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Pensioni, arriva il decreto sulla quota 100: quali sono le finestre per ritirarsi dal lavoro

Una bozza del decreto sulla quota 100 evidenzia le regole per l’anticipo pensionistico per chi ha maturato i requisiti: almeno 62 anni di età e 38 di contributi versati. Restano però molti paletti per disincentivare il ricorso alla quota 100, a partire dalle finestre temporali (diverse per lavoratori privati e pubblici) e dal divieto di cumulo.
A cura di Stefano Rizzuti
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Le regole della quota 100 sembrano ormai definite. La bozza del decreto sull’anticipo pensionistico e sul reddito di cittadinanza che il Consiglio dei ministri dovrebbe varare nei prossimi giorni evidenzia tutti gli aspetti fondamentali della misura voluta dalla Lega per avviare il superamento della legge Fornero. Secondo le stime riportate nella bozza ed esaminate dal Corriere della Sera, sono circa 430mila i lavoratori che potrebbero usufruire della quota 100, rispettando i requisiti stabiliti: almeno 62 anni di età e almeno 38 di contributi versati. Ma la platea potenziale andrà a ridursi notevolmente, secondo le stime del governo, poiché la scelta è su base volontaria. Non tutti i lavoratori aderiranno, soprattutto per i paletti stabiliti per scoraggiare la pensione. Si arriva così a 315mila beneficiari, di cui il 40% sono dipendenti pubblici. Questa riduzione della platea renderebbe sufficiente lo stanziamento da 3,9 miliardi di euro previsto.

La misura durerà tre anni, in via sperimentale. L’età pensionabile con la quota 100 verrà “successivamente adeguata agli incrementi della speranza di vita”, ma si potrebbe anche introdurre la quota 41, vero obiettivo di Matteo Salvini. Nel decreto si prorogano anche Opzione donna e Ape social. Così come si stabilisce un rinvio del pagamento della liquidazione per chi va in pensione fino al momento in cui non matura i requisiti per la normale età di pensionamento (67 anni), il che potrebbe voler dire un Tfs pagato persino fino a otto anni dopo il ritiro dal lavoro.

Le finestre temporali

Tra i paletti per scoraggiare i lavoratori ad aderire alla quota 100 il primo è quello delle finestre temporali. Non sarà infatti possibile andare in pensione nel momento in cui vengono maturati i requisiti, ma si dovrà attendere aprile per i dipendenti privati e luglio per quelli pubblici. Per quanto riguarda i privati, chi matura i requisiti entro il 31 dicembre 2018 può ricevere il primo assegno previdenziale a partire da aprile. Chi, invece, matura i requisiti dal primo gennaio 2019 dovrà attendere almeno tre mesi, facendo così slittare la ricezione dell’assegno alla finestra successiva. Per quanto riguarda i dipendenti pubblici, chi matura i requisiti entro il 31 marzo 2019 riceverà il primo assegno a luglio. Chi, invece, li matura dal primo aprile dovrà aspettare sei mesi. Per i dipendenti pubblici, inoltre, è necessario fornire un preavviso di almeno sei mesi per ritirarsi dal lavoro.

L’assegno più basso

Chi aderisce alla quota 100 riceverà un assegno pensionistico per un periodo più lungo ma con un importo minore. Si va incontro a un taglio che arriva fino a un terzo dell’assegno rispetto ai valori del normale assegno previdenziale, raggiunto per vecchiaia. Non ci sono penalizzazioni dirette ma il calcolo sui contributi versati comporta una riduzione della cifra: chi esce prima dal mondo del lavoro, infatti, versa meno anni di contributi e quindi nel calcolo si ha una somma totale inferiore. Secondo i calcoli dell’Ufficio parlamentare di bilancio, il taglio va dal 5% per chi anticipa la pensione di un anno al 30% di chi si ritra con più di quattro anno di anticipo.

Il divieto di cumulo

Tra i paletti stabiliti con il decreto sulla quota 100 c’è anche il divieto di cumulo. Non si può sommare alla pensione un assegno per reddito da lavoro superiore ai 5mila euro annui. Un divieto che vale fino ai 67 anni, ovvero fino al raggiungimento dell’età per il pensionamento di vecchiaia. L’obiettivo è quello di scoraggiare chi, una volta in pensione, avrebbe continuato a lavorare come consulente esterno.

L’anticipo di tre anni e il riscatto della laurea

Per alcuni lavoratori è prevista anche la possibilità di anticipare ulteriormente l’uscita dal mondo del lavoro. Sarebbero sufficienti 59 anni di età e 35 di contributi versati. Un criterio consentito attraverso uno scivolo che può essere messo in atto solo in caso di accordi sindacali aziendali, con cui l’impresa si assume l’onere di nuove assunzioni. In quel caso l’assegno di accompagnamento sarà a carico delle imprese che verseranno la provvista finanziaria a un Fondo di solidarietà di categoria. Le imprese potranno, inoltre, versare il riscatto della laurea al lavoratore per consentire il raggiungimento dello scivolo.

L’azienda potrebbe quindi anticipare la pensione di un lavoratore laureato. Per esempio, chi ha 59 anni di età e 31 di contributi arriverebbe a 35 anni di contributi con il riscatto di quattro anni del corso di laurea. Arrivando così al raggiungimento dello scivolo. Il riscatto della laurea è previsto anche da un altro articolo, quello sulla pace contributiva. Vale, però, solamente per chi ha iniziato a lavorare a partire dal 1996 e può essere utilizzato per raggiungere i criteri richiesti dalla quota 100.

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