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Fontana è un razzista. Solo meno furbo del suo capo Salvini

Il candidato presidente in Lombardia del centrodestra per il dopo Maroni ora smentisce di avere smentito e insiste sulle questioni di razza. Ma in fondo è solo il modello grezzo di una narrazione che c’è dappertutto.
A cura di Giulio Cavalli
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Non esistono diverse sfumature di razzismo. Non si è molto razzisti, poco razzisti, razzisti per disperazione o razzisti così così. A ben vedere funziona poco anche cercare di giustificarsi dicendo di essere stati "male interpretati" o di essere caduti in un "lapsus": non è incredibile che qualcuno in un momento di disattenzione mostri il proprio lato peggiore, piuttosto è molto naturale. Per questo ciò che colpisce di Attilio Fontana (candidato leghista per il centrodestra alle prossime elezioni regionali in Lombardia) è piuttosto l'imbarazzo con cui s'affanna a difendere un'idea che ha davvero in testa ma che, bontà sua, non ha nemmeno il coraggio di sostenere fino in fondo.

E infatti oggi Fontana, dopo la sua goffa retromarcia di ieri, torna all'assalto con una spregevole intervista a Tgcom24 in cui simulando contrizione si scusa di essersi scusato e rilancia: «Dovrebbe anche cambiare la Costituzione perché è la prima a dire che esistono le razze», ha dichiarato Fontana riferendosi all'articolo 3 della Costituzione ("Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali") ma soprattutto respinge le accuse di razzismo con una bella frase razzista. «Un lapsus, un errore terminologico – spiega – Ma sia ben chiaro che il concetto espresso lo difendo e lo difenderò sempre. Invece di razza, dovevo dire popolo italiano o cultura nazionale che vanno difesi da un'invasione che rischia di distruggerci»: quindi niente "razza bianca" ma sì "invasione", nazionalismi spicci e via. E Fontana evidentemente non capisce (e i leghisti con lui) che si può essere razzisti anche senza usarne la parola: decidere di occuparsi della sopravvivenza dei bianchi prima dei neri (o degli italiani prima dei siriani, o dei lombardi prima dei siciliani, o dei milanesi prima degli abitanti di Rho) sottintende lo stesso concetto antisociale e incostituzionale.

C'è una differenza però tra lo sprovveduto Fontana e i razzisti (e i neofascisti) di quest'era: mentre lui si attorciglia sull'uso delle parole (poche, sempre meno) che ancora sollevano un moto di indignazione gli altri (come Salvini o i "dirigenti" ultimamente così popolari di Casapound) hanno furbescamente imparato a camminare su quel bordo in cui si riesce ad accontentare lo stomaco razzista senza provocare il conato del Paese. Sul quel filo sottile si giocano le politiche (inaccettabili e incostituzionali) travestite per essere potabili, mimetizzate sotto un eccesso di foga ma infidamente ancora più pericolose perché ritenute lecite.

Fontana in fondo, anche se da 24 ore insiste ad avere lapsus per poi smentirli, è solo il modello grezzo di una narrazione che c'è dappertutto. Non ci sono cinquanta sfumature di razzismo: sono tutte, ugualmente, inaccettabili.

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