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Perché l’asse tra Russia e Corea del Nord è una minaccia: l’analisi del diplomatico russo in esilio

“Pyongyang ha poco da offrire ma Mosca rafforza il suo ruolo guida nel ‘Club dei Paesi offesi'”. L’Occidente “non deve temere i costi della libertà” e deve “proporre un futuro desiderabile” per la Russia del dopo-Putin e il dopoguerra. Intervista a Boris Bondarev, il diplomatico che dopo l’invasione dell’Ucraina disse di no al Cremlino.
A cura di Riccardo Amati
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La Corea del Nord "non ha molto da offrire alla Russia" e l’incontro tra i leader dei due Paesi è da inquadrare nel sistema di alleanze tra gli "Stati offesi" dall’Occidente. Un vero e proprio club che, paradossalmente, "combatte l’imperialismo ma ha come faro il regime neo-imperialista di Vladimir Putin". Secondo il diplomatico russo in esilio Boris Bondarev, il vertice al cosmodromo di Vostochny, che prelude a forniture di armi nordcoreane a Mosca, non cambia le prospettive della guerra in Ucraina. Rischia però di contribuire a prolungarla. Come spera il Cremlino, che "conta sulla debolezza di intenti dell’Europa". Dove "non ci si rende più conto che la libertà ha un costo". E dove "manca l’immaginazione per una visione del dopo Putin e del dopoguerra". E per proporre un futuro desiderabile ai Paesi "offesi". A partire dalla Russia.

Fanpage.it ha raggiunto Bondarev in videoconferenza nel luogo dove si trova per ragioni di sicurezza dopo le sue clamorose dimissioni dal corpo diplomatico, accompagnate da una lettera aperta in cui criticava il regime di Putin, l’invasione dell’Ucraina l’involuzione della politica estera di Mosca.

Boris Bondarev
Boris Bondarev

Il vertice del cosmodromo è stato più un successo per Putin o per Kim?

Non sappiamo molto di quel che si son detti e soprattutto non sappiamo quali siano gli accordi eventualmente stipulati. Ma che il vertice abbia avuto luogo è di per sé un successo per entrambi. Perché in questo tipo di eventi tutto viene deciso dalle rispettive delegazioni diplomatiche nei colloqui preliminari. Non credo proprio che Kim Jong-un si sarebbe mai mosso da Pyongyang, se non si fossero preventivamente raggiunte intese.

Tra l’altro non viaggiava all’estero da prima della pandemia, quasi quattro anni.

Per questo il suo viaggio in Russia è ancora più significativo.

Le relazioni tra Mosca e Pyongyang hanno raggiunto “un nuovo livello”, ha detto il leader nordcoreano invitando Putin a ricambiare la visita. Ma per Mosca sembra sia stato più un incontro tattico che strategico. Si è discusso di armamenti, ha confermato il Cremlino. Che ne ha bisogno per la sua guerra in Ucraina.

Bisogna vedere cosa potrà ottenere. E non credo che potrà ottenere molto.

Perché?

La Corea del Nord è un Paese molto povero, dalle risorse assai limitate. La Russia vuole l’accesso ai suoi magazzini di armi convenzionali, che possono esserle utili. Credo che soprattutto si sia raggiunto l’accordo per comprare munizioni e sistemi di armamento funzionali all’esercito russo. Ma non credo proprio che si tratti di forniture risolutive per il conflitto in corso.

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E al di là di questo non c’è altro? Il vertice non è stato un passo deciso verso una "diplomazia dei paria"? La Russia si legherà sempre di più ai Paesi emarginati dalla comunità internazionale?

È naturale che gli "stati canaglia", o considerati tali, vogliano stringere relazioni con altri "stati canaglia". La Russia non ha molti alleati e si tratta di Paesi non troppo integrati nella comunità internazionale. Dall’Eritrea al Venezuela, dall’Iran a Myanmar, dalla Cambogia alla Corea del Nord, appunto.

Si sta formando un club?

È il club degli Stati “offesi”. Stati che si sentono sottostimati sull’arena mondiale. E che considerano non vengano presi nella dovuta considerazione i loro interessi e le loro idee sulla vita sociale e la politica internazionale.

Ma che c’entra la Russia con l’Etiopia e la Cambogia? O con la Corea del Nord? Al di là delle prese di posizione contro l’Occidente, o — nel caso di Pyongyang — della disponibilità di armamenti utili a Mosca, quali sono gli altri interessi in comune?

Si deve tener presente un aspetto psicologico, quando si parla di interessi in comune con i cosiddetti “Stati canaglia”: la leadership del Cremlino è delusa e arrabbiata nei confronti dell’ Occidente, che non considera degna la Russia di Putin ed evita di accoglierla tra i suoi pari. Avete presente i ragazzini che vogliono dimostrare agli adulti di valere qualcosa?

Forse i “ragazzini” hanno qualche ragione?

Lo deciderà la Storia. Intanto, potrebbero dimostrarsi vincenti. Perché il mondo occidentale non sembra avere tutta questa voglia di difendersi e proteggere il suo modo di vivere.

In che senso?

A volte penso che se, per assurdo, una potente armata asiatica — russa, cinese o mongola che sia — si presentasse ai confini dell’Europa con le motivazioni e gli armamenti giusti, pochi sarebbero gli europei davvero pronti a combattere e morire. Si preferirebbe qualche compromesso. Si abbasserebbe la testa. Gli Stati Uniti sono diversi, resisterebbero. L’Europa, non so.

È questa la visione dell’Europa che hanno anche al Cremlino?

Putin la vede esattamente così: considera gli europei estremamente deboli e attaccati solo alla loro alta qualità di vita. Per cui basta pressarli con sufficiente forza e insistenza e si piegheranno. Ne avranno abbastanza. Smetteranno di battersi.

È così che Putin conta di vincere in Ucraina?

Più a lungo dura la guerra, più in Europa aumenteranno per quantità e volume le voci che vogliono l’appeasement con la Russia, una pacificazione a vantaggio di Mosca e di Putin. Per poter diminuire le tasse, ridurre l’inflazione e, dal punto di vista dei politici, guadagnare voti. Questo probabilmente non vale per gli Stati fisicamente più vicini alla Russia, come Polonia e Paesi baltici. Ma per l’Europa occidentale è così.

Ma la Russia ha la capacità di continuare la guerra in Ucraina abbastanza a lungo da “stancare l’Europa”? L’accordo per le forniture da Pyongyang non potrà riempire i magazzini di armi e munizioni all’infinito.

La Russia sta mettendo tutta la sua economia al servizio della guerra. Non mi stupiscono le notizie secondo cui ha raddoppiato la produzione bellica nel 2023. E Putin troverà sempre soldi per gli armamenti. A costo di tagliare i fondi per la scuola, la salute e lo stato sociale.

Tornando a quella che definivamo “diplomazia dei paria”, oltre a una maggior voglia di difendere  sé stesso e il suo sistema di vita non è che l’Occidente dovrebbe trovare risposte alla voglia di multipolarismo del “Sud globale”, Paesi “paria” compresi?

Credo che siamo già entrati nell’era del multipolarismo, che in teoria va nella direzione di un mondo più giusto e bilanciato anche se in pratica è pieno di rischi perché i poli di cui è composto sono tutt’altro che di uguale rilevanza. Il paradosso a cui assistiamo è quello di Paesi ex coloniali che giustamente condannano il colonialismo occidentale del passato e le sue conseguenze presenti ma non condannano, e in alcuni casi attivamente sostengono, il neo-colonialismo di Mosca. Diventata addirittura il loro faro.

E che può fare l’Occidente per ridimensionare questi paradossi?

Declinare una visione del futuro. Definire alcuni obbiettivi. Vale in primo luogo per la guerra in Ucraina. Che viene aiutata e deve continuare a essere aiutata perché la Russia ha violato la norma del diritto internazionale che vieta di cambiare i confini con l’uso della forza. E se questo comportamento non fosse contrastato potrebbe ripetersi più volte, ovunque.

Ma bisognerà pure arrivare a una pace. Come si fa a dar torto a chi vorrebbe un negoziato per porre fine alla carneficina?

Purtroppo un negoziato con Putin e gli uomini che lo circondano è impossibile, perché hanno dimostrato molte volte di essere inaffidabili e incapaci di mantenere le promesse.

E chi lo butta giù il regime? Tentativi di interventi esterni sono impensabili. La Russia è una potenza nucleare. Non è Cuba, dove peraltro l’intervento esterno fallì miseramente. E soprattutto non siamo negli anni ’60 del secolo scorso.

Solo i russi possono liberasi di Putin. I russi in Russia e quelli in esilio.

Buona fortuna. Non sembra un’impresa facile.

L’Occidente deve contribuire a creare una frattura tra Putin e la sua elite, che per ora non agisce perché il presidente garantisce agli esponenti del regime ricchezze e status. La società russa purtroppo è in gran parte apatica o travolta dalla propaganda. Ma i componenti della elite che non hanno partecipato alla decisione di invadere l’Ucraina — e sono la stragrande maggioranza —  potrebbero rivoltarsi, se vedessero l’impresa come desiderabile anche per il loro futuro. Al momento non vedono opzioni. Sono quasi tutti sotto sanzione. Hanno paura di Putin.

E come possiamo rendere l’impresa “desiderabile”?

Serve una visione per la Russia del dopo Putin. Ai russi, di ogni estrazione sociale, vanno date speranze per il futuro. L’Occidente, intanto, dovrebbe definire un concetto univoco su come deve finire questa guerra e su cosa avverrà dopo. Non basta dire che i confini dell’Ucraina devono tornare quelli del 1991. E poi? A quali condizioni si negozierà la pace? Quale sarà l’architettura della sicurezza in Europa, e che parte vi avrà la Russia? Quali saranno le relazioni con Mosca? Che ruolo avranno le sue elite nel dopoguerra? Sono domande a cui si evita di rispondere o su cui si danno risposte ondivaghe. Eppure la Russia sarà lì. I russi saranno lì. Comunque vada a finire.

Se l’Occidente fosse più conscio che la libertà ha un costo, pensasse di meno al tenore di vita e si dedicasse, in politica internazionale, a immaginare soluzioni che rendano desiderabile un futuro da Paesi normali alla Russia e ai suoi alleati “canaglia”, la “diplomazia dei paria” e il “Club degli offesi” sarebbero destinati a fallire.

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