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I negozi di reintegrazione dei diritti dei legittimari: profili generali e fiscali

All’apertura della successione può capitare che uno dei legittimari (figli, moglie, marito) riceva dalla successione (del proprio marito, moglie, genitore) meno di quanto previsto dal codice civile, in queste ipotesi, tre solo le possibilità: l’erede leso si accontenta di quanto ricevuto e decide di non contestare quanto lasciato agli altri eredi (ma si tratta di una situazione molto rara), si può aprire un lungo contenzioso destinato a reintegrare il legittimario leso di quanto gli spetta secondo legge, oppure, i vari eredi si accordano per reintegrare la quota dell’erede leso, (questi negozi sono denominati accordi di reintegrazione della legittima), in quest’ultimo caso, superate le difficoltà derivanti dalla necessità di trovare un accordo tra tutti gli eredi, occorre anche chiedersi, come sono tassati i negozi diretti a reintegrare la quota del legittimario.
A cura di Redazione Diritto
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Questa pagina è a cura del Dott. Giuseppe Marottoli, laureato in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, Mediatore professionale, già Conciliatore iscritto alla Camera di Conciliazione e Arbitrato presso la CONSOB dall'anno 2010 fino al 31 ottobre 2012, ha pubblicato sulla rivista "Quaderni dell'Osservatorio per la rappresentanza dei cittadini" n. 6/2010, si occupa attualmente di diritto civile, societario e problematiche di interesse notarile.

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I negozi di reintegrazione dei diritti dei legittimari: profili generali e fiscali

Descrizione della quota di legittima "La quota di legittima è quella porzione del patrimonio del de cuius (cd. quota indisponibile o riservata), spettante per legge a determinati soggetti, denominati legittimari (o anche riservatari), legati al primo da rapporti di coniugio o parentela in linea retta. Le donazioni o le attribuzioni testamentarie lesive di tali diritti, ove validamente poste in essere dal de cuius, possono essere private di efficacia mediante l'apposito rimedio giuridico dell'azione di riduzione in sede contenziosa ad opera del legittimario (solo leso o anche del tutto pretermesso)"

Cenni introduttivi

 Ai sensi dell'articolo 43 D.Lgs. 31/10/1990 n. 346 "Nelle successioni testamentarie l'imposta si applica in base alle disposizioni contenute nel testamento, anche se impugnate giudizialmente, nonché agli "eventuali accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari, risultanti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata". Tali accordi inoltre ai sensi dell'articolo 30 lett. d) del medesimo Decreto, devono essere allegati alla dichiarazione di successione.

La legge quindi, come talvolta accade, nomina incidentalmente un istituto giuridico, dandone per presupposta la relativa disciplina, tuttavia mai oggetto di specifica previsione. All'interprete dunque il compito di ricostruirne la natura ed ogni conseguente profilo applicativo.

Con riguardo all'inquadramento dogmatico, nell'alveo della nozione di "accordi di reintegrazione dei diritti riservati ai legittimari", la dottrina riconduce tutti quegli strumenti negoziali aventi, quale effetto finale, l'attribuzione al legittimario leso o pretermesso, di quanto spettantegli a titolo di successione necessaria. Tale genus è dunque più ampio rispetto alla fattispecie considerata dal legislatore tributario, che sembra presupporre invece non una generica attribuzione patrimoniale conseguente al negozio reintegrativo, bensì una devoluzione in senso tecnico fondata sul riconoscimento di inefficacia parziale o totale delle disposizioni lesive (testamentarie o donative), e cioé la medesima operazione ed il relativo risultato in termini giuridici che astrattamente si otterrebbero esperendo l'azione di riduzione in sede contenziosa. Quest'ultima interpretazione del dato normativo è però contestata da parte, seppur minoritaria, della dottrina, secondo cui sarebbe preclusa all'autonomia privata la possibilità di far conseguire al legittimario la qualità di erede in via negoziale, profilandosi un duplice contrasto, da una parte con l'attuale configurazione codicistica della delazione ereditaria (che non ammetterebbe un tertium genus oltre a quella testamentaria e legittima), e dall'altra con l'asserita necessità di un controllo giudiziario a garanzia della produzione di un effetto, quale appunto l'attribuzione di uno status, destinato ad operare erga omnes.

La dottrina prevalente al riguardo, sostenuta da alcune pronunce giurisprudenziali implicanti profili sostanziali e non meramente fiscali (Cass. 4 maggio 1972, n. 1348, in Foro it., 1973, 1558; Trib. Genova 20 dicembre 1968 in Giur. Merito 1970, I, 420, nonché, anche se solo incidenter tantum, Cass. 22 ottobre 1988, n. 5731, in Mass. giur. it., 1988; Cass. 9 dicembre 1995, n. 12632, in Corr. giur. 1996, 1138; Cass. 12 maggio 2000, n. 6085, non massimata; App. Bologna 25 ottobre 2007 in Banche dati giuridiche Platinum, Torino, 2009, 2), respinge questo approccio ermeneutico e ricostruisce in altro modo il fenomeno delativo connesso a questa specifica tipologia di accordo in funzione di accertamento: con tale negozio, infatti, si produce il medesimo effetto che la legge ricollega al vittorioso esperimento dell'azione di riduzione, e cioè, secondo l'insegnamento comune (ancorché non pacifico), quello di rendere la donazione o la disposizione testamentaria lesiva inefficace nei confronti del legittimario, in favore del quale opererebbe pertanto la vocazione necessaria ex lege. In entrambi i casi pertanto il relativo titolo di acquisto in capo all'erede, trova la sua fonte non nel contratto o nella sentenza (aventi efficacia dichiarativa, non già costitutiva), ma direttamente nella legge. Questo non esclude, che per volontà delle parti, l'accordo possa assumere ulteriori sfumature giuridiche, anche sotto il profilo causale, ferma restando comunque la presenza di un intento latu sensu satisfattivo della legittima. Tuttavia, in queste diverse fattispecie, si avrà necessariamente un effetto dispositivo dei beni oggetto del negozio, e non una mera modifica della vicenda successoria, con impossibilità pertanto di determinare l'operatività di una delazione ex lege, nel senso precisato in precedenza, e la relativa attribuzione della qualità di erede.

Le singole tipologie negoziali

Emerge quindi una sorta di summa divisio all'interno degli accordi di reintegrazione tra quelli aventi carattere dispositivo, e quelli consistenti in un mero accertamento ricognitivo, un discrimen che si riflette poi inevitabilmente anche sul profilo applicativo di tali atti (in primo luogo quello redazionale e quello fiscale), stante il necessario coordinamento con la disciplina sostanziale dello schema negoziale di volta in volta adottato dalle parti.

Tra i negozi della prima categoria, la prassi operativa, mutuando i risultati interpretativi cui è giunta la dottrina moderna (per una felice sintesi si veda il contributo di Cavicchi "Accordi per la reintegrazione di legittima" nella rivista "I Contratti" 11 / 2009, p. 1020 ss.), conosce queste principali tipologie negoziali:

1) Contratto di transazione ex artt. 1965 e ss. c.c., mediante reciproche concessioni; il caso più diffuso è il trasferimento di beni (purché di valore inferiore a quanto spettante per legge, a prescindere dalla loro appartenenza o meno alla massa ereditaria) a tacitazione di ogni pretesa dei diritti di legittima del soggetto parzialmente reintegrato, con rinuncia da parte del medesimo all'azione di riduzione eventualmente già esperita; un'altra possibile variante si riscontra nella transazione divisoria (in presenza di comunione ereditaria con un legittimario solamente leso), caratterizzata, secondo la più diffusa opinione giurisprudenziale, dalla mancanza di proporzionalità tra le attribuzioni patrimoniali e le quote di ciascuno dei partecipanti alla comunione. La divisione transattiva, invece, per definizione presuppone che il legittimario sia stato istituito in una quota astratta almeno pari a quella riservata.

[Sulla transazione in generale, quale strumento di composizione di controversie sulla successione necessaria, si segnala una recente pronuncia del Tribunale di Milano 10 maggio 2006, secondo cui "L'atto di integrazione della legittima col quale, al fine di prevenire una lite che sta per sorgere, a fronte di reciproche concessioni tra le parti, una di esse (erede testamentario) trasferisca una parte dei beni ereditari in favore dell'altra (erede necessario), che dichiari conseguentemente di essere stata soddisfatta nelle proprie ragioni successorie, va qualificato come contratto di transazione. Assume un ruolo decisivo, ai fini della qualificazione in tali termini dell'accordo, la ricerca della comune intenzione delle parti, desumibile mediante l'utilizzazione dei criteri interpretativi portati dal canone letterale e dall'esame del comportamento complessivo delle parti. Alla qualificazione dell'atto come transazione consegue che essa non è impugnabile per errore relativo alla materia controversa trattata"];

2) Negozio di rinuncia a titolo oneroso, con il quale il legittimario leso o pretermesso si dichiara tacitato di ogni sua ragione sulla massa ereditaria a fronte della (stavolta) integrale soddisfazione dei diritti spettantigli per legge, mediante il trasferimento di uno o più beni (anche non ereditari), e pertanto senza le reciproche concessioni di cui sopra;

3) Convenzione novativa, mediante estinzione, in tutto o in parte, delle obbligazioni (di fonte legale) nascenti dalle pretese del legittimario leso o pretermesso, e contestuale sostituzione ad esse di una nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso.

4) Negozio unilaterale recettizio, a titolo gratuito, da parte del beneficiario della disposizione lesiva, avente ad oggetto l'offerta di reintegrazione della corrispondente quota di legittima sui beni disposti dal de cuius in proprio favore, mediante rilascio, in tutto o in parte, dei beni medesimi, purché nei limiti della loro concreta riducibilità in sede processuale. Parte della dottrina ravvisa un'analogia con l'offerta di reductio ad aequitatem in ipotesi di risoluzione per eccessiva onerosità o rescissione per lesione. Altra parte della dottrina riconduce questa figura nell'alveo dell'art.1333 c.c.

Astrattamente, per realizzare la finalità satisfattiva delle ragioni del legittimario potrebbero essere utilizzati anche altri strumenti giuridici, quali, a mero titolo esemplificativo, la datio in solutum e la compensazione, oppure l'apposizione di clausola a favore di terzo ad un ulteriore schema negoziale. La dottrina normalmente procede ad un inquadramento dogmatico più generale di queste fattispecie, riconducendole alternativamente nell'alveo dei negozi transattivi ove vi sia una soddisfazione solo parziale delle ragioni del legittimario, oppure nell'alveo dei negozi rinunciativi a titolo oneroso, ove la reintegrazione sia totale ed in funzione della quota di sua spettanza.

Con riguardo ai negozi aventi carattere ricognitivo (a prescindere dalla loro qualificazione in termini di negozi di accertamento o, secondo altra più recente dottrina, contratti atipici a titolo gratuito meritevoli di tutela ex art..1322 comma 2 c.c.), il dibattito si è invece focalizzato sulla possibilità, come già accennato in precedenza, di ricollegare ad un mero accordo negoziale lo stesso effetto conseguente all'azione di riduzione. In realtà, in questo caso non viene in rilievo il problema dell'ammissibilità, nel nostro ordinamento, della discussa species del negozio di accertamento con effetti reali, poiché l'effetto traslativo-delativo trova la sua fonte nella legge, la cui operatività era solo impedita dall'esistenza, quale ostacolo giuridico, di una disposizione lesiva. Il problema, dunque, è affrontato sotto altro profilo: la sufficienza o meno del negozio di accertamento (oppure del contratto atipico, se lo si accoglie) al fine di raggiungere l'assetto finale reintegrativo perseguito dalle parti. La dottrina maggioritaria e la giurisprudenza citate, come spiegato, hanno aderito alla prima ricostruzione. In una di quelle pronunce in particolare (precisamente quella del Tribunale di Genova del 20 dicembre 1968), è stata anche vagliata positivamente l'ammissibilità di un negozio di accertamento unilaterale ad opera del soggetto beneficiato da disposizioni lesive. La prassi tuttavia, anche considerate le incertezze a livello teorico di tale figura, preferisce ad ogni modo la contestuale presenza del legittimario. Per lo stesso motivo non si riscontra con molta frequenza l'offerta unilaterale di reintegrazione di cui al precedente punto 4.

I negozi di reintegrazione alla luce del T.U. sulle successioni

Fatti questi doverosi richiami alla natura in generale dei negozi reintegrativi della legittima, si può ora analizzare, sotto un profilo operativo, il coordinamento di tali fattispecie con la normativa in materia fiscale.

Il D.Lgs. 346/90 (Testo Unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni) pone un primo punto fermo: all'articolo 43, già riportato al principio di questa breve disamina, tiene conto, ai fini dell'imposta di successione, di "eventuali accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari" purché "risultanti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata", e ribadisce tale impostazione, nell'articolo 30, in cui, alla lettera d), ne richiede altresì l'allegazione alla dichiarazione di successione, mediante "copia autentica dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata".

Pertanto, a prescindere dai requisiti di forma necessari per i singoli schemi negoziali utilizzabili (sul negozio di accertamento tra l'altro non vi è concordia di opinioni), ai fini del raggiungimento dell'effetto cui questi negozi sono destinati, in teoria sarebbe comunque necessaria la forma scritta, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata.

In teoria, si è detto, poiché in realtà il Decreto in oggetto presuppone da un punto di vista logico-giuridico che l'allegazione avvenga in funzione di una diversa distribuzione dell'asse ereditario, da esplicitare nella dichiarazione di successione e quindi rilevante solo in ordine a quella specifica imposta. Da ciò emerge che non tutti i negozi accomunati dalla finalità reintegrativa dei diritti dei legittimari, di cui all'ampio genus enucleato, sono idonei ad essere ricompresi nell'alveo del Testo Unico. Rispetto alle due categorie descritte, anzi, solo quella dei negozi con effetto ricognitivo è suscettibile di tale applicazione. Infatti, un negozio con effetti dispositivi, ancorché sorretto da quell'intento latu sensu satisfattivo della legittima sopra citato (cioé dal punto di vista meramente economico, senza modificazione della vicenda successoria), comporta inevitabilmente l'accettazione tacita dell'intera eredità (ai sensi dell'articolo 476 c.c.) o dell'intero legato (rectius la consumazione del potere di rifiuto), e pertanto la tassazione dello strumento prescelto avverrà in base ai criteri previsti astrattamente per il relativo negozio, alla quale non potrà però seguire una ulteriore imposizione fiscale in sede di successione, in quanto trasferimento di diritti per atto tra vivi (con esclusione, lo ribadiamo, della necessità di allegazione ex art. 30 del D.Lgs. 346/90). Stessa conclusione, mutatis mutandis, ove l'accordo con effetto traslativo abbia ad oggetto una eventuale donazione lesiva (ferma la necessità, per la riduzione sia di disposizioni testamentarie che donative, dell'effettiva sussistenza di una causa a sorreggere l'attribuzione patrimoniale, quanto meno solvendi).

Così ricostruito, il quadro normativo conferma in toto l'opinione della teoria prevalente: possono definirsi negozi di reintegrazione della legittima, in senso proprio, soltanto quelli di accertamento, totale o parziale, di una preesistente situazione lesiva della quota astratta riservata ad un legittimario, con l'effetto di rendere operante nei confronti del medesimo la vocazione necessaria ex lege sui beni oggetto di ricognizione.

Casistica

Si tratta ora di analizzare l'esatta portata della fattispecie, considerata forse troppo fugacemente dal legislatore fiscale. Ipotizziamo i seguenti casi (con la precisazione che l'eventuale reintegrazione di un solo legittimario quando ve ne è più di uno leso o pretermesso, non influenza i risultati interpretativi esposti sulla base di questa classificazione, ferma restando comunque la necessaria partecipazione di tutti i condividenti ove si voglia realizzare la fattispecie divisionale infra sub D):

A)  Tutti i beneficiari delle disposizioni lesive partecipano al negozio di accertamento e riconoscono integralmente la lesione della legittima (Accertamento totale in senso proprio);

B)  Solo alcuni beneficiari di disposizioni lesive riconoscono integralmente la lesione della legittima sui beni loro destinati dal de cuius, in vita o con il testamento (Accertamento soggettivamente parziale proprio);

C) Alcuni o tutti i beneficiari di disposizioni lesive riconoscono la lesione della legittima sui beni loro destinati, ma limitano l'accertamento a parte di tali beni, escludendone completamente alcuni oppure limitando la ricognizione ad una quota inferiore rispetto a quella astrattamente prevista dai criteri di legge per la riduzione (Accertamento oggettivamente parziale);

D) Alcuni (Accertamento soggettivamente parziale improprio) o tutti (Accertamento totale improprio) i beneficiari di disposizioni lesive riconoscono la lesione della legittima sui beni loro destinati, ma la reintegrano in maniera più che proporzionale rispetto a quanto astrattamente previsto dai criteri di legge per la riduzione.

La prima fattispecie è quella tipica del negozio di accertamento reintegrativo (bilaterale o, se si ammette, unilaterale). Vi partecipano tutti i soggetti beneficiati da disposizioni lesive, a qualsiasi titolo. In caso di disposizioni testamentarie, in particolare, l'accordo comporta altresì l'accettazione tacita di quanto loro devolutogli, con la differenza rispetto ai negozi dispositivi, che in questo caso si avrà una accettazione parziale, limitata alle porzioni di beni non oggetto di riduzione. La dottrina notarile, con l'autorevole avallo di alcune pronunce giurisprudenziali (Cass. 18 giugno 1956, n. 2171, in Foro Pad., 1957, I, 815; Cass. 24 novembre 1981, n. 6235, in Giust. civ. 1982, I, 965), ritiene che l'attribuzione patrimoniale a favore del legittimario, in quanto avente mera finalità correttiva delle disposizioni lesive e derivante dalla legge (mentre solo indirettamente dal negozio), sia soggetta all'applicazione dell'imposta di successione in virtù del principio di alternatività rispetto all'imposta di registro (a cui invece è soggetto il negozio ricognitivo, nella misura fissa di Euro 168,00, ex art..11 del Testo Unico sull'Imposta di Registro, in quanto atto non avente per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale). In questo senso una recente decisione della Commissione Trib. Prov. Valle d'Aosta Aosta Sez. III, 31-10-2011, n. 18, secondo cui "L'accordo tra eredi e legittimari configura un atto mortis causa, di cui tenere conto nella determinazione dell'imposta sulle successioni, e in applicazione del pacifico principio di alternatività, andrebbe assoggettato ad imposta di registro in misura fissa".

Alle medesime conclusioni deve giungersi per la seconda fattispecie, definita a parere dello scrivente "Accertamento soggettivamente parziale proprio". Non vi è, infatti, alcuna ragione per ritenere che l'ostruzionismo o la litigiosità di alcuni soggetti beneficiari, possa precludere agli altri di attuare autonomamente la reintegrazione della legittima (per l'intera quota astrattamente riducibile, relativa ai beni loro destinati), o che, pur senza creare impedimenti giuridici al perfezionamento di un accordo parziale, possa comunque causare un nocumento, in termini fiscali, alle Parti più diligenti.

Il discorso invece si fa più articolato in ordine all'accertamento oggettivamente parziale. In questo caso, i contorni della fattispecie sfumano fino a richiamare alla mente un accostamento al contratto di transazione, che, come spiegato supra, implica necessariamente un'attribuzione inferiore alla quota in astratto spettante al legittimario. Il problema tuttavia, è solo apparente. La figura della transazione, infatti, è caratterizzata dalla presenza delle reciproche concessioni, che per definizione non ricorrono nel negozio di accertamento, avente ad oggetto la rimozione di una situazione di obiettiva incertezza (res dubia) relativa ad un rapporto giuridico preesistente. Al riguardo, non si può che convenire con il ragionamento espresso dalla Suprema Corte nella citata sentenza n. 6235 (ancorché relativa all'art. 6 r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270 della legge tributaria abrogata), qui di seguito riportata: "il legislatore ha inteso statuire che, quando il testamento ha leso i diritti del legittimario e l'impugnazione di esso dovrebbe avere come unico scopo la reintegrazione di tali diritti …(omissis)… gli interessati – per quanto riguarda la legge tributaria – sono dispensati dall'onere di siffatta impugnazione e possono realizzare il detto risultato anche con atto negoziale. Questo in tal caso viene considerato come correttivo del testamento e – inserito al pari di questo nella vicenda successoria – viene tassato a titolo di imposta sulla successione, anziché quale atto traslativo inter vivos. E ciò anche nel caso in cui le attribuzioni patrimoniali concordate soddisfino solo parzialmente i diritti dei legittimari, posto che anche siffatte attribuzioni, parzialmente satisfattive di tali diritti, si inseriscono nella vicenda successoria ed hanno natura sostanzialmente ereditaria, costituendo poi il contenuto ed i limiti di esse materia di valutazioni che l'Amministrazione finanziaria non può sindacare, come non potrebbe sindacare …(omissis)… il merito di un'azione di riduzione limitata ad una parte della quota di riserva".

Per ciò che concerne, infine, le fattispecie sub D), al fine di comprenderne l'esatta natura, si ritiene opportuno fare degli esempi:

  • (Accertamento totale improprio): Tizia, vedova, muore lasciando a succederle per testamento, quale unico erede universale, il primogenito Tizio, con totale pretermissione dell'altro figlio Tizietto. Non vi sono legati, né donazioni in vita, né debiti ereditari. Il valore del relictum è di Euro 90.000, composto in particolare da un piccolo immobile del valore di Euro 30.000 e da uno del valore di Euro 60.000 (accertati tramite perizia o determinati di comune accordo in via transattiva). Tizio è disposto ad accertare interamente la lesione della legittima patita dal fratello (pari ad 1/3 del relictum), e pertanto stipula un negozio di accertamento bilaterale mediante il quale a Tizietto viene devoluta l'intera proprietà dell'immobile di minor valore. Può applicarsi anche in questo caso l'imposta di registro in misura fissa?  La risposta non può che essere negativa. In questo caso, infatti, l'accordo realizza un effetto giuridico ulteriore rispetto al risultato che sarebbe stato astrattamente perseguibile mediante la sola azione di riduzione. Le Parti pongono in essere un collegamento negoziale tra un contratto di accertamento ed una divisione. Tizietto, da un punto di vista logico-giuridico, viene prima reintegrato nella quota di 1/3 su ciascun bene. Sorge la comunione ereditaria con il fratello, che viene poi immediatamente sciolta mediante apporzionamento del bene di minor valore. La tassazione per questo secondo negozio è pertanto quella ordinaria prevista per la divisione. In questo senso deve essere dunque interpretata e circoscritta, una discussa decisione della Commissione Trib. Centr. Sez. XIX, 18-04-2003, n. 3180, secondo cui "Anche se le attribuzioni concordate tra gli eredi hanno sostanzialmente natura ereditaria e la volontà negoziale è diretta all'adempimento della norma di diritto successorio di cui un coerede ha diritto di ottenere l'adempimento, il relativo atto negoziale, il cui scopo è principalmente quello di soddisfare parzialmente i diritti di legittima, rappresenta comunque lo scioglimento della comunione ereditaria. Conseguentemente trattandosi di trasferimenti di diritti reali tra vivi l'atto stesso sarà attratto all'imposta di registro".
  • (Accertamento soggettivamente parziale improprio): Tizia, vedova, muore lasciando a succederle per testamento, quali unici eredi universali, in parti uguali, il primogenito Tizio e la gemella Tizietta, con totale pretermissione del terzo figlio Tizietto. Non vi sono legati, né donazioni in vita, né debiti ereditari. Il valore del relictum è di Euro 90.000, la legittima di Tizietto pari a 2/9 (conseguibile mediante riduzione fino a concorrenza del valore di Euro 10.000 nei confronti di ciascun fratello). Tizio è disposto ad accertare interamente la lesione della legittima patita dal fratello, anche in relazione alla parte ad esso non giuridicamente imputabile sotto il profilo della riduzione, e pertanto stipula un negozio di accertamento bilaterale mediante il quale a Tizietto viene devoluta la quota di 4/18 dell'eredità (cioé 2/9), trattenendo i restanti 5/18. Anche in questa fattispecie può applicarsi l'imposta di registro in misura fissa?  La risposta è nuovamente negativa. Se da una parte è vero che il legittimario pretermesso riceve esattamente quanto nel complesso gli spetterebbe esperendo l'azione di riduzione, tuttavia ciò avviene a totale detrimento della quota di uno solo degli eredi beneficiati. Tale risultato esula dallo schema del mero accertamento reintegrativo, e postula invece l'esistenza di un collegamento negoziale tra l'accertamento stesso (per la quota di 1/9) ed un diverso negozio giuridico (soggetto ad autonoma imposizione fiscale), con causa normalmente liberale (per la restante quota di 1/9), da individuarsi volta per volta in base all'assetto concretamente perseguito dalle Parti.

Dott. Giuseppe Marottoli

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