Maturità 2025, ChatGPT ha risolto le tracce della prima prova: le risposte a tutte le domande

Oggi, mercoledì 18 giugno, alle 8:30, è ufficialmente iniziata la Maturità 2025. Come sempre, il primo giorno degli esami è dedicato alla prima prova, ovvero la prova di italiano. A differenza delle altre, questa prova è uguale per tutti gli indirizzi, prevede sette tracce suddivise in tre tipologie: la tipologia A, che consiste nell'analisi di un testo letterario (una poesia e un brano in prosa), la tipologia B, ovvero il testo argomentativo su tematiche culturali, storiche, filosofiche o scientifiche e la tipologia C, il tema di attualità.
Circa due settimane fa, avevamo già chiesto a ChatGPT di provare a prevedere quali avrebbero potuto essere gli autori e i temi più papabili (ovviamente lo abbiamo fatto, come per altri eventi, per testare le capacità di analisi del chatbot, e non per dare suggerimenti affidabili ai candidati. Oggi, dato che abbiamo le tracce della prima prova, abbiamo voluto fare un altro esperimento (lo avevamo fatto già l'anno scorso): far svolgere a ChatGPT tutte le tracce della prima prova. Questa volta non abbiamo utilizzato la versione premium di ChatGPT ma quella gratuita. Ve lo diciamo subito: c'è stato qualche intoppo.
Gli errori di ChatGPT
Se è vero che per rispondere a tutti i quesiti ChatGPT ha impiegato quattro minuti e 8 secondi, è anche vero che al primo tentativo c'è stato più di un intoppo. Il chatbot infatti ha risposto correttamente solo alla Tipologia A1, mentre per le altre tipologie ha ripescato probabilmente dal web tracce di prime prove passate, come il brano della "Storia della storiografia italiana" di Giuseppe Galasso uscito l'anno scorso oppure la riflessione sulla solitudine dei giovani, che è stata oggetto del tema alla Maturità 2018.
Le risposte sulle tracce di Pasolini e Tomasi di Lampedusa
Nella Tipologia A, quella dedicata all'analisi del testo, gli studenti hanno avuto come testo poetico una poesia dall'Appendice I de "I Diari" (1943-1944)", in Tutte le poesie, vol. I., e come testo di prosa un estratto da "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Traccia A1 – Analisi del testo poetico: Pier Paolo Pasolini
Comprensione e analisi
Presenta sinteticamente il contenuto della poesia e individua le figure di stile ricorrenti.
La poesia è un'intensa riflessione personale e intima sul rapporto tra l’essere umano (e in particolare l’autore) e la natura. Pasolini ricorda un momento della giovinezza in cui, nel silenzio della campagna e della notte, si riconosce parte della natura stessa, in un’identità fusa con il paesaggio e i suoi suoni. Le figure retoriche principali includono: anastrofi e inversioni sintattiche, che conferiscono solennità e musicalità, ripetizioni ("era uomo", "era notte"), metafore (la luna come simbolo del tempo e della riflessione), personificazioni (la natura sembra avere voce, presenza, coscienza).
Individua la relazione tra la vita della natura e la vita dell'autore.
Pasolini mostra come la natura sia lo specchio dell’interiorità umana. La percezione del sé avviene attraverso la contemplazione del paesaggio: la luna, i grilli, il silenzio della notte diventano strumenti di introspezione e presa di coscienza. L’identità dell’autore non si contrappone alla natura, ma si fonde con essa.
Quale funzione assume la luna nella riflessione poetica di Pasolini?
La luna è simbolo del tempo che passa, ma anche della continuità e della connessione tra l’individuo e l’universo. Riflette la luce del sole ma, in questo contesto notturno, sembra essere essa stessa fonte di luce interiore e di consapevolezza esistenziale.
Quale significato può essere attribuito al canto dei grilli che si ode nella quiete notturna?
Il canto dei grilli è simbolo della vita che continua in silenzio, della voce costante della natura che accompagna le riflessioni dell’autore. È un suono che non disturba, ma che unisce e scandisce il tempo della meditazione.
Interpretazione
Nel testo Pasolini riflette sul legame profondo e autentico tra natura e individuo. Non si tratta solo di osservazione, ma di una vera e propria fusione: il paesaggio non è un elemento esterno ma parte integrante della percezione di sé. Attraverso la luna, i grilli e la campagna, l’autore ritrova la propria umanità, lontano dalle logiche del progresso e della città. Questa poesia è un invito alla riscoperta della propria interiorità attraverso la contemplazione silenziosa della natura.
Traccia A2 – Analisi del testo di prosa: Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Dopo aver svolto la prima traccia della tipologia A, ChatGPT ci ha chiesto se dovesse o meno continuare con le altre tipologie. Oltre a dargli l'ok, abbiamo anche chiesto al chatbot di essere meno sintetico rispetto alla prima traccia. La consegna prevede l'analisi di un passaggio del romanzo "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Riassumi il contenuto del brano.
Nel brano proposto, viene descritta la prima visita di Angelica Sedàra alla famiglia Salina in qualità di fidanzata di Tancredi. L’incontro si svolge nella casa del Principe Salina, in un clima dominato dalle convenzioni sociali dell’epoca, in cui ogni gesto è calcolato e osservato. Angelica viene accolta come una presenza nuova e affascinante, la cui bellezza incanta e conquista l’attenzione degli astanti.
Durante il ricevimento, emergono dinamiche psicologiche sottili: da un lato il desiderio di approvazione sociale, dall’altro l’attrazione fisica e sensuale che Angelica esercita soprattutto sui giovani presenti. Nel corso della serata, dopo un’iniziale timidezza, la ragazza mostra un comportamento sempre più sicuro e seducente, consapevole del suo potere. Un momento significativo è quello in cui Angelica lascia cadere volutamente un orecchino, attirando l’attenzione di Tancredi, con un gesto che rivela il suo controllo sull’ambiente.
Parallelamente, viene descritto il comportamento di Don Calogero Sedàra, padre di Angelica, il quale si muove goffamente nella casa dei nobili, chiaramente fuori posto. La narrazione si chiude con l’osservazione del Principe che, nonostante l’ostilità verso la rozzezza di Don Calogero, deve accettare con rassegnazione questa nuova alleanza tra la nobiltà decadente e la borghesia emergente.
Individua e analizza le differenti modalità attraverso le quali Tomasi di Lampedusa presenta i due personaggi protagonisti di questa scena.
Tomasi di Lampedusa adotta due modalità narrative molto diverse per delineare Angelica e Don Calogero, sia nei toni che nei dettagli descrittivi. Angelica viene presentata attraverso uno sguardo che fonde ammirazione estetica e tensione erotica, con una scrittura ricca di aggettivi sensoriali e metafore floreali. Il narratore insiste sull’eleganza e sul fascino quasi ipnotico della ragazza: i colori, i gesti, i sorrisi sono strumenti con cui Angelica costruisce la sua immagine pubblica, consapevole del suo ruolo e della propria bellezza. Le sue movenze sono descritte con finezza e suggeriscono una padronanza dell’ambiente, culminando nel gesto calcolato della perdita dell’orecchino, un espediente che rivela una strategia comunicativa raffinata.
Al contrario, Don Calogero viene rappresentato in modo caricaturale e impacciato, quasi grottesco: è descritto con un abito eccessivamente elegante, “papalina cappello a larghe tese” e “gilet di seta nera”, simboli di una ricchezza ostentata ma non interiorizzata. L’autore sottolinea con ironia le difficoltà di Don Calogero nell’adattarsi alle regole dell’aristocrazia, evidenziando una distanza culturale incolmabile tra lui e i Salina. Questa distanza non è solo stilistica ma anche sociale: Don Calogero incarna la nuova borghesia arricchita, poco raffinata ma potente, che sta prendendo il posto dell’antica nobiltà.
Illustra con precisi riferimenti al testo i rispettivi atteggiamenti di Angelica e di Don Calogero nei confronti del Principe di Salina.
Angelica si relaziona con il Principe in modo attento e misurato, oscillando tra rispetto formale e seduzione implicita. È consapevole del valore del suo fascino e lo usa per guadagnarsi l’approvazione della famiglia Salina. Il suo comportamento è “impeccabile”, ma non privo di una sottile manipolazione emotiva. La frase in cui Angelica dice “sono tanto, tanto felice” e si lascia sfuggire l’orecchino, seguito dal sussurro di “Zione”, rivela un desiderio di piacere e compiacere, unita a una volontà di dominare simbolicamente la scena.
Don Calogero, invece, si mostra inferiore e sottomesso nei confronti del Principe, ma con un certo fastidio di chi si sente costretto ad fingersi ciò che non è. L’uso della voce, il modo in cui si veste e si muove denotano un’insicurezza sociale profonda, e allo stesso tempo un bisogno di affermazione. La sua presenza appare “dolorosa” agli occhi del Principe, che ne percepisce l’inadeguatezza culturale. Tuttavia, Don Calogero cerca comunque di conquistare un posto nella scena aristocratica, consapevole che l’alleanza matrimoniale con i Salina lo legittima agli occhi della società.
In quale punto del brano e con quale accorgimento linguistico l’autore rende evidente che Don Calogero non si senta a suo agio nelle reali condizioni della moglie?
L’inadeguatezza di Don Calogero è resa evidente in particolare verso la fine del brano, quando il narratore racconta che egli “evitava la moglie come un malanno”, frase che rivela un disagio profondo e una certa vergogna nei confronti delle origini modeste della consorte. L’autore adotta un tono ironico ma anche amaro, con un’espressione colloquiale (“come un malanno”) che trasmette l'imbarazzo di Don Calogero nel mostrare la moglie in un contesto tanto formale.
Questo accorgimento linguistico – l’uso di una similitudine popolare – crea uno stacco rispetto al registro più elevato della narrazione e sottolinea la distanza tra le aspirazioni del personaggio e la sua realtà familiare, quasi a suggerire che, per scalare socialmente, egli sia disposto a rinnegare anche le proprie radici.
Interpretazione complessiva del brano
Il brano mette in scena il declino dell’aristocrazia siciliana e l’avanzata della nuova borghesia, un tema centrale ne Il Gattopardo. Angelica e Don Calogero sono i simboli di questa trasformazione: lei, con il suo fascino e la sua intelligenza sociale, rappresenta una nuova femminilità dinamica, capace di adattarsi e di imporsi in un mondo in mutamento; lui, con la sua goffaggine e il suo desiderio di ascesa sociale, incarna la contraddizione di una classe che ha conquistato il potere economico ma non quello culturale.
Il Principe di Salina, testimone silenzioso e malinconico, osserva questo cambiamento con un misto di rassegnazione e ironia. Sa che il suo mondo sta svanendo e che la bellezza e la vitalità di Angelica non sono altro che la maschera di un nuovo potere sociale, più forte, più concreto, ma anche più cinico. L'autore ci invita quindi a riflettere su come la storia non cambi davvero i meccanismi del potere, ma solo i volti di chi lo esercita.
Le risposte alle tracce del testo argomentativo della tipologia B
Traccia B1 – Piers Brendon
Qui l'oggetto è un estratto dal libro "Gli anni Trenta. Il decennio che sconvolse il mondo" di Piers Brendon del 2005
Parte 1 – Comprensione e analisi
Sintetizza il contenuto del brano proposto.
Il brano di Piers Brendon analizza il contesto e le strategie attraverso cui il presidente Franklin Delano Roosevelt affrontò la drammatica crisi economica e sociale che colpì gli Stati Uniti nei primi anni ’30, attuando le misure del cosiddetto New Deal. Di fronte a un paese in ginocchio per la Grande Depressione, Roosevelt assunse poteri straordinari e agì con prontezza, chiudendo temporaneamente le banche e garantendo che solo quelle sane potessero riaprire. Mise in atto interventi governativi diretti per sostenere l'economia, frenare la disoccupazione e restituire fiducia ai cittadini. Il testo evidenzia anche il potere comunicativo e simbolico della sua leadership: Roosevelt riuscì a trasmettere speranza al popolo americano, dimostrando che lo Stato era al fianco dei più deboli e pronto ad agire concretamente.
Individua le motivazioni che indussero Roosevelt ad affrontare la situazione di emergenza e illustra le difficoltà affrontate dai cittadini sia pure solo per alcuni giorni.
Le motivazioni che spinsero Roosevelt ad agire furono legate alla gravissima crisi economica esplosa dopo il crollo di Wall Street nel 1929: milioni di cittadini avevano perso il lavoro, le banche fallivano una dopo l’altra, la fiducia nel sistema era crollata. Roosevelt comprese che senza un intervento immediato e deciso dello Stato, l’intero tessuto sociale ed economico americano avrebbe rischiato il collasso.
Tra le difficoltà affrontate dai cittadini vi fu l’impossibilità di accedere ai propri risparmi, a causa della chiusura temporanea degli istituti bancari. Questa misura, seppur drastica, fu necessaria per frenare il panico e impedire ulteriori prelievi che avrebbero distrutto completamente il sistema finanziario. Per alcuni giorni, milioni di americani vissero nell’incertezza, ma questa fase di sacrificio venne compensata dal recupero progressivo della stabilità e dalla fiducia nel futuro.
Quale ruolo svolsero gli ispettori governativi?
Gli ispettori governativi svolsero un ruolo cruciale nella verifica dello stato di salute delle banche. Durante il periodo di chiusura degli istituti di credito, furono incaricati di ispezionare ogni banca per determinare se fosse in grado di riaprire e operare in modo sicuro. Solo le banche ritenute solide ottennero il permesso di tornare attive.
Questo sistema fu fondamentale per ricostruire la fiducia dei cittadini nel sistema bancario, dimostrando che non tutte le banche erano fallite e che il governo era capace di esercitare un controllo reale e credibile sul sistema economico. L'azione degli ispettori contribuì a stabilire un clima di sicurezza e trasparenza.
In che modo il presidente statunitense riuscì a infondere nel popolo americano la speranza di superare la crisi economica e sociale che aveva messo in ginocchio la nazione?
Roosevelt riuscì a restituire speranza e fiducia al popolo americano attraverso una combinazione di azioni pratiche e comunicazione efficace. Le sue misure d’emergenza dimostrarono concretamente che lo Stato era presente e operava per il bene comune. Allo stesso tempo, la sua capacità oratoria e il carisma personale furono decisivi: le sue celebri “Fireside Chats” (conversazioni alla radio) riuscirono a entrare nelle case degli americani, rassicurandoli e coinvolgendoli emotivamente.
Il presidente non si limitò a promesse astratte: agì con fermezza e prese decisioni coraggiose che, anche se difficili, ebbero effetti positivi nel medio e lungo termine. La sua leadership ispirò fiducia e riattivò la partecipazione democratica, mostrando che il sistema poteva essere riformato e non necessariamente abbattuto.
Parte 2 – Produzione
Traccia: Sulla base degli spunti di riflessione offerti dal testo proposto, delle tue letture, informazioni e conoscenze, elabora un testo centrato sul rapporto tra i leader politici e i cittadini attraverso i mezzi di comunicazione di massa attuali (radio, televisione, testate giornalistiche, social media). Sviluppa in modo organico le tue argomentazioni, elaborando un testo coerente e coeso.
"Leadership e comunicazione di massa nel mondo contemporaneo"
Nel corso della storia moderna, il legame tra leader politici e cittadini è stato profondamente influenzato dai mezzi di comunicazione di massa. Già nel XX secolo, Franklin Delano Roosevelt aveva compreso l'importanza di parlare direttamente al popolo americano attraverso la radio, utilizzando la parola come strumento di coesione nazionale e rinascita sociale. Oggi, in una società interconnessa e digitale, questo rapporto è ancora più cruciale e si gioca su canali molto più ampi e immediati: televisione, stampa, social media, podcast e piattaforme video.
Il potere dei media consiste nel costruire narrazioni, modellare l’opinione pubblica e influenzare il consenso. Un leader efficace non può più fare a meno di comunicare in modo strategico. Basti pensare a personaggi come Barack Obama, capace di sfruttare internet e i social per parlare ai giovani elettori, oppure a Volodymyr Zelensky, che durante la guerra in Ucraina ha usato i video e i social per mobilitare l'opinione pubblica internazionale e mantenere alto il morale del suo popolo.
Tuttavia, questo potere può anche diventare una trappola, se utilizzato in modo superficiale o manipolatorio. I social network, ad esempio, favoriscono la polarizzazione e la diffusione di notizie false, mettendo in crisi la fiducia nella politica. La comunicazione politica rischia spesso di ridursi a slogan, battute virali o dichiarazioni provocatorie, più adatte a catturare like che a guidare una nazione. Inoltre, il sovraccarico informativo crea confusione e disorientamento, rendendo difficile distinguere ciò che è reale da ciò che è propaganda.
Per questo motivo, oggi più che mai, è fondamentale che i leader politici sappiano coniugare trasparenza, competenza e umanità. Devono parlare in modo chiaro e onesto, senza rinunciare alla complessità dei problemi. Devono saper ascoltare, non solo trasmettere messaggi. Devono usare i media per costruire dialoghi veri, e non semplicemente per alimentare il proprio ego o il consenso elettorale.
In conclusione, il rapporto tra leader e cittadini dipende dalla capacità di comunicare non solo con efficacia, ma anche con etica. Come dimostrato da Roosevelt, un buon leader è colui che sa farsi interprete delle paure del proprio popolo, ma anche delle sue speranze, e che usa ogni mezzo a sua disposizione per creare fiducia, consapevolezza e partecipazione. In un tempo di crisi globale, sociale e ambientale, è questa la qualità di cui abbiamo più bisogno.
Traccia B2 – Maccioni
Qui il focus del testo argomentativo è un estratto da un articolo di Riccardo Maccioni “Rispetto” è la parola dell’anno Treccani. E serve per respirare, pubblicato sul quotidiano Avvenire il 17 dicembre 2024.
Parte 1 – Comprensione e analisi
Riassumi il contenuto del testo nei suoi snodi tematici essenziali.
Il testo di Riccardo Maccioni parte dalla notizia che la Treccani ha scelto “rispetto” come parola dell’anno 2024, motivando tale scelta con il suo valore simbolico e culturale in un’epoca in cui spesso mancano attenzione, empatia e ascolto. L'autore riflette sul significato profondo del termine, che non si limita a una generica forma di cortesia, ma richiama un atteggiamento esistenziale di apertura verso l’altro, soprattutto in tempi in cui dominano contrapposizione, polarizzazione e giudizio.
Viene messo in evidenza come il rispetto sia indispensabile per affrontare le differenze, comprendere le fragilità, e riconoscere il valore dell’altro, specialmente nei confronti delle minoranze, delle persone vulnerabili e dei contesti di esclusione. Maccioni denuncia le tante forme di mancanza di rispetto che si manifestano nella nostra società – dal bullismo al razzismo, dalla violenza verbale sui social alla discriminazione – e invita a una rivoluzione culturale che parta dalla capacità di vedere l’altro non come un nemico, ma come un fratello, parte della stessa famiglia umana.
Con quali argomenti l’autore sostiene l’importanza del rispetto?
Maccioni argomenta l’importanza del rispetto servendosi di molteplici spunti. Innanzitutto, valorizza il significato etimologico della parola, spiegando che “rispetto” deriva dal latino respicere, ovvero “guardare indietro, guardare di nuovo”: un invito a osservare con attenzione, a non giudicare frettolosamente, a fermarsi prima di reagire impulsivamente, lasciando spazio alla riflessione. Questo sguardo riflessivo permette di riconoscere nell’altro non un avversario, ma una persona dotata di dignità, portatrice di storie e diritti.
L’autore collega il rispetto al concetto di responsabilità relazionale, sostenendo che esso sia il fondamento di ogni società democratica e pluralista. In un tempo segnato da aggressività diffusa e chiusure identitarie, il rispetto diventa l’unica via percorribile per costruire ponti e non muri. È lo strumento per ricomporre il tessuto sociale lacerato, per promuovere la convivenza pacifica e per superare le barriere della paura e dell’indifferenza.
Il testo proposto si sofferma su parole e atteggiamenti che quotidianamente negano il rispetto: individua gli esempi più significativi.
Il testo mette in luce numerosi esempi di situazioni e comportamenti che rappresentano la negazione concreta del rispetto. Tra i più significativi troviamo:
- L’odio nei linguaggi digitali, che si manifesta nei social network attraverso insulti, attacchi personali e diffamazioni gratuite.
- Il bullismo e il cyberbullismo, che colpiscono in particolare i più giovani, annullandone l’autostima e isolandoli.
- La discriminazione contro le persone fragili, come gli anziani, le persone con disabilità, o coloro che vivono in condizioni di povertà.
- Le forme di razzismo, intolleranza religiosa e sessismo, che si radicano nella paura della diversità e nel rifiuto del dialogo.
- L’indifferenza quotidiana, che si esprime nel voltarsi dall’altra parte, nel non prendersi cura dell’altro, nel vivere chiusi nel proprio egoismo.
Questi atteggiamenti, secondo Maccioni, sono spesso il risultato di una società che ha perso il senso dell’umanità condivisa, dell’empatia e dell’ascolto profondo.
Individua quali sono, a parere di Maccioni, gli atteggiamenti concreti per opporsi alla mancanza di rispetto.
Maccioni propone una serie di atteggiamenti concreti per contrastare la diffusione della mancanza di rispetto:
- Guardare l’altro con attenzione, cercando di comprenderne le fragilità, le paure, i bisogni.
- Coltivare l’empatia, ovvero la capacità di mettersi nei panni dell’altro e di percepirne il vissuto.
- Ascoltare prima di parlare, esercitando un ascolto autentico, che vada oltre le parole.
- Riscoprire il valore del silenzio e della riflessione, in un’epoca in cui tutti parlano ma pochi capiscono.
- Assumere uno sguardo inclusivo, che superi le barriere del pregiudizio e riconosca l’altro come parte della propria umanità.
- Educare al rispetto sin dalla scuola, promuovendo ambienti formativi in cui la diversità sia vissuta come ricchezza e non come minaccia.
Tutti questi atteggiamenti, secondo l’autore, contribuiscono a creare una cultura della pace e del dialogo, che è la base per una società più giusta.
Parte 2 – Produzione
Traccia: Sulla base delle tue conoscenze, delle tue esperienze e della tua sensibilità, confrontati criticamente con il contenuto del brano proposto ed elabora un testo nel quale sviluppi il tuo punto di vista sulla tematica trattata, motivando le tue riflessioni. Organizza il tuo elaborato in modo tale che gli snodi della tua esposizione siano organizzati in un testo coerente e coeso.
Il rispetto: fondamento di ogni convivenza e antidoto alle derive dell’odio
Viviamo in un tempo segnato da conflitti, fratture sociali e tensioni identitarie. I social network, se da un lato hanno ampliato le possibilità di comunicazione, dall’altro hanno esposto con forza le nostre fragilità: giudizi affrettati, disprezzo per le opinioni altrui, insulti, esclusione. In questo contesto, la parola “rispetto” suona come un richiamo forte, quasi un grido d’allarme. Non si tratta di una semplice norma di educazione, ma di un atteggiamento esistenziale, un modo di stare al mondo insieme agli altri.
Il rispetto è ciò che ci permette di riconoscere l’umanità negli altri, anche quando sono diversi da noi per cultura, religione, opinioni politiche. È il primo passo per costruire un dialogo autentico, per imparare a convivere con il dissenso, per promuovere una società basata sulla solidarietà e non sul sospetto.
Purtroppo, la nostra epoca ci mostra ogni giorno cosa accade in sua assenza. Le cronache riportano casi di bullismo scolastico, aggressioni verbali tra utenti sui social, discriminazioni nei confronti di chi è “altro” o “diverso”. La mancanza di rispetto non si manifesta solo nei grandi eventi, ma anche nei gesti quotidiani: nel linguaggio ostile, nella mancanza di ascolto, nella fretta con cui giudichiamo gli altri.
Per questo motivo è fondamentale educare al rispetto, sin dall’infanzia, a partire dalle relazioni più vicine: famiglia, scuola, amicizie. È importante che la scuola non sia solo un luogo di trasmissione di nozioni, ma anche un laboratorio di educazione civica, dove si impara a discutere senza ferire, a collaborare anche con chi è diverso da noi, a sentirsi parte di una comunità. I media e i social, se usati con responsabilità, possono anch’essi essere strumenti preziosi per diffondere una cultura del rispetto e dell’inclusione.
Infine, occorre ricordare che il rispetto non è mai un atto passivo o scontato. Esso implica scelte consapevoli e quotidiane, richiede coraggio, pazienza, volontà di mettersi in gioco. Non si può pretendere rispetto se non si è disposti a darlo. Non si può chiedere una società giusta se non si parte dai propri comportamenti. In conclusione, il rispetto non è solo una parola: è una scelta di civiltà. E oggi, più che mai, è la scelta di cui abbiamo bisogno.
Traccia B3 – Pievani
Testo argomentativi incentrato su "Un quarto d’ora (geologico) di celebrità" di Tempo Pievani
Parte 1 – Comprensione e analisi
Sintetizza il brano evidenziando il punto di vista dell’autore sull’Antropocene e sul ruolo umano in questo cambiamento geologico.
Nel testo, Telmo Pievani affronta il concetto di Antropocene, l’epoca geologica in cui l’impatto dell’uomo sul pianeta ha raggiunto una tale portata da lasciare tracce indelebili nella stratigrafia terrestre. L’autore denuncia con lucidità l’entità del nostro intervento sull’ambiente, sottolineando che le tracce delle nostre attività, come i materiali sintetici, il cemento, la plastica, l’asfalto, saranno ben visibili anche per i geologi del futuro, che studieranno la nostra civiltà come si studiano le ere passate.
Pievani riflette sul fatto che, nonostante la nostra brevissima presenza temporale rispetto alla storia del pianeta, l’umanità ha modificato profondamente i cicli naturali. L’immenso accumulo di oggetti e materiali artificiali, definito “tecnosfera”, ha generato un impatto senza precedenti. L'autore parla di un “quarto d’ora di celebrità” per sottolineare, con una metafora ironica, la fugacità della nostra esistenza in termini geologici, contrapposta alla durata e all'intensità del nostro impatto.
Illustra il significato dell’espressione “vicolo cieco in cui ci siamo infilati”.
L’espressione “vicolo cieco in cui ci siamo infilati” rappresenta una critica alla direzione autodistruttiva presa dall’umanità. Secondo Pievani, l’Antropocene è il risultato di uno sviluppo economico e industriale che, pur avendo garantito crescita e benessere, ha trascurato le conseguenze ecologiche, conducendoci verso una crisi ambientale irreversibile. Il “vicolo cieco” è quindi un’immagine che esprime la mancanza di vie d’uscita sostenibili, se non si cambia radicalmente modello di sviluppo. L’autore suggerisce che, continuando a ignorare i limiti ecologici del pianeta, rischiamo di compromettere il nostro stesso futuro.
Quali esempi l’autore fornisce per descrivere l’insieme della “tecnosfera materiale”?
Pievani elenca una serie impressionante di materiali artificiali che costituiscono la tecnosfera materiale, ossia l’insieme dei manufatti prodotti dall’uomo: cemento, mattoni, asfalto, acciaio, plastica, vetro, calcestruzzo, legno industriale. Questi materiali, ormai diffusi ovunque, non solo occupano fisicamente il pianeta, ma lo trasformano geologicamente, sovrapponendosi alla crosta terrestre come un nuovo strato sedimentario.
Tra gli esempi più significativi, l’autore menziona la quantità complessiva della massa antropogenica, che ha superato quella della biomassa vivente, un dato che sottolinea lo squilibrio raggiunto: oggi, ciò che l’uomo ha costruito pesa più di tutta la vita biologica presente sul pianeta. È un dato che conferma la centralità e la pericolosità del nostro impatto geologico.
Come si riferisce l’autore quando usa l’espressione “geologico quarto d’ora di celebrità”?
Questa espressione è una metafora ispirata alla celebre frase di Andy Warhol (“nel futuro tutti avranno 15 minuti di celebrità”), che Pievani rielabora per ironizzare sulla brevità della nostra presenza nella scala del tempo geologico. Il nostro “quarto d’ora” è, in proporzione alla storia della Terra, un istante fugace, eppure caratterizzato da un impatto tale da essere “registrato” nelle rocce del futuro.
L’autore ci invita così a riflettere sul paradosso della nostra epoca: siamo effimeri, ma incredibilmente distruttivi. Questo “quarto d’ora di celebrità geologica” potrebbe segnare la nostra rovina se non cambiamo rotta, e rappresenta quindi anche un ammonimento alla responsabilità collettiva.
Parte 2 – Produzione
Traccia: Sulla base delle tue conoscenze, delle tue esperienze e della tua sensibilità, confrontati criticamente con il contenuto del brano proposto ed elabora un testo nel quale sviluppi il tuo punto di vista sulla tematica trattata, motivando le tue riflessioni. Organizza il tuo elaborato in modo tale che gli snodi della tua esposizione siano organizzati in un testo coerente e coeso.
Titolo: L’impronta dell’uomo sulla Terra: dalla tecnosfera alla responsabilità ecologica
Siamo entrati nell’Antropocene, una nuova era geologica in cui l’uomo è diventato forza naturale, capace di modificare il clima, la biodiversità e la struttura stessa del pianeta. Il testo di Telmo Pievani ci invita a riflettere su questa trasformazione epocale: mai prima d’ora una singola specie aveva esercitato un potere così pervasivo sulla Terra. Eppure, ciò che potrebbe sembrare un traguardo della civiltà, è in realtà un campanello d’allarme.
L’immagine della tecnosfera — l’insieme degli oggetti, delle infrastrutture e dei materiali prodotti dall’uomo — è emblematica. Essa testimonia l’enorme accumulo di materia artificiale che ormai sopravanza la biomassa vivente: un dato che impressiona per la sua evidenza scientifica ma soprattutto per il suo significato simbolico. Abbiamo creato così tanto da superare la vita stessa, innescando un squilibrio pericoloso.
Questo processo ha avuto origine con la rivoluzione industriale, ma ha subito un’accelerazione drammatica nella seconda metà del Novecento, in quello che gli studiosi definiscono “la grande accelerazione”. La crescita esponenziale della produzione, dei consumi e della popolazione ha generato uno sfruttamento intensivo delle risorse naturali, spesso non rinnovabili, con conseguenze devastanti: riscaldamento globale, deforestazione, inquinamento, scioglimento dei ghiacciai, estinzione di massa.
Tuttavia, la responsabilità non è solo dei governi o delle multinazionali. Essa riguarda ciascuno di noi. Ogni azione quotidiana — dalla scelta dei mezzi di trasporto all’alimentazione, dall’uso dell’energia al riciclo dei rifiuti — contribuisce a modellare l’impatto che abbiamo sull’ambiente. L’educazione ambientale, la scienza, la politica e l’etica devono unirsi per promuovere un cambiamento culturale profondo, che porti a un nuovo equilibrio tra sviluppo e sostenibilità.
In questo senso, l’idea del “vicolo cieco” evocata da Pievani ci interroga: siamo davvero disposti a ripensare il nostro modello di vita? Oppure proseguiremo verso un collasso annunciato? Se non vogliamo che il nostro “quarto d’ora di celebrità” si trasformi nel nostro epitaffio, dobbiamo invertire la rotta, adottando tecnologie verdi, riducendo le disuguaglianze e tutelando la biodiversità.
L’Antropocene non deve per forza essere una condanna. Può diventare un’opportunità per prenderci cura della Terra con maggiore consapevolezza. Il tempo per agire è poco, ma non è ancora finito. Dobbiamo solo trovare il coraggio di scegliere la strada giusta, prima che sia davvero troppo tardi.
Le risposte alle tracce della Tipologia C: il tema di attualità
Traccia C1 – Paolo Borsellino
Testo tratto da: Paolo Borsellino, I giovani, la mia speranza, in Epoca, 14 ottobre 1992
Titolo: “La speranza siamo noi: il testimone di Borsellino tra memoria e responsabilità”
Sono nato in un’epoca in cui la parola “mafia” faceva ancora paura. Un’epoca in cui la figura di Paolo Borsellino era impressa nelle coscienze come simbolo di coraggio, onestà e giustizia. Ma sono anche cresciuto in un tempo in cui l’eredità morale di Borsellino rischia, talvolta, di essere dimenticata o banalizzata, persa nel rumore di un presente frenetico e disattento. Per questo motivo, leggere le sue parole rivolte ai giovani nel testo proposto è come ricevere uno schiaffo morale dolce e potente allo stesso tempo: un richiamo alla responsabilità, alla speranza, ma soprattutto all’azione.
Paolo Borsellino credeva profondamente nei giovani. Non come figure astratte da istruire passivamente, ma come agenti attivi del cambiamento, capaci di invertire il corso delle cose, di rifiutare il consenso passivo alla mafia, e di costruire una società più giusta. La sua fiducia non era ingenua: era fondata sulla consapevolezza che solo educando, incoraggiando e coinvolgendo i ragazzi nella cultura della legalità si poteva pensare a un futuro diverso.
Le sue parole – “io credo che questa generazione di giovani, se le sarà data la possibilità di esprimersi, darà molto” – non sono solo un auspicio. Sono un mandato morale. Un’eredità viva che parla direttamente a noi, giovani del XXI secolo, chiamati a testimoniare che il sacrificio di chi ha perso la vita per combattere il crimine organizzato non è stato vano.
Oggi, però, questo messaggio si scontra con le difficoltà della realtà. Viviamo in una società in cui le mafie non si presentano più col volto cupo e minaccioso, ma si infiltrano nei circuiti economici, nella politica, nei social network. Hanno mutato pelle, sono diventate “invisibili”, ma non per questo meno pericolose. Anzi, proprio perché più difficili da riconoscere, richiedono una coscienza ancora più vigile e informata da parte di chi, come noi studenti, si affaccia alla vita adulta.
Come giovane, come studente e come cittadino, sento il dovere di rispondere all’appello di Borsellino non solo con le parole, ma con i fatti. Questo significa, innanzitutto, conoscere: studiare la storia della mafia, le sue trasformazioni, i suoi intrecci col potere. Ma significa anche scegliere da che parte stare, ogni giorno: non tacere davanti alle ingiustizie, non tollerare la corruzione, non voltarsi dall’altra parte di fronte all’illegalità.
In questo senso, la scuola ha un ruolo fondamentale. È qui che si forgia lo spirito critico, è qui che si coltivano gli strumenti per comprendere e cambiare il mondo. Ma è anche fuori dalle aule, nei quartieri, nei luoghi di aggregazione, nelle esperienze di volontariato e di cittadinanza attiva, che noi giovani possiamo dare concretezza a quella speranza di cui Borsellino parlava.
E non si tratta solo di combattere la mafia in senso stretto, ma di rifiutare ogni forma di rassegnazione. Perché il “consenso”, come dice Borsellino, è la linfa che alimenta il potere delle organizzazioni criminali, ma è anche ciò che permette alle ingiustizie sociali, al razzismo, alla violenza di genere o alla corruzione di prosperare. E allora la speranza non è una parola vuota: è una scelta etica, una responsabilità collettiva.
Riflettendo su queste parole, mi rendo conto che il sacrificio di Paolo Borsellino non è un ricordo del passato, ma una chiamata al presente. Tocca a noi raccogliere il suo testimone e portarlo avanti con coerenza, coraggio e determinazione. Solo così potremo costruire un futuro in cui la giustizia non sia un’eccezione, ma una regola condivisa.
E se è vero che Borsellino non ha fatto in tempo a vedere il cambiamento che sognava, allora il nostro compito è realizzarlo anche per lui. Per onorare il suo sacrificio. Per non smettere mai di sperare, né di lottare.
Traccia C2 – Anna Meldolesi e Chiara Lalli
Testo tratto da: Anna Meldolesi e Chiara Lalli, L’indignazione è il motore del mondo social. Ma serve a qualcosa?, Corriere della Sera, 13 dicembre 2024
Titolo: “Indignazione a portata di click: tra attivismo virtuale e responsabilità reale”
Viviamo in un’epoca in cui indignarsi è diventato un gesto quotidiano, quasi automatico. Apri un social network, scorri per pochi minuti e trovi qualcosa che ti fa arrabbiare: un’ingiustizia, una dichiarazione offensiva, una notizia drammatica. Spesso, basta un click per trasformare quella rabbia in un post, un commento, un’emoji infuocata. È questo il mondo descritto nell’articolo di Anna Meldolesi e Chiara Lalli: un mondo in cui l’indignazione è diventata onnipresente, ma in cui è lecito domandarsi se questa emozione così potente sia ancora capace di produrre cambiamenti reali.
Personalmente, come studente e cittadino digitale, mi riconosco pienamente in questo scenario. Mi è capitato molte volte di sentirmi colpito da ingiustizie sociali, episodi di razzismo, violenze ambientali o discriminazioni, e di voler reagire. Ma spesso questa reazione si è limitata a un post condiviso, a un commento sotto una notizia. Mi sono chiesto più volte: “È davvero utile quello che sto facendo?”
Le autrici dell’articolo mettono a fuoco proprio questo dubbio: l’indignazione digitale rischia di diventare un gesto sterile, ripetitivo, svuotato di efficacia. È vero che esprimere rabbia o disaccordo è naturale e anche giusto, ma la velocità e la superficialità con cui lo facciamo online rischiano di trasformare l’indignazione in un riflesso condizionato, più utile a placare la nostra coscienza che a cambiare davvero le cose.
Il termine “attivismo da divano” descrive bene questa dinamica: protestare comodamente, senza uscire dalla propria zona di comfort, senza esporsi davvero. In questo senso, l’indignazione social può diventare una forma di autoassoluzione, una scusa per sentirsi parte di una battaglia senza mai sporcarsi le mani.
Tuttavia, credo sia ingiusto demonizzare del tutto i social. Quando usati consapevolmente, questi strumenti possono amplificare le voci degli oppressi, denunciare abusi che altrimenti passerebbero sotto silenzio, mobilitare persone in tutto il mondo. Basti pensare a movimenti come #MeToo o Fridays for Future: nati online, ma capaci di produrre discussione, consapevolezza e anche cambiamenti concreti.
La vera sfida, quindi, è trasformare l’indignazione in azione. E questo vale soprattutto per noi giovani, che siamo nativi digitali ma anche cittadini in costruzione. Dobbiamo imparare a non fermarci al primo istinto, a non accontentarci del post indignato o della storia su Instagram. Dobbiamo chiederci: “Cosa posso fare io, concretamente, per cambiare questa situazione?”
A volte può essere un piccolo gesto: firmare una petizione, partecipare a una manifestazione, sostenere un’associazione, parlare con gli altri per diffondere consapevolezza. Altre volte può significare mettersi in discussione, cambiare le proprie abitudini, studiare, approfondire. Perché l’indignazione, se non si accompagna alla conoscenza, rischia di trasformarsi in rumore.
In conclusione, credo che indignarsi sia ancora oggi importante, necessario. Ma deve essere un punto di partenza, non di arrivo. Dobbiamo recuperare la profondità, la lentezza, la capacità di analizzare i problemi con spirito critico. Solo così l’indignazione tornerà a essere un motore autentico di cambiamento e non un semplice riflesso emotivo davanti a uno schermo.
Come scrivono Meldolesi e Lalli, il rischio è che ci si “indigni per ignorare, invece che per agire davvero”. A noi spetta il compito, difficile ma possibile, di invertire questa tendenza. Indignarsi, sì. Ma poi: agire, cambiare, costruire.




