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Genova 2001 e la nascita dei nuovi media: come i movimenti rivoluzionarono la comunicazione

Il G8 del 2001 rappresentò anche l’avvento di un nuovo tipo di comunicazione. Lo slogan di Indymedia era “Non odiare i media, sii il tuo media”. Mediattivisti, cittadini e giornalisti parteciparono ad una grande esperienza di giornalismo dal basso. I media tradizionali dovettero considerare i video, le immagini e le testimonianze che arrivavano dai media center del movimento come fonte primaria. Nasce la figura del videoreporter, in quell’evento che segnò la comparsa in Italia del citizen journalism. Così Genova condizionò lo sviluppo della comunicazione degli anni successivi.
A cura di Antonio Musella
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Se sappiamo cosa è avvenuto a Piazza Alimonda il 20 luglio 2001, con la morte di Carlo Giuliani colpito da un proiettile sparato dal carabiniere Mario Placanica, se sappiamo quali sono state le violenze che le forze dell'ordine hanno riservato a chi manifestava in via Tolemaide e in tutta la città di Genova il 20 e 21 luglio 2001, se conosciamo gli orrori del blitz alla scuola Diaz e i massacri sui corpi di decine di persone che in quella scuola stavano semplicemente dormendo, se oggi sappiamo che Genova è stata, come ha scritto Amnesty International, la più grande violazione dei diritti umani dal dopoguerra ad oggi, è perché a raccontare quei giorni c'erano centinaia di persone, attivisti, cittadini comuni, che decisero di imbracciare una telecamera o una macchina fotografica e andare per le strade a raccontare cosa stava succedendo. Il G8 di Genova e la sua narrazione mediatica hanno rappresentato un cambiamento epocale nel mondo della comunicazione. Senza quelle immagini, senza il media center, senza Indymedia, radio Gap e le mille forme di comunicazione messe in campo dal movimento no global in quei giorni, avremmo letto un'altra storia, magari affidata esclusivamente a quei media tradizionali che furono letteralmente travolti dalla potenza comunicativa che i movimenti misero in campo.

La scintilla che ribaltò il paradigma del giornalismo tradizionale

Al G8 di Genova il movimento costruì un media center, alla scuola Diaz. Dentro vi transitarono migliaia di persone. Parliamo di 20 anni fa, non esistevano gli smartphone, non c'era internet veloce, non c'erano i social network. Quell'esperienza fu innanzitutto un hub di competenze e intelligenze che si mettevano insieme e davano vita alla più esaltante esperienza comunicativa di quegli anni che influenzò in maniera decisiva il futuro della comunicazione e del giornalismo nel nostro paese e nel mondo. Alessandro Di Rienzo, tra gli animatori di Indymedia negli anni 2000, attraversò il G8 di Genova con una telecamera. "Divenni mediattivista in quei giorni e solo dopo partecipai attivamente a Indymedia" spiega a Fanpage.it. "Ribaltammo un paradigma della narrazione di un evento – spiega Di Rienzo – basti pensare che il media center era diviso su tre piani, uno per Indymedia, uno per le radio del circuito di Radio Gap e uno per i giornalisti dei media tradizionali, per la prima volta si dava l'alternativa alla stampa ufficiale di avere una postazione di lavoro in un luogo che non era quello classico e tradizionale. Si creò un ponte". Al media center c'erano due reti SDN a 64 k aperte a tutti, all'epoca erano il massimo della potenza possibile per l'upload di immagini e foto, tutti vi potevano accedere e tutti potevano pubblica. Indymedia era caratterizzata proprio da questo, chiunque poteva dare il suo contributo, postare notizie. Un esercizio che dal 2008 in poi con la nascita di Facebook ci sembra normalissimo, ma all'epoca, e questo ci da la dimensione di quanto quell'esperienza fosse stata pionieristica, non era cosa comune. "L'open publish fu la vera novità, oggi ce l'hanno solo i social network, pubblichiamo immagini, foto, audio, all'epoca i cellulari non facevano immagini e non davano la possibilità di pubblicarli. Tu dovevi girare con una telecamera Mini Dv, arrivare al media center, riversare le immagini, comprimerle e pubblicarle, un lavoro che durava ore. Fu fatta una centralina di raccolta dati aperta e orizzontale. Il movimento si dotava di una comunicazione tecnologicamente avanzata".

Lo slogan di Indymedia era "Non odiare i media, sii il tuo media", riuscì a concretizzarsi in una mole impressionante di materiale girato per le strade, nelle piazze che fu la base su cui si costruì, non subito la storia di quell'evento. I giornalisti dei media tradizionali che scelsero di interfacciarsi con quell'esperienza del media center percepirono pienamente la rottura tra ciò che veniva raccontato nei luoghi del G8 e ciò che accadeva veramente. "Ricordo che Giovanna Botteri uscì dal media center sconvolta – racconta Di Rienzo – Riccardo Chartroux, Roberto Scardova rimasero impressionati, scelsero di rapportarsi a quell'esperienza e si trovarono nell'imbuto di dover raccontare cosa avveniva nei media main stream. Per due giorni sui giornali leggevamo che Carlo Giuliani era un punk anarchico con il cane, poi grazie alle immagini prodotte dai movimenti si iniziò a raccontare un'altra storia. Le nostre immagini divennero la fonte principale. Una roba che rompeva i paradigmi". Un cambiamento così forte da determinare la nascita negli anni successivi di figure nuove del giornalismo: "Il mestiere del videoreporter nasce a Genova probabilmente – sottolinea Di Rienzo – nel decennio successivo si è andata strutturandosi come professione, per quanto il mondo classico del giornalismo faceva fatica a riconoscere i videoreporter come giornalisti. Fanpage.it è una di quelle esperienze che si è fondata su questo. Poi l'avvento della tecnologia ha cambiato tutto rafforzando le intuizioni che avevamo avuto a Genova".

La genesi del citizen journalism e la forza della controinchiesta

A Genova c'era anche chi decise che la parte della comunicazione doveva essere un pezzo dentro al corteo. Carmen Sabello di Radio Sherwood, partecipò alle dirette radio nei giorni di Genova: "Posizionammo la radio su un camion al centro del corteo che partì dallo stadio Carlini e fu attaccato dalla polizia a Via Tolemaide – spiega a Fanpage.it – avevamo inviati sparsi in tutta la città che raccontavano ciò che stavano vivendo e vedendo. La radio al centro del corteo trasmetteva tutto in diretta. Noi non avevamo sede alla Diaz ma alla scuola "Pascoli" che era di fronte, e ci trovammo a raccontare il massacro della Diaz con un diretta che durò quasi 48 ore, sentivamo le urla, vedevamo il sangue, abbiamo visto i sacchi neri portati via che all'inizio sembravano che contenessero cadaveri". Radio Sherwood veniva da un'esperienza nei movimenti già lunghissima, ma in quei giorni cambiò il modo di fare informazione. "Fu l'inizio della figura del reporter che raccontava ciò che viveva, altrimenti avremmo avuto di Genova solo la versione della polizia – sottolinea – la nostra presenza lì ci diede la possibilità di fare anche la controinchiesta su ciò che era avvenuto in quei giorni, fino ad affermarla come narrazione storica. Questa cosa è avvenuta anche negli anni successivi, se penso alla vicenda di Stefano Cucchi, non posso che notare come la controinchiesta e la forza delle immagini e delle testimonianze sia stata poi anche negli anni capace di rompere una narrazione a senso unico nei grandi fatti di cronaca". Subito dopo Genova, l'11 settembre cambiò il mondo, aprendo la stagione della guerra globale di George W. Bush, eppure quel modo di comunicare fu decisivo anche nel raccontare il successivo movimento contro la guerra che vide in Italia milioni di persone unite sotto la bandiera della pace. "Possiamo senza dubbio dire che il G8 di Genova è stato l'inizio del citizen journalism in Italia – spiega la Sabello – quel modo di comunicare, i nuovi strumenti tecnologici, hanno poi fatto scuola, permettendo a molte persone di poter diventare reporter. Anche per noi Genova è stata uno spartiacque, ci ha stimolati a fare un giornalismo di altro tipo, con nuovi strumenti, puntando sulla rete, sui video, sulle dirette, ricordo che passammo la radio dall'etere al satellite per arrivare sulle nuove piattaforme".

La comunicazione tradizionale andò in crisi e fu più o meno costretta ad attingere a piene mani da quella nuova forma di documentare, tanto da adeguarsi negli anni successivi, se pensiamo ai nuovi media nati nel decennio successivo. "Possiamo dire che anche il modo di porsi degli apparati di potere ne subì il contraccolpo dovendosi giustificare davanti a quelle testimonianze, perdendo la possibilità di dare una narrazione a senso unico".

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