano in fretta. Gli italiani devono sapere se difendere i confini è un diritto e un dovere di un ministro o seppure è un crimine”: così Matteo Salvini nega qualsiasi ipotesi di dietrofront sul voto in Aula. Tuttavia fino al prossimo 12 febbraio gli scenario rimarranno incerti.
A cura di Annalisa Girardi
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"Non vedo l'ora di andare in tribunale e guardare negli occhi quel giudice per spiegargli che difendere i confini del mio Paese era un mio diritto e un mio dovere: non è stato un crimine": così Matteo Salvini torna sulla questione del caso Gregoretti, per cui il prossimo 12 febbraio l'Aula sarà chiamata a votare se mandare o meno a processo il leader della Lega. "Mercoledì vado in Aula assolutamente tranquillo. È sicuro che passerà la richiesta di processo ai miei danni: spero solo che facciano in fretta. Gli italiani devono sapere se difendere i confini è un diritto e un dovere di un ministro o seppure è un crimine".

Il segretario del Carroccio sembra quindi smentire le indiscrezioni che lo vedevano fare dietrofront sul caso Gregoretti: secondo la stampa, Salvini avrebbe chiesto ai parlamentari leghisti di non votare più l'autorizzazione a procedere contro di lui, come avevano invece fatto lo scorso 20 gennaio. L'ex ministro avrebbe cambiato idea e non spingerebbe più i suoi ad approvare il via libera al processo dopo l'avvertimento della senatrice Giulia Bongiorno, secondo cui un voto favorevole dei leghisti indebolirebbe troppo la strategia difensiva. "Nessuna richiesta di negare questa possibilità di giudizio", dice però ora Salvini, negando la notizia secondo cui sarebbe già stata comunicata al capogruppo Massimiliano Romeo la volontà di fare marcia indietro.

Bisognerà aspettare mercoledì per conoscere la strategia finale che i leghisti decideranno di adottare sul caso Gregoretti. I parlamentari del Carroccio e Salvini saranno sicuramente in Aula, una presenza mai messa in discussione. Per prima cosa prenderà la parola la senatrice Erika Stefani, che illustrerà il voto della Giunta dello scorso 20 gennaio, quando i leghisti votarono per mandare Salvini a processo dietro esplicita richiesta del leader. Poi interverrà anche lo stesso Salvini, che con ogni probabilità cercherà di dimostrare il coinvolgimento di Giuseppe Conte nella decisione di trattenere i migranti a bordo della nave Gregoretti, in modo da addossarne la colpa all'intero governo.

Mentre il resto dell'opposizione, tra Forza Italia e Fratelli d'Italia, si preparano a contrastare la richiesta di processo, Movimento Cinque Stelle, Partito democratico, Italia Viva e Liberi e Uguali voteranno per mandare Salvini in tribunale. L'esito è scontato. L'Aula autorizzerà il processo: Salvini non ha i numeri per evitarlo. Potrebbe quindi decidere, come sembrano affermare le sue ultime dichiarazioni, di continuare a dipingersi come una vittima della magistratura politicizzata che cerca continuamente di incastrarlo mentre lui vuole solo difendere gli interessi degli italiani. Oppure potrebbe ascoltare i suggerimenti di Bongiorno, secondo cui un'autorizzazione favorevole da parte dei leghisti si tradurrebbe in un autogol, e abbandonare l'Aula insieme ai suoi.

"Il mio timore non è l’esito del processo ma i tempi. L’idea che un uomo possa rimanere per anni e anni a processo non dovrebbe piacere a nessuno. E questo certamente lo farò presente a Matteo Salvini. Lui pensa di andare in aula e dimostrare davanti a tutti in tempi brevi che ha ragione. Però, questo rischia di non succedere. I tempi potrebbero essere lunghissimi e c’è il problema di restare bloccati per anni, ostaggi del processo", aveva detto la senatrice leghista. La strategia della vittima, su cui Salvini aveva puntato tutto prima delle elezioni regionali, è stata messa in discussione dalla sconfitta in Emilia Romagna e ora Salvini potrebbe realizzare che andare a processo "insieme a 60 milioni di italiani", come da lui più volte affermato, potrebbe mettere in serio pericolo la sua ascesa a palazzo Chigi.

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