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Il ritmo del rap tra carcere e camposanto

Nella scena gangsta americana cinque morti ammazzati negli ultimi quattro mesi. Trenta rapper morti dal 1987 al 2012. Protagonisti della violenza del ghetto sono i narratori di un’epopea mainstream.
A cura di Marcello Ravveduto
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Glenn Thomas ha appena finito la sua performance e si sta intrattenendo con i fan. In Alabama è famoso col nome di Doe – B, leader della crew T.I.‘s hip-hop collective Hustle Gang. Il suo ultimo brano sta spaccando su Youtube.

I ragazzi hanno attorniato il gigante di 22 anni che, con la benda sull’occhio destro (perduto in uno scontro tra gang), sembra uscito da un film di Quentin Tarantino. Cazzeggia con gli amici del tutto privo di sensi di colpa, nonostante lo attenda a casa una moglie incinta e due figli ancora in fasce. Dall’ingresso entra Jason McWilliams, 25 anni; anche lui ha l’occhio destro coperto da una benda. Intravede Glenn tra gli altri e comincia a sparare. Doe – B crolla come un bisonte nel suo stesso sangue e, insieme a lui, cade a terra anche Kim Johnson, studentessa ventunenne, colpita da un proiettile vagante.

Due giorni dopo a Chicago Young QC, alias Qawmane Wilson, rapper di 24 anni, è arrestato per aver ordinato l’omicidio della madre a fini di lucro e per attirare l’attenzione dei media. QC, infatti, aveva fatto credere che la mamma era stata uccisa per una rapina ed era divenuto testimonial della manifestazione contro la violenza in cui si chiedeva alle bande di cessare il fuoco per rispettare la memoria della quindicenne Hadiya Pendleto morta accidentalmente.

Questo è il servizio televisivo in cui condivide con il pubblico la sua “triste” storia con tanto di faccia contrita.

La polizia si è insospettita quando Qawmane ha cominciato a postare su Instagram selfies in cui mostrava oggetti di lusso e abiti firmati acquistati con i soldi della defunta madre. Il 3 gennaio nei Queens a New York, Jamal Green, 42 anni, meglio noto come Mazaradi Fox della crew di 50 cent è freddato, in un agguato: un tizio in passamontagna nero lo spara da un Suv bianco.

Quasi due settimane dopo è la volta di DJ Nando, ovvero William Fernando, membro dell’Atlanta's Coalition DJ's che aveva conquistato la copertina di Forbes per l’apertura del primo strip club di musica rap.

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A fine gennaio in un quartiere di Los Angeles, all’uscita di un bar, è assassinato, tra le braccia della moglie Justine, Bowie Richard di 21 anni, rapper dalla pelle bianca, dopo un diverbio avvenuto nel locale. Agli inizi di febbraio a San Antonio, Texas, la polizia deve correre all’Embassy Suites hotel per un’emergenza. Quando arrivano sul posto trovano il corpo privo di vita di Miguel Silva, del gruppo Hooligan Boyz. Eseguono l’arresto di Christopher Garza, altro componente della band: i due sono venuti alle mani e Miguel ha avuto la peggio.

Torniamo a Chigago. Siamo a marzo. Clint Massey, 17 anni, star del Chicago’s dominant drill movement (il movimento dei dominatori del trapano – con una duplice allusione alla penetrazione sociale e sessuale), il cui nome d’arte è RondoNumbaNine, è arrestato per aver ucciso lo scorso 22 febbraio il rivale Javon Boyd, mentre rientrava a casa.

Ecco la sua “Vita da selvaggio”

Qualche giorno fa (19 marzo), invece, in Texas è stata eseguita la sentenza di morte del rapper Ray Jasper che nel 1998 aveva ucciso un uomo in una zuffa tra bande armate.

La morte e la galera sono all’ordine del giorno nella scena statunitense del gangsta rap. Dalla fine di dicembre 2013 a metà marzo 2014 sono stati contati 5 morti, due arresti per omicidio e un’esecuzione capitale. Se allunghiamo lo sguardo possiamo notare che tra il 1987 e il 2012 sono stati assassinati 30 rapper. Oltre il 90% delle vittime e dei carnefici è di origine afroamericana. Provengono tutti dal ghetto e mantengono quella mentalità anche se qualcuno di loro è diventato milionario: il racconto della violenza da sempre suscita gli appetiti del mercato. È indubbio, tuttavia, che ci sia una linea di continuità tra musica, testo, realtà metropolitana e biografie dei protagonisti. Queste canzoni non sono il frutto di una narrazione artefatta ma il prodotto di un’arte contestuale in cui non esiste armonia sociale ma solo scatti d’ira e orgoglio brutale.

Il vero rap, e in particolare il gangsta rap, può nascere, anche quando raggiunge le vette dei grattacieli, solo nel marasma del ghetto dove l’epopea dell’identità socio-razziale è mainstream.

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