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Fondi Lega, la Cassazione su Bossi e Belsito: “Nonostante prescrizione la truffa c’è stata”

La Cassazione conferma che la truffa ai danni dello Stato che ha portato alla confisca dei 49 milioni di euro della Lega Nord c’è stata, nonostante la prescrizione del reato – sancita dalla Corte d’appello – per Umberto Bossi e Francesco Belsito. Il partito, secondo i giudici, “non può essere considerato estraneo al reato”.
A cura di Stefano Rizzuti
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La truffa ai danni dello Stato c’è stata. Così, anche se il processo a carico di Umberto Bossi e Francesco Belsito si è concluso con la prescrizione, la Cassazione conferma la sentenza d’appello sulla sussistenza della truffa ai danni dello Stato da parte della Lega. È quanto emerge dalle motivazioni della sentenza della Cassazione del 6 agosto, con cui è stato dichiarato prescritto il reato per Bossi e Belsito: la sentenza d’appello aveva fatto cadere la confisca a carico dei due, ma non quella per i 49 milioni di euro a carico della Lega. Quindi la prescrizione per Bossi e Belsito non cambia la confisca dei 49 milioni disposta nei confronti della Lega Nord.

La confisca dei 49 milioni è relativa “ai rimborsi erogati negli anni 2010, 2011, 2012” e non è mai stata impugnata, ricorda la Cassazione. Quindi resta “ferma” la confisca nei confronti della Lega. Il partito, secondo quanto si legge nella motivazione della sentenza, “non può essere considerato estraneo al reato”. L’accusa si basava sui rendiconti per i quali erano stati chiesti i rimborsi elettorali: la Corte d’appello di Genova contestava la “falsa riconduzione a spese di partito di uscite di denaro che hanno costituito oggetto di condotte illecite di singoli soggetti”.

Nella sentenza viene citata la decisione dei giudici d’appello, ritenendo che in quell'occasione con “logica motivazione” hanno spiegato “le ragioni per le quali ‘le macroscopiche omissioni e gli inadempimenti rilevati' non fossero riconducibili ‘ad una negligente, errata o difforme tenuta della contabilità delle spese del partito, bensì ad un sistema contabile caotico ed incontrollabile, gestito in modo da occultare la destinazione ad illeciti fini privati di consistenti somme uscite in contanti dalle casse e dai conti correnti del partito’”. Secondo la difesa ciò che viene definito come rimborso elettorale sarebbe finalizzato non solo alle campagne elettorali, ma anche alle attività del partito in generale. Ma questa tesi è stata smontata dai giudici della Corte d’appello, così come dalla Cassazione, secondo cui la precedente sentenza non è impugnabile.

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