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Buoni pasto, scatta il tetto alle commissioni da settembre: cosa cambia per chi usa i ticket e per i negozi

Da lunedì 1 settembre 2025 parte il tetto del 5% per le commissioni sui buoni pasto. I ticket non cambieranno il loro valore per i dipendenti che li ricevono: a guadagnarci saranno gli esercenti, che in molti casi vedranno scendere la commissione che devono versare alle aziende che emettono i buoni.
A cura di Luca Pons
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Via al tetto del 5% sulle commissioni per i buoni pasto: da lunedì 1 settembre 2025, nessun ticket potrà superare questa soglia. Il limite era già in vigore per i dipendenti pubblici e ora si allargherà anche al settore privato. La norma ha fatto discutere soprattutto le aziende che emettono i buoni pasto, che perderanno incassi e hanno ‘minacciato' un aumento dei costi per le imprese che li comprano per darli ai propri dipendenti; mentre ha soddisfatto i negozianti, che dovranno pagare loro meno commissioni.

In teoria, per i lavoratori e le lavoratrici che ricevono i ticket non cambierà nulla. Oggi il valore medio di un buono pasto è di 6,75 euro, e si può andare fino a 8 euro esentasse per i buoni digitali: queste soglie non vedranno variazioni, così come le modalità di utilizzo resteranno le stesse.

Chi ci guadagna e chi ci perde con le nuove commissioni sui buoni pasto

La riforma delle commissioni era stata introdotta dal governo Meloni nella legge sulla concorrenza dello scorso anno. L'obiettivo era limitare i danni ai commercianti, che in media dovevano pagare commissioni dell'11%, ma in alcuni casi arrivavano fino al 20%. Questo significa che per ogni dieci euro incassati dai buoni pasto ne dovevano versare due alle imprese che emettono i ticket. Per questo, l'esecutivo ha fissato il paletto al 5%. Come detto, questa soglia era già presente per tutti i buoni rivolti ai dipendenti pubblici (circa 700mila), mentre da settembre riguarderà anche il privato (circa 2,8 milioni di persone).

La norma era poi stata rinviata: un'applicazione graduale, per venire incontro alle aziende coinvolte. Le aziende che erogano i buoni pasto e i negozi che li accettano come pagamento hanno avuto tempo dalla fine dello scorso anno (e hanno ancora qualche giorno, fino al 31 agosto) per aggiornare i propri contratti, riducendo le commissioni al 5%. Tutti i nuovi contratti, firmati da quando la legge è entrata in vigore, hanno dovuto invece rispettare il tetto fin dall'inizio. E ancora: tutti i buoni pasto che vengono emessi con commissioni più alte – perché seguono ancora le vecchie regole – entro il 31 agosto resteranno validi fino al 31 dicembre 2025. Dopodiché, saranno inutilizzabili. Dal 1° gennaio del prossimo anno tutti i ticket avranno una commissione massima del 5%, senza eccezioni.

Cosa cambia per i dipendenti e per i negozi che accettano i ticket

Come spiegato, i cambiamenti riguardano tutti gli accordi economici tra le aziende che erogano i buoni pasto e i negozianti. I dipendenti, invece, non sono coinvolti. Per loro il valore del buono speso in negozio resterà lo stesso.

L'associazione di categoria delle aziende che emettono i ticket, chiamata Anseb ha naturalmente criticato la norma. L'effetto più immediato della riforma è che chi vende i buoni pasto incasserà meno commissioni, riducendo i guadagni. Per compensare le perdite, le imprese che erogano i ticket probabilmente dovranno alzare i prezzi per le aziende che li comprano e li distribuiscono ai propri lavoratori. Ci sarà un "aggravio dei costi per le imprese che acquistano i buoni pasto per i propri dipendenti", ha fatto sapere Anseb.

L'associazione ha addirittura previsto che questo aumenti dei costi potrebbe portare a "tagli e rimodulazioni delle risorse del welfare aziendale". Se un'impresa deve pagare di più per avere i buoni pasto, potrebbe decidere di tagliare altre misure per i dipendenti. O anche ridurre il valore dei buoni pasto. Si tratta, però, solo di ipotesi che dipenderanno dalle scelte di ciascuna azienda.

Chi invece è molto soddisfatto della riforma sono i negozianti, che pagheranno meno commissioni. Il responsabile dell'ufficio studi di Fipe Confcommercio, Luciano Sbraga, ha allontanato i timori di un taglio del welfare: "I ticket sono deducibili interamente dal reddito d’impresa" per le aziende, mentre "i lavoratori non versano l’Irpef". Il cambio di tariffe, quindi, non dovrebbe portare grossi danni.

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