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Delitto Pordenone, l’indagato si difende “Non c’entro, io e Trifone eravamo amici”

Giosuè Ruotolo è l’unico indagato per l’uccisione di Teresa Costanza e di Trifone Ragone. Ha voluto difendersi dalle accuse: “Anch’io voglio la verità, non li ho uccisi io. Ho portato la bara perché mi sembrava giusto”.
A cura di Biagio Chiariello
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"Io non c'entro nulla, ma è giusto che indaghino, così verranno eliminati tutti i dubbi". A parlare è Giosuè Ruotolo, unico indagato per il delitto di Pordenone, avvenuto lo scorso 17 marzo nei pressi del Palazzetto dello Sport locale, dove vennero uccisi Teresa Costanza e il fidanzato Trifone Ragone. Ruotolo, caporal maggiore di Somma Vesuviana, commilitone del ragazzo ucciso e suo ex coinquilino, si difende e ai microfoni di Newsmediaset: "Troveranno il colpevole. Io e Trifone eravamo amici. Ho portato la bara? Sì, mi sembrava giusto farlo". Sulla mancanza di alibi: "Non vuol dire che sono colpevole".

Secondo le informazioni diffuse nelle ultime ore, Ruotolo e Ragone si sarebbero incontrati due anni fa nella caserma di Cordenons, ed avrebbero convissuto, insieme ad altri commilitoni, in un appartamento di via Colombo a Pordenone fino alla primavera del 2014, quando Trifone decise di trasferirsi in via Chioggia insieme alla sua fidanzata Teresa. Duplice omicidio e porto abusivo d'arma da fuoco sono le accuse a cui a Giosuè deve rispondere. Il ragazzo, che di recente è tornato a stare dai genitori, a Somma Vesuviana, nel Napoletano, è indagato a piede libero e presto sarà sottoposto a interrogatorio.

A fare ricadere i sospetti degli inquirenti su di lui, incensurato, ci sarebbe un incrocio di dati e celle telefoniche secondo cui l’indagato si trova, proprio nell’ora del delitto dei due fidanzati, nei pressi della palestra Crisafulli e vicino al laghetto (da lì raggiungibile a piedi in 5 minuti) del parco San Valentino dove una settimana fa è stato ritrovato il caricatore della presunta arma del delitto, una calibro 7.65 Beretta.

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