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Napoli Teatro Festival 2016: a chi conviene parlare di flop?

A una settimana dalla conclusione della nona edizione del Napoli Teatro Festival Italia in molti, numeri alla mano, parlano di flop. Ma le cose stanno davvero così?
A cura di Andrea Esposito
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Si è finalmente conclusa la nona edizione del Napoli Teatro Festival, la più turbolenta della recente storia di questa manifestazione, che ha visto uno scontro senza precedenti tra il neo Direttore Artistico Franco Dragone e il Presidente della Fondazione Luigi Grispello. Scontro che, va da sé, hanno pagato gli spettatori del Festival in termini di disservizi, disorganizzazione, disagi.

In molti, tra critici e addetti ai lavori, oggi parlano di flop sulla base di alcuni dati pubblicati recentemente da “Il Mattino”, specialmente per quel che riguarda il numero dei biglietti omaggio che ammonterebbero, secondo il giornale, a 2/3 di quelli venduti. Questi dati, però, non hanno avuto alcun riscontro, nessuna fonte ufficiale, ma sono anzi profondamente diversi da quelli forniti poi dalla Fondazione che invece riferisce di aver concesso appena 1/3 di biglietti omaggio (per la precisione il 29,76 %). Come mai?

La verità, ampliando un po’ il discorso, è che i numeri finali di questa edizione del Festival (quelli ufficiali e confermati e non quelli presunti o millantati) se confrontati sono sostanzialmente in linea con quelli delle edizioni precedenti, con qualche piccola differenza dovuta al numero degli spettacoli e alla capienza dei teatri, ma le percentuali di riempimento, il numero di spettatori e l’incasso, non sono dissimili rispetto al passato. Come mai, allora, oggi si parla di flop? A chi conviene?

Con questo non vogliamo certo dire che il Festival sia stato un “grande successo”, così come si legge nel comunicato stampa e d’altronde come poteva mai esserlo visto che, per esempio, la promozione è partita solo dopo l’apertura delle biglietterie, ad appena una settimana (proprio così!) dall’inizio degli spettacoli? Per questo parlare oggi di come non ha funzionato questo o quell'aspetto è un po’ come discutere del sesso degli angeli, lascia il tempo che trova. Quello che bisognerebbe chiedersi è: perché questo è avvenuto? Perché le cose sono andate proprio così? Ancora una volta, a chi conviene?

Il programma di quest’anno, così come abbiamo scritto a margine della conferenza stampa di presentazione, era ed è un ottimo programma, con un ventaglio molto ampio (per stili e provenienze) di spettacoli internazionali che hanno favorevolmente sorpreso il pubblico; una robusta, forse la più robusta, compagine locale che il Festival abbia mai ospitato; con un’idea, ancora tutta da sviluppare, ma di cui è stato piantato il seme, la cosiddetta "regionalizzazione". E poi la destagionalizzazione, le residenze, i progetti sociali. Insomma, tra mille difficoltà, battute d’arresto, lotte intestine e rimaneggiamenti, l’idea di fondo espressa dal direttore artistico c’è. O meglio, resiste. C'è una visione, cosa che mancava da molti anni al Festival. Perché allora parlare di flop? Se è così, e non è detto che non lo sia, lo erano però anche le edizioni precedenti, o no? Perché fare la voce grossa oggi, quali interessi sono in ballo? A chi conviene?

Alcuni se la prendono col poco incasso, risibile se paragonato al costo per spettatore di ogni singolo evento (proporzione abbastanza singolare per il teatro che se applicata ad altri festival o agli enti lirici ad esempio farebbe chiudere bottega a tutti, ma tant’è). Altri invece parlano di poco pubblico, addirittura costituito principalmente da addetti ai lavori, anche se le circa trentamila unità che hanno aderito alla manifestazione quest’anno (sono tutti addetti ai lavori?) sono praticamente le stesse degli anni precedenti. Il pubblico quello è. Perlopiù Dragone aveva chiaramente detto di non essere interessato ai critici, quindi denunciarne l'assenza… Altri ancora parlano della mancanza di spazi “non teatrali” o all’aperto, argomento assolutamente legittimo, ma che è il risultato di un volere che affonda le radici nel dopo Quaglia (dal 2011) e cioè è strutturale e ha gradualmente riportato in questi anni il Festival dentro i teatri (forse perché i fitti sala valgono più delle produzioni) con l'eccezione di Pietrarsa e di Castel Sant'Elmo lo scorso anno. In altre parole, parlare di flop è possibile certo, ma non appellandosi a numeri, finti, che sono in linea con quelli degli altri anni. È pretestuoso.

Insomma, ancora una volta siamo di fronte al solito dilemma: il Festival è certamente, come scriviamo da anni, un pachiderma pubblico, costoso, politicizzato, svilito nella sua funzione culturale da gestioni miopi, con dei vertici gestionali (clientelari) assolutamente inadeguati. Ma il punto vero è che ad oggi la situazione è anche peggiorata. Più che parlare di flop bisognerebbe dire che l’ultimo CdA della Fondazione anziché risolvere lo scontro Grispello-Dragone (dando per forza di cose ragione o ad uno o all'altro) ha sostanzialmente imposto una convivenza che, di fatto, si è già dimostrata impossibile. Cosa pensa di fare per il prossimo, imminente, futuro il Presidente De Luca? Lasciare tutto così com’è? E perché? A chi conviene?

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