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Togliere l’alcol dal vino ed aggiungere acqua: la proposta di Bruxelles fa assai discutere

Una nuova mina da Bruxelles rischia di compromettere il vino, principale voce dell’export agroalimentare italiano (oltre 11 miliardi di euro). Reso noto un documento circolato all’ultima riunione dei ministri dell’agricoltura Ue: più acqua e meno alcol nel vino. La denuncia è della Coldiretti che parla di “inganno legalizzato”. Ma quali sono i motivi di questa spinta alla dealcolizzazione?
A cura di Biagio Chiariello
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C'è chi scuote la testa con disprezzo già di fronte alla pratica, assai comune a tavola in famiglia, di allungare il vino nel proprio bicchiere aggiungendo dell’ acqua per renderlo meno alcolico. Figuriamoci se la pratica fosse ammessa addirittura nel processo produttivo. Un rischio che, denuncia Coldiretti, è ora reale. Perché la Presidenza del Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea ha pronto un documento con cui si autorizza la cosiddetta dealcolazione. Appunto l'eliminazione di una componente di alcol e la sostituzione dell'aggiunta di acqua.

Più acqua, meno vino

La questione, va detto, è in discussione da tempo a Bruxelles ed è salita alla ribalta in questi giorni perché durante l’ultima riunione dell’Ocm Vino la Presidenza del Consiglio dei Ministri dell’Agricoltura avrebbe accolto la proposta che prevede di autorizzare nell'ambito delle pratiche enologiche l'eliminazione di una componente di alcol e la sostituzione dell'aggiunta di acqua.

Settore in crisi

Una grana che arriva in un momento complicato per il settore del prodotto italiano per eccellenza, che vale oltre 11 miliardi di euro come voce dell'export agroalimentare nazionale, ma che sconta un crollo del 20% del consumi all'estero nel 2021. Nonostante questo, l’Italia resta il principale produttore mondiale di vino, con 49,1 milioni di ettolitri, e il primo esportatore con 20,8 milioni di ettolitri, davanti alla Spagna con 20,2 e la Francia con 13,8.

Coldiretti parla di "inganno legalizzato"

Il vero problema di una tale autorizzazione sarebbe dunque quello di estenderla anche ai vini a denominazione d’origine, i cui disciplinari di produzione prevedono un “titolo alcolometrico minimo” al di sotto del quale quel determinato vino non può fregiarsi dell'acronimo DOC. Per questi vini, spiega Coldiretti, l’ipotesi contenuta nel documento sarebbe quella di concedere l’aggiunta di acqua. “Un inganno legalizzato per i consumatori, che si ritroverebbero a pagare l’acqua come il vino”, afferma l’associazione di categoria in un comunicato.

Il documento circolato tra i ministri agricoli Ue – spiega il responsabile vitivinicolo della Coldiretti, Domenico Bosco – è pericoloso perché compie un vero e proprio “salto di qualità”. Finora infatti le bevande dealcolate erano considerate come una categoria a parte che in nessun caso potevano essere confuse col vino. Nel documento Ue invece si parla dell'ipotesi di ridurre l'alcol come di quella di aggiungere acqua come di una “pratica enologica”. Ovvero una tecnologia che una volta approvata diventa utilizzabile su tutto il territorio Ue bypassando i limiti previsti dai disciplinari di produzione che invece hanno sempre svolto la funzione di frenare derive qualitative".

L'Europa è divisa

Al momento, è giusto precisare, si tratta comunque solo di un’ipotesi. Consiglio, Commissione e Parlamento europeo si riuniranno nuovamente nel trilogo del 23, 25 e 26 maggio. Sul tema, le posizioni restano infatti diverse. Se il Parlamento apriva alla dealcolazione per i soli vini da tavola, il Consiglio dei Ministri dell’Agricoltura e la Commissione hanno infatti aperto alla possibilità di ammettere la discussa pratica anche per i vini a denominazione d’origine, sia pure fissando alcuni limiti.

Perché la dealcolizzazione?

Le motivazioni di questa spinta alla produzione di vini senza alcool, avvallata in particolare dai Paesi del Nord Europa, sono principalmente legate alle possibili conseguenze sulla salute derivanti dal consumo di vino. Ma vi è anche una questione di tipo economico, portata avanti dai grandi produttori. Ci sono Paesi, come quelli arabi, in cui l’alcool è vietato, che potrebbero diventare mercati da conquistare con il nuovo prodotto annacquato. Che, però, a quel punto non dovrebbe neanche essere più chiamato ‘vino'.

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