240 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito
Opinioni

Quella foto di Sanna Marin e il giudizio sulle donne di cui non ci libereremo mai

I commenti all’abbigliamento della premier finlandese Sanna Marin durante un concerto rock sono sintomatiche delle difficoltà di discutere dell’aspetto delle donne al potere.
A cura di Jennifer Guerra
240 CONDIVISIONI
Immagine

Ogni estate ha la sua polemica che nasce e muore nel giro di Ferragosto. Nel 2019 riguardava Matteo Salvini, allora primo ministro del governo Conte I, che mentre era in vacanza al Papeete di Milano Marittima faceva scoppiare la crisi che avrebbe portato alla fine del governo. La cosa più contestata in quel frangente era il fatto che il leader della Lega, tra una dichiarazione politica e l’altra, si era fatto ritrarre in costume da bagno a ballare con le cubiste e con un cocktail in mano. Alcuni contestatori avevano risposto a questo spettacolo a loro dire indecoroso ripescando l’immagine piuttosto grottesca di Aldo Moro in giacca e cravatta in spiaggia a Terracina.

Mi sono ricordata di questa polemica oggi che si parla di un’altra mise politica che, sebbene non ci riguardi in prima persona, da un paio di giorni occupa le pagine di tutti i giornali italiani. La premier finlandese Sanna Marin è infatti andata al festival musicale finlandese Ruisrock e si è vestita come farebbe una qualsiasi altra appassionata di musica: con chiodo in pelle, stivali e shorts di jeans. I giornali parlano di “tripudio social” e in effetti è abbastanza inusuale vedere una rappresentante delle istituzioni in versione rock. I commenti alla foto sono per la maggior parte entusiasti e in pochi si sono permessi di dire che la premier – che tra l’altro veste sempre con abiti colorati e alla moda – avesse un aspetto poco consono al suo ruolo.

L’abbigliamento dei rappresentanti delle istituzioni è però un affare molto più complesso di quanto sembri, specialmente se sei una donna. Per gli uomini la questione è meno controversa, dato che l’abbigliamento formale maschile è codificato sin dall’Ottocento, quando con l’ascesa della borghesia urbana si impose il completo tre pezzi. Le donne hanno invece raggiunto posizioni di potere in anni più recenti, senza avere una tradizione alle spalle, e ciò ha richiesto di inventarsi da zero una moda lavorativa. La tendenza principale è quella di emulare gli uomini o di crearsi delle divise, come ha fatto Angela Merkel per anni. Come scrivono l’ex prima ministra australiana Julia Gillard e la direttrice del WTO Ngozi Okonjo-Iweala nel libro Rompi il soffitto di cristallo! (Aboca Edizioni), “Rispetto agli uomini, l’aspetto delle donne leader [è] più esaminato, ciò che è accettabile [è] giudicato in base a uno standard diverso e le curiosità sul carattere [sono] più probabilmente dedotte dall’abbigliamento. Inoltre, le donne leader perdono l’opportunità di trasmettere un messaggio sostanziale a causa dell’effetto spiazzante di commenti sproporzionati sull’aspetto esteriore”.

Il fatto che non esista uno standard per le donne, cosa che riflette la distribuzione del potere sulla base del genere all’interno della nostra società, si intreccia a una più ampia tendenza a scrutinare l’aspetto delle donne e, come dicono Gillard e Okonjo-Iweala, trarre da esso conclusioni sul loro comportamento. In un Paese come il nostro così disabituato alle donne di potere, ministre e deputate si guardano bene dal mostrarsi fuori dai canoni dell’abbigliamento istituzionale, quando non sono rincorse dai paparazzi che le fotografano in costume. Quando giurò come ministra per le riforme costituzionali nel 2014, fu sufficiente un tailleur blu perché circolasse un fotomontaggio in cui dai pantaloni di Maria Elena Boschi sbucava un perizoma, ripreso anche dai giornali internazionali come se fosse vero. Non c’era nulla di sbagliato o di indecoroso in quell’abbigliamento: quello che scatenò gli attacchi a Boschi era il semplice fatto che si trattava di una giovane donna.

In un Paese in cui le donne di potere vengono immediatamente sessualizzate, in cui per qualificare una donna si utilizza ancora il “moglie di” o “fidanzata di”, in cui di una donna di successo ci interessa che dieta segue, una Sanna Marin sarebbe inconcepibile. E infatti ora che ci si è accorti della sua esistenza (nonostante sia premier dal 2019) per l’adesione del Paese che rappresenta alla Nato e la sua recente visita a Roma, di cosa hanno parlato i giornali italiani? Della “bella e giovane premier sposata con un ex calciatore”, di una “giovane, bella, in gamba”, di “tripudio sexy”, con giornalisti che dicevano di “essersi innamorati” della premier e altri che ribattevano di mettersi in coda. Oggi gli italiani lodano Sanna Marin per il suo look (anche perché è una bellezza che rispetta i canoni imposti) ma non perdonerebbero mai una cosa simile a una politica italiana. La stessa Boschi fu travolta dalle polemiche due anni fa per aver postato e poi rimosso una foto in costume a Ischia, non solo perché era in gita in barca nel bel mezzo della pandemia, ma anche e soprattutto perché era scabroso che una politica si mostrasse in bikini.

Ci piacerebbe avere una prima ministra giovane e cool che va ai festival rock col chiodo di pelle, ma la verità è che siamo ancora ancorati a quell’immagine di Aldo Moro in giacca e cravatta sulla spiaggia, tanto che a un politico che pensa di dirigere una crisi di governo mentre beve mojito contestammo la panza e il costume, non il fatto che avesse scelto quel momento per scatenare l’ennesima e personalistica crisi politica. Facciamo tanti discorsi su quanto la politica abbia bisogno di volti nuovi, di donne e di giovani, ma non riusciamo ad ammettere che siamo un Paese moralista e pieno di pruderie, che una politica come Sanna Marin la distruggerebbe a colpi di “gallery hot” e foto in bikini sulle colonne destre dei giornali. E così non ci resta che proiettare su questa figura un “magari” che non si realizzerà mai. O forse sì, ma solo quando smetteremo di giudicare con questi criteri persino chi occupa una poltrona a quasi tremila chilometri da Palazzo Chigi.

240 CONDIVISIONI
Immagine
Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views