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Lettera di un padre al figlio sul femminicidio

Ti ho scritto oggi perché questo è l’anno in cui in Afghanistan le donne sono diventate poco più di oggetti di svago sessuale e procreativo, perché in Italia viene uccisa una donna ogni 3 giorni, perché negli ultimi 4 giorni sono state uccise 3 donne. E si puo’ evitare tutto ciò? Posso solo dirti che noi uomini dobbiamo assumerci interamente le nostre responsabilità, in tutti gli anni delle nostre vite.
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Piccolo mio siediti e ascoltami bene, per favore. Ho deciso di scriverti una lettera e vorrei leggertela… Un paio di giorni fa, ero ospite ad un festival e prima dello spettacolo sono stato invitato ad un talk, durate il quale 5 ospiti, fra cui io, parlavano e discutevano del tema del sessismo e del femminicidio: io indossavo, fieramente, una bellissima t-shirt che mi è stata regalata da una onlus che si occupa di parità di genere (qui maggiori dettagli weworld onlus) con su scritto “disarming patriarchy”. Gli ospiti erano tutti uomini e quando uno di loro mi ha domandato cosa potessimo fare noi (uomini) per migliorare la situazione e (cito testualmente) portare le donne ad una migliore parità e consapevolezza, dopo alcuni infiniti istanti di silenzio, ho fatto l’unica cosa che potessi fare…

Forse però sei ancora piccolino per comprendere davvero tutto quel che avrei da dirti, quindi spostiamoci per un momento un passo indietro e facciamo che questa mia la leggerai quando sarai più grande e intanto giorno per giorno, la tua mamma ed io, cercheremo di mostrarti il mondo per come dovrebbe essere e non solo per quello che è. E credimi se ti dico che il mondo dovrebbe essere molto diverso per essere bello, soprattutto per le persone meno fortunate di noi, soprattutto per chi non ha la libertà di scegliere la propria vita, il proprio futuro, soprattutto per le donne. So che la tua mamma è forte e lo è davvero tantissimo, anzi ha dovuto esserlo il doppio rispetto a noi uomini, maschietti che abbiamo avuto la fortuna di non dover dimostrare quotidianamente quale sia il nostro valore anche di fronte al valore stesso nell’esatto istante in cui lo mostriamo: le donne no, per loro non basta essere eccellenti, devono dimostrare di esserlo mentre lo sono.

Il sessismo spiegato a mio figlio

Piccolo mio forse a te non capiterà mai di aver paura di camminare per strada da solo di notte, di essere giudicato o guardato o seguito perché hai addosso una canotta un po' aderente e quindi automaticamente stai comunicando al mondo che vuoi essere violentato, non ti capiterà mia che a un colloquio di lavoro ti chiedano se vuoi avere figli o se ne hai e mai ti capiterà di avere uno stipendio ridotto della metà solo per la natura stessa del tuo essere, forse a te non capiterà mai di aver paura della tua vita, del tuo corpo, della tua libertà solo perché sei uomo. A tua sorella invece sì. Alla tua mamma di certo è capitato e ancora capiterà.
Ma ti prego non confondere tutto questo con una questione personale, familiare, di affetti e amore: assolutamente no. Ho parlato delle donne della tua vita (almeno per ora che sei piccolo, ma ti auguro possano essercene tantissimi e tantissime di uomini e donne che amerai nella tua vita) per farti provare compassione, per farti comprendere – nel senso più antico e profondo della parola ovvero di “prendere con” – il dolore degli altri anzi delle altre. Perché, come diceva qualcuno prima di me, dovremmo sempre essere “capaci di sentire nel profondo di noi stessi ogni ingiustizia, commessa contro chiunque, in qualunque parte del mondo.” E piccolo mio, è nostro dovere di uomini pretendere un mondo migliore, diverso, paritario, egualitario, altrimenti siamo solo dei piccoli vigliacchi a cui piace conservare l’attuale stato delle cose perché ci mette, nostro malgrado e senza nessun merito, su un piedistallo a forma di pene, dal quale è facile garantire la propria sicurezza, il proprio potere, la propria “superiorità”.
Ma perché tutto questo accade? La risposta sta nelle gesta di coloro che si credono uomini. La risposta è la nostra stessa storia. Ma la storia siamo noi e sta noi cambiarla.

Perché ti scrivo oggi?

Probabilmente ti starai chiedendo perché oggi, perché non prima o dopo? Semplicemente perché questa è una lettera che ogni uomo dovrebbe leggere, scrivere e ricevere ogni giorno di tutta la sua vita, da un altro uomo, da sempre e per sempre. E invece non accade mai.
Ti scrivo oggi perché questo è l’anno in cui i Talebani hanno conquistato il potere in Afghanistan e le donne sono diventate poco più di oggetti di svago sessuale e procreativo, perché in Italia (anche se ci crediamo moralmente superiori dei Talebani) viene uccida una donna ogni 3 giorni, perché una ragazza, Vanessa Zappalà, è stata uccisa mentre camminava con i suoi amici con un colpo alla testa, perché Ada Rotini è stata sgozzata da suo marito nel giorno in cui sarebbe diventato finalmente il suo ex marito, perché Chiara Ugolini è stata massacrata nella sua stessa casa, strozzata da uno straccio fradicio di candeggina ficcatole a forza in bocca, mentre cercava di difendersi con tutte le sue forze, perché negli ultimi 4 giorni sono state uccise 3 donne. Tre. Che poi è la ragione stessa per cui si chiama femminicidio e non omicidio: una donna viene uccisa in quanto donna e per nessun’altra ragione, non perché si trovava sul luogo di una rapina, non durante una rissa, non perché vittima di un complotto. No. Viene uccisa perché il suo ex “l’amava troppo”, perché “un bravissimo padre di famiglia è stato colto da un raptus omicida”, perché “era troppo bella e non ha saputo resisterle”. Tutte frasi usate da uomini per giustificare la violenza inaudita e ingiustificata di altri uomini verso le donne. E tutto questo accade perché è la nostra stessa storia e cultura a permettere che accada e la narrazione che noi uomini ne facciamo è altrettanto feroce perché non ci rendiamo conto di cosa voglia dire essere donne.

Come si può evitare tutto questo?

E si può evitare tutto ciò? Bella domanda, piccolo mio, perché questo ci porta a discutere di un problema reale alla fonte di cui purtroppo mai si parla del tutto chiaramente: gli uomini, i maschi, spesso in maniera implicita e che raramente rivendicano in modo consapevole, sono convinti della propria superiorità, come se fosse una caratteristica che appartiene alla natura in modo ineluttabile “siamo più forti, è la natura che ci ha fatti così". Parlando con il papà di una tua compagna di scuola, un uomo che sembrerebbe anche intelligente, ironico, arguto, che ha viaggiato, che ha letto, un progressista, asseriva candidamente di essere invidioso di me che avevo avuto “un maschio” perché invece lui aveva “tre femmine” e quindi, ovviamente, da adolescenti gli avrebbero dato molti grattacapi perché “per loro stessa natura le donne sono succubi e si fanno trascinare dagli uomini, quindi dovrò stare attento con chi escono e cosa fanno…” (cit). Ecco perché non so risponderti e non so dirti cosa si possa fare per evitare tutto ciò.
Posso solo dirti che è questa cultura che va cancellata, noi uomini dobbiamo assumerci interamente le nostre responsabilità, in tutti gli anni delle nostre vite, dobbiamo smetterla di pensare alle donne solo come strumento di piacere, dobbiamo smettere di usare il corpo femminile in ogni maledettissima réclame, la pubblicità di un gelato non deve più essere un’allusione a una fellatio, dobbiamo smettere di crederci più forti, di non dover piangere in pubblico, di credere che le emozioni siano debolezza, dobbiamo smettere per sempre, in ogni situazione di essere convinti di poter risolvere con un paio di schiaffi o qualche pugno qualsiasi controversia, qualsiasi situazione storta, qualsiasi problema: dobbiamo parlare, ridere, piangere e condividere.

E al momento opportuno faremo quel che va fatto

Posso solo dirti che per fare tutto ciò, la tua mamma ed io continueremo ad insegnare a te e tua sorella le stesse cose, a trattarvi nello stesso modo, a chiedervi di prendervi cura l’uno dell’altra e viceversa. Ed io poi, al momento opportuno, farò quello che ho fatto durante quell’intervista in cui cinque uomini esibivano su un palco la loro superiorità morale: mi sono alzato e me ne sono andato, dicendo loro (cito testualmente) che “alcune volte levarsi di mezzo, come in questo caso, credo sia l’unica cosa possibile e giusta che da fare.”

Ti voglio bene piccolo mio, un altro mondo è possibile anzi necessario.

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