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Orrore in Libia: “Ho visto una donna partorire poi la guardia ha dato il neonato in pasto a un cane”

Un neonato gettato in pasto ad un cane. È l’ultima, orribile testimonianza sui campi di detenzione per migranti in Libia. A raccontarlo sono due sopravvissuti ad un naufragio nel Mediterraneo e salvati dall’Ong tedesca Sea-Eye a fine novembre. Nella notte, al largo della Libia, la nave Alan Kurdi ha soccorso 32 persone, tra cui 10 minori e cinque donne. L’imbarcazione con i migranti sta facendo rotta su Lampedusa.
A cura di Mirko Bellis
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“Una donna somala ha dato alla luce un bambino e un libico ha preso il neonato e lo ha gettato ad un cane che lo ha mangiato”. È l’ultima, terribile testimonianza sugli orrori nei campi di detenzione per migranti in Libia. A raccontarlo sono due sopravvissuti ad un naufragio accaduto in novembre nel Mediterraneo centrale. I due giovani sono stati salvati dalla nave Alan Kurdi dell'Ong tedesca Sea-Eye. Due giorni fa, l’organizzazione umanitaria ha diffuso un video in cui i due ragazzi, con il volto oscurato per proteggere la loro identità, rivelano come una delle guardie del centro abbia commesso il gesto disumano. “Sì, il cane ha mangiato il bambino”, conferma uno dei due davanti all'incredula volontaria a bordo della Alan Kurdi. Le esperienze dei migranti nei campi di detenzione in Libia sono terribili e ricordano, ancora una volta, la violenza vissuta da quanti cercano di raggiungere l’Europa. Un altro dei sopravvissuti ha raccontato di essere stato torturato e costretto a chiamare i parenti perché inviassero denaro ai suoi aguzzini.

“Abbiamo considerato a lungo se diffondere o meno questo rapporto – si legge in una nota dell'Ong tedesca – dopo un’attenta riflessione abbiamo deciso che queste storie devono essere ascoltate”. “I rapporti su commercio di schiavi, gravi torture, violenze sessuali – prosegue Sea-Eye – ma anche condizioni mediche e alimentari totalmente inadeguate non hanno portato a nessun cambiamento della politica europea sulle migrazioni”. “Ecco perché abbiamo deciso di pubblicare questa relazione, perché la situazione nei campi libici è parte della brutale realtà della sicurezza delle frontiere europee”. E Sea-Eye lancia un appello al governo tedesco e a tutti i Paesi dell'Unione europea: “Chiediamo di porre fine all'inumana politica di rimandare in Libia chi viene salvato in mare e di adottare misure orientate al rispetto dei diritti umani”. “Le persone particolarmente vulnerabili come famiglie, donne in gravidanza e bambini – conclude l’organizzazione umanitaria – devono essere evacuate e non consegnate ai criminali”.

Salvi 32 migranti al largo della Libia

L'equipaggio della Alan Kurdi trae in salvo i bambini a bordo del gommone partito dalla Libia (Jana Stallein)
L'equipaggio della Alan Kurdi trae in salvo i bambini a bordo del gommone partito dalla Libia (Jana Stallein)

Nella notte del 26 dicembre, l'imbarcazione della Sea-Eye, la Alan Kurdi, ha tratto in salvo 32 migranti partiti dalle coste libiche. Alle 22.31 la prima chiamata d’emergenza è arrivata all'organizzazione AlarmPhone che ha provveduto ad allertare le autorità libiche, la Alan Kurdi e la Ocean Wikings, la nave di Medici senza frontiere e Sos Mediterranee. Due ore dopo, la Alan Kurdi ha trovato a 17 miglia dalla Libia un gommone con a bordo 32 persone, tra cui 10 bambini: il più piccolo di soli 3 mesi. Tra chi stava cercando di attraversare il Mediterraneo centrale c’erano anche cinque donne, una della quali incinta.

Tutti gli occupanti del gommone – assicura l'Ong tedesca – hanno dichiarato di essere cittadini libici. “Come può essere la Libia considerata un luogo sicuro se gli stessi libici mettono le loro famiglie in mare a rischio della vita in modo da lasciare il Paese così in fretta?”, ha detto Gorden Isler, presidente di Sea-Eye. Dopo aver tratto in salvo i migranti, la Alan Kurdi sta facendo rotta verso Lampedusa perché è prevista un'altra tempesta in mare. “La via di fuga per il Mediterraneo è particolarmente pericolosa in questo periodo dell'anno perché il tempo cambia in continuazione”, ha dichiarato Julian Pahlke, portavoce della Sea-Eye. “Se non avessimo trovato queste persone – ha concluso – avrebbero dovuto affrontare una tempesta domani. E questo avrebbe potuto drasticamente ridurre le loro possibilità di sopravvivenza”.

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