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Eduardo De Filippo: in mostra i suoi cimeli per il trentesimo della scomparsa

Aperta fino al 29 giugno a Napoli la mostra dal titolo “Eduardo, luoghi, vita, opere” all’interno della Basilica di San Giovanni Maggiore. Curata da Bruno Garofalo, l’allestimento prevede la ricostruzione del camerino di Eduardo e l’esposizione di molti cimeli di scena.
A cura di Andrea Esposito
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A trent’anni dalla scomparsa rivive negli spazi della Basilica di San Giovanni Maggiore lo spirito del grande commediografo e attore napoletano Eduardo De Filippo: oggetti di scena, locandine, programmi, manoscritti, rare pubblicazioni del Teatro San Ferdinando, video delle sue commedie, fotografie inedite, fanno da cornice al cuore pulsante di questa esposizione che è “un qualcosa a metà tra la ricostruzione scenografica e la documentazione storica”, come ci ha raccontato il curatore della mostra Bruno Garofalo, vale a dire, il camerino di Eduardo.

Infatti, il baricentro di questa esposizione è costituito dalle 3 pareti mobili che contengono la riproduzione esatta di quello che fu il rifugio del grande Maestro, semi smantellato dal teatro San Ferdinando a causa di alcuni lavori di messa a norma.

La mostra, inaugurata appena pochi giorni fa e che sarà aperta fino al 29 giugno, è promossa dalla Fondazione dell'Ordine degli ingegneri di Napoli, nella figura del suo presidente Luigi Vinci, cui la Basilica è stata affidata dal Cardinale Crescenzio Sepe, in collaborazione con la Fondazione De Filippo, guidata da Francesco Somma.

A curarne l’allestimento Bruno Garofalo, scenografo di lungo corso che si è formato proprio con De Filippo “il quale mi affidò – prosegue Garofalo – alla fine degli anni ’60 la ricostruzione delle scene di ‘Natale in casa Cupiello’ e dei suoi due presepi. Debuttare in questo modo, fu per me una fortuna unica”. In seguito però Garofalo, che nell’allestimento di questa mostra è stato coadiuvato dal fratello Claudio, il quale ha fotografato numerosi spettacoli della compagnia De Fillippo, ha lavorato a quattordici allestimenti “realizzando anche scenografie del tutto non convenzionali per il tipo di teatro che Eduardo aveva fatto fino ad allora” questo a riprova del fatto che egli era tutt’altro che poco incline alle novità e alla sperimentazione, “in più – riprende Garofalo – bisogna tener conto che tali proposte arrivavano da me che allora ero poco più di un ragazzo…”

Il percorso espositivo alterna le fotografie degli spettacoli, molte delle quali in bianco e nero, realizzate da Claudio Garofalo e pubblicate nel libro "Tavola tavola, Chiodo chiodo", a delle grosse teche in vetro all’interno delle quali sono custoditi, come reliquie, molti oggetti storici di Eduardo, come ad esempio: il cappello di pan di zucchero e la maschera di Pulcinella, la vestaglia da camera di Eduardo, gli occhialini di “Natale in casa Cupiello”, alcune della scarpe utilizzate in allestimenti come “Il Sindaco del Rione Sanità”, “Napoli milionaria” e “Non ti pago”, le parrucche e in particolare i baffi finti del Maestro, che per alcuni lavori come “L’arte della commedia” o “Gli esami non finiscono mai”, erano qualcosa di molto di più di un semplice orpello scenico.

Insomma, pur non essendo particolarmente estesa, la mostra offre la possibilità di ripercorrere attraverso molti cimeli di indubbio valore storico e documentale, alcune delle tappe del percorso artistico di Eduardo, la cui poetica in modo diretto o indiretto ha finito con l’influenzare l’immaginario e la lingua di una intera città. In conclusione abbiamo chiesto a Bruno Garofalo quali testi consiglierebbe a un giovane che avvicinandosi a Eduardo sarebbe naturalmente spinto verso opere molto note come quelle già citate sopra:  “Come compendio alle commedie più conosciute – prosegue Garofalo – invito i giovani e coloro che conoscono in modo meno approfondito l’immenso corpus del Maestro a leggere opere come Sik-Sik, che pur apparendo ad una prima lettura un testo facile, una piccola rivistina, in realtà contiene al suo interno il seme di una ricerca linguistica instancabile che Eduardo porterà avanti per tutta la vita e che è rintracciabile in modo molto netto nell’ultimo suo testo, una riscrittura della “Tempesta” di Shakespeare fatta in un napoletano seicentesco colto e inventato che restituisce alla perfezione lo spirito poetico dei versi del Bardo”.

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