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Diecimila aborti senza consenso: orrore dell’esercito in Nigeria nel nome della purezza del sangue

Un’inchiesta di Reuters fa luce su un’enorme violazione sul corpo delle donne violentate dai miliziani di Boko Haram. Molte di loro venivano picchiate dai soldati che le avevano liberate perché avevano in grembo un “figlio bastardo”.
A cura di Jennifer Guerra
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Un’inchiesta dell’agenzia Reuters ha scoperto che dal 2013 più di diecimila donne in Nigeria hanno subìto aborti senza il loro consenso. Secondo le ricostruzioni, “l’esercito nigeriano ha condotto un’operazione segreta, sistematica e illegale nel nord est del Paese, interrompendo almeno diecimila gravidanze tra donne e adolescenti, molte delle quali erano state rapite e stuprate da miliziani islamisti”. Da 13 anni, infatti, l’area nordorientale della Nigeria è alle prese con gli attacchi condotti dall’organizzazione jihadista Boko Haram, in un conflitto che ha causato almeno 300mila vittime, e circa 25mila rapimenti, il più celebre dei quali ha riguardato 276 studentesse a Chibok. Intervistando una trentina di donne e il personale medico, Reuters ha rilevato che gli aborti venivano condotti su donne e bambine liberate dai rapimenti, che venivano poi condotte dai militari in basi o ospedali cittadini e fatte abortire con farmaci senza essere informate. I giornalisti hanno raccolto testimonianze di donne di ogni età, anche in stati avanzati di gravidanza. L’esercito e il governo nigeriano hanno negato le accuse.

In Nigeria, l’aborto è illegale e punito con fino a 14 anni di reclusione per il medico e 7 per la donna. Per questo, l’operazione dell’esercito sarebbe stata condotta clandestinamente e nota soltanto agli operatori preposti a somministrare i farmaci abortivi. Oltre a essere contrario alla legge del Paese e alla legge marziale, l’aborto forzato è una violazione dei diritti umani e può essere considerato un crimine di guerra. Obbligare a interrompere una gravidanza è infatti una forma di coercizione riproduttiva, cioè quell’insieme di “comportamenti che interferiscono con l’autonomia decisionale di una donna a proposito della sua salute riproduttiva”. Secondo i Principi stabiliti durante la conferenza al Cairo dell’Onu nel 1994, “tutte le coppie e gli individui hanno il diritto fondamentale di decidere liberamente e responsabilmente il numero e la distribuzione dei propri figli e avere l’informazione, l’educazione e i mezzi per farlo”. Lo stesso presidente dell’Onu Antonio Guterres ha chiesto che venga fatta chiarezza sulla vicenda e che il governo nigeriano istituisca una commissione d’inchiesta.

Se le scoperte di Reuters venissero confermate, si tratterebbe di una delle più gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani portate avanti da un governo negli ultimi anni, ma soprattutto svelerebbe l’ipocrisia delle politiche antiabortive della Nigeria e di molti altri Paesi che ancora vietano alle donne di interrompere la gravidanza liberamente e in sicurezza. Secondo il Guttmacher Institute, la Nigeria ha infatti uno dei tassi di abortività più alti al mondo: 50,6 interruzioni di gravidanza ogni mille donne (in Italia è del 5,4). Il problema è che il 63,4% di questi aborti si svolge in maniera non sicura, causando ogni anno 500mila complicazioni, di cui nemmeno la metà viene curata. Circa il 10% dei casi mortalità materna è causato da aborti non sicuri e le ultime ricerche dimostrano che il ricorso fai-da-te a farmaci con effetti abortivi è sempre più diffuso, specie tra le adolescenti. Questa crisi sanitaria si potrebbe facilmente evitare eliminando la legge che vieta l’aborto, istituita dal governo coloniale inglese più di centocinquant’anni fa. Tutti gli studi confermano infatti che il divieto di aborto non influisce sul numero degli aborti, ma li rende più pericolosi per la salute delle donne.

La Nigeria è un Paese molto religioso, in cui l’aborto è condannato sia dalla comunità cristiana che da quella musulmana. Ma in questo caso l’interruzione forzata delle gravidanze è giustificata da ragioni ideologiche e politiche, che nulla hanno a che fare col rispetto delle vittime delle violenze perpetrate da Boko Haram. “Centrale, nel programma di aborto, è un’idea molto diffusa tra le fila dell’esercito e tra alcuni civili del nordest: che i figli degli insorti sono predestinati, per il sangue che scorre nelle loro vene, a prendere le armi in futuro contro il governo e la società nigeriana”, si legge nell’articolo di Reuters. L’accesso alla contraccezione di emergenza e all’aborto sono strumenti cruciali nei luoghi di conflitto, non solo per il trauma di una gravidanza frutto di una violenza, ma anche per lo stigma vissuto dai figli di stupri di guerra. In ogni caso, dovrebbe spettare alla donna il diritto di scegliere se portare avanti la gravidanza.

L’operazione condotta dall’esercito nigeriano cancella invece ogni libertà decisionale sul proprio corpo, in nome di una idea arbitraria di purezza di sangue. L’incubo delle donne e delle bambine rapite e rese schiave sessuali di Boko Haram infatti non si conclude con la liberazione: proprio a causa dei contatti sessuali forzati con i miliziani, sono considerate ormai “contaminate” e ostracizzate dalla società. L’esercito, interrompendo le loro gravidanza, avrebbe impedito la nascita di nuovi miliziani. Secondo le testimonianze e i documenti raccolti da Reuters, gli aborti si sarebbero svolti in condizioni igieniche precarie e attraverso l’assunzione di misoprotolo o di ossitocina, quest’ultima sconsigliata per indurre l’aborto. Un membro del personale sanitario ha raccontato che le donne venivano legate o addirittura sedate durante la procedura, e che alcune venivano picchiate dai soldati che le insultavano per portare in grembo “un figlio bastardo”.

Sarà difficile avere una conferma ufficiale da parte del governo nigeriano in merito all’inchiesta di Reuters, anche perché tutti gli altri casi in cui giornalisti e organizzazioni per i diritti umani hanno rilevato violazioni e crimini di guerra nel conflitto con Boko Haram sono caduti nel vuoto. Quello che questa terribile vicenda dimostra è però che ancora una volta il corpo delle donne diventa terreno di battaglia e strumento politico nelle mani di un’autorità. Anziché dare loro la facoltà di scegliere in libertà e sicurezza in merito alla loro salute riproduttiva, un governo sceglie per loro quali aborti sono sbagliati e quali sono giusti. Questi ultimi, solo se funzionali alla guerra degli uomini.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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