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Opinioni

La Rinascita americana di Giovanna Pancheri: “Joe Biden può cambiare gli USA”

Giovanna Pancheri, corrispondente dagli Stati Uniti per Sky, ha appena pubblicato ‘Rinascita americana. La nazione di Donald Trump e la sfida di Joe Biden’ (SEM). Libro che nei giorni dell’assalto al Congresso americano da parte dei sostenitori di Trump e dell’insediamento alla presidenza di Joe Biden, racconta le contraddizioni USA: “La sfida di Biden è la lotta alle disuguaglianze e alla povertà”.
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Foto di Giovanna Pancheri @Gillola Chistè
Foto di Giovanna Pancheri @Gillola Chistè

"Ancora oggi ci sfugge la radice antica e costitutiva della povertà negli Stati Uniti. Negli USA ci sono livelli di diseguaglianza e povertà inimmaginabili in Europa". Giovanna Pancheri ha da poco pubblicato un libro dal titolo ‘Rinascita americana' (SEM) che racconta "la nazione di Donald Trump e la sfida di Joe Biden" (come recita il sottotitolo del volume) attraverso il prisma della pandemia e del suo impatto sugli esiti di una disputa che ha dilaniato il paese fino alle scene che tutti abbiamo visto dello scorso 6 gennaio con l'assalto al Congresso da parte dei sostenitori del presidente in carica. In uno dei capitoli iniziali, la corrispondente di Sky negli Stati Uniti, volto noto del giornalismo italiano, cita un passaggio di Italo Calvino contenuto in ‘Un ottimista in America' in cui lo scrittore sanremese, al cospetto di una scena di povertà americana, ammette di non sapere come descriverla, definendola come qualcosa di "non europeo".

"Il problema è che abbiamo un’idea degli USA che corrisponde a quella di un paese avanzato, dell'eccellenza nella ricerca, nell’innovazione, nell’economia: è tutto vero – dice Pancheri – Però ci manca la percezione dei livelli di povertà che, come provo a raccontare nel libro, tocca da vicino i corpi delle persone. Persone che non hanno accesso alle cure di base, che non hanno un alloggio o che vivono in roulotte in una situazione di indigenza enorme, a fronte di livelli di ricchezza spropositata. Ridurre questo gap è la sfida principale che ha davanti a sé Joe Biden…"

Partiamo dalla coincidenza tra la scena iniziale di ‘Rinascita americana', con il popolo di Donald Trump nel giorno del suo insediamento quattro anni fa che sciama su Pennsylvania Avenue e le immagini del 6 gennaio scorso.

La manifestazione violenta di Washington non arriva all’improvviso, ma è il risultato di quattro anni in cui il presidente in carica ha accarezzato le anime estreme della destra. Ovviamente non tutte le persone che votano per Donald Trump sono come quelle che abbiamo visto durante l'assalto a Capitol Hill. Lì parliamo di una minoranza, ma siccome siamo negli USA si tratta di milioni di persone che appoggiano il linguaggio e la pratica politica del presidente Trump…

In un sondaggio realizzato dopo i fatti di Capitol Hill è emerso che all'incirca la metà degli elettori repubblicani appoggiava la strategia di Trump.

Quel numero, nei giorni a seguire, si è via via assottigliato. Il che non vuol dire che non esista una fetta di persone che crede in lui e nei suoi metodi, ma non credo vada oltre il venti, trenta percento. Moltissime in ogni caso. Ma questa situazione non nasce dalla sera alla mattina, perché in questi anni poco è stato fatto contro queste frange di estrema destra, anzi, molto è stato fatto per foraggiare gruppi che grazie a Trump sono usciti dall’oscurità.

In ‘Rinascita americana' ci sono diversi episodi in cui esponenti di gruppi di estrema destra e suprematisti bianchi si sono fatti notare.

Nel libro racconto l'incontro con le mogli dei alcuni uomini che avevano ordito il rapimento della governatrice democratica del Michigan, Gretchen Whitmer. Alla fine del capitolo scrivo di come il dipartimento degli affari interni americano avesse già presentato un rapporto in cui sosteneva che la minaccia maggiore per la sicurezza degli Stati Uniti fosse rappresentata dal terrorismo interno messo in atto da gruppi di suprematisti. Il che significa che i fatti dello scorso 6 gennaio sono in parte imputabili a chi doveva vigilare e non l'ha fatto. Nello specifico, Donald Trump che li ha incoraggiati, sostenendo le rivendicazioni di gruppi che hanno visto, nell'inquilino più importante delle Casa Bianca, il loro paladino.

Non è quindi un caso che Joe Biden, nel suo discorso, abbia parlato di "domestic terrorism"?

Non lo è affatto. L'espressione terrorismo interno, usata in modo accurato dal nuovo presidente, lascia presagire che Biden dedicherà buona parte del suo impegno a contrastare questi gruppi di destra che predicano l'odio e usano la violenza. Alcuni tra questi gruppi rientreranno in un alveo, diciamo così, di logica più democratica, altri finiranno nella morsa della repressione.

Tuttavia resta una domanda, a cui nel libro cerchi di offrire delle risposte: come è stato possibile che un miliardario come Donald Trump sia riuscito a conquistare la fiducia di milioni di persone infinitamente più povere di lui?

cover di 'Rinascita americana' (SEM)
cover di ‘Rinascita americana' (SEM)

Una breve premessa. Da un lato, ci sono gli assaltatori di Washington, che non sono definibili "white poor". Dall'altra c'è la base elettorale di Donald Trump, che nel 2016 ha sfondato nelle contee più povere degli States, soprattutto in quelle bianche (nel libro racconto il caso del Kentuchy) e che ha ripreso buona parte dei suoi voti anche nell'elezione perdente contro Joe Biden. La dote di Trump è stata questa capacità di ascolto di una classe media che non è più classe media. E lo ha fatto con un colpo geniale, cancellando il senso di colpa insito nella celebre frase di John Fitzgerald Kennedy: "Non chiedete cosa può fare il vostro paese per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro paese".

Ci spieghi.

Trump è riuscito a far sì che queste persone, impoverite dalla crisi del 2008, non si siano più sentite in colpa per la loro povertà. E le ha portate nel suo campo.

Però le elezioni contro Joe Biden le ha perse.

Sì, perché da qualche tempo ha iniziato a perdere contatto con il suo elettorato. Ha allontanato i suoi strateghi più radicali, come Bannon, oltre quelli che gli suggerivano di avere un atteggiamento diverso nei confronti della pandemia. Pur vincendo in quella parte degli States, dove nel 2016 aveva stravinto, stavolta non ha fatto il pieno di voti.

Cosa risponde quanti ritengono che, senza il Coronavirus, oggi Trump sarebbe presidente?

Forse hanno ragione, forse no. Non lo sapremo mai. Ovviamente la pandemia ha influenzato tutto, modificando per sempre la partita.

In ogni capitolo di ‘Rinascita americana' c'è una sorta di appendice, "Il fattore C", che connette i temi del racconto all'arrivo del virus.

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Senza il virus, Trump sarebbe arrivato alle elezioni forte di un tasso di occupazione molto alto, con un’economia in crescita, ma questa eredità è stata completamente distrutta dai suoi errori durante la crisi della pandemia. Che tuttavia, va ricordato, in un sondaggio per gli americani rappresenta solo il terzo motivo di preoccupazione in ordine di importanza, dopo lavoro ed economia.

Quindi c'è un'altra possibile lettura alla base della sconfitta di Trump? Azzardo un'ipotesi che mi è stata suggerita dalla lettura di alcune pagine del libro, in particolare quelle dedicate al tema del lavoro, dove mi pare che emerga un dato: alla prova dei fatti, le politiche sovraniste si scontrano con le loro bugie.

È vero che i dazi non hanno funzionato come Trump immaginava, così come la riforma fiscale ha premiato alcune fasce escludendo la maggioranza delle persone che si aspettavano di ricevere un sostegno. Inoltre Trump è stato visto da molti repubblicani come un traditore di alcuni cardini del liberalismo statunitense, nel momento in cui ha intaccato il paradigma della spesa pubblica da contenere…

Che ruolo ha avuto Black Lives Matter nella sconfitta di Trump?

Di certo le tensioni razziali non l’hanno aiutato. Oltretutto, il fattore della discriminazione razziale ha avuto un megafono enorme con la pandemia. Il tasso di latini e africani contagiati è estremamente più alto della loro rappresentatività nella popolazione statunitense. Il virus ha accresciuto le disuguaglianze tra ricchi e poveri, il gap sociale è ulteriormente aumentato.

E la figura di Joe Biden? Quanto ha influito?

Diciamolo chiaramente. Biden non è Obama, non è un dream man e non ha un oratoria travolgente, però ha una grande dote: piace ai moderati. Quattro anni fa girando per gli States agli elettori repubblicani veniva il sangue agli occhi sentendo il nome di Hillary Clinton. Con Joe Biden questo non è accaduto, perché lui non ha mai sollevato sentimenti così radicali nei suoi nemici. Non è un caso che sin dall'inizio fosse il candidato più temuto da Trump, come sappiamo sin dai ripetuti attacchi verso gli affari del figlio di Biden in Ucraina.

Cosa pensa della sospensione dei profili social di Trump da parte di Facebook e Twitter?

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Sulla vicenda degli account social si è arrivati tardi e si è arrivati alla soluzione più drastica. Bisognava agire prima. Tuttavia questa soluzione si è resa necessaria perché negli ultimi giorni i messaggi di Trump ai suoi hanno reso ipotizzabile un clima insurrezionale. Tuttavia penso da tempo che sia insostenibile, da parte dei grandi social network, continuare a non essere responsabili dei contenuti che pubblicano e di non sottostare alle regole di tutte le altre media company. La decisione di sospendere gli account di Trump dimostra questa contraddizione: ci devono essere delle norme da applicare quando i social non moderano l'odio e la violenza. L'auspicio è che questa vicenda abbia acceso un faro su questa contraddizione.

Come andrà a finire con la procedura di impeachment? E con il venticinquesimo emendamento nelle mani di Mike Pence?

Pence non sembra propenso a invocarlo, molto dipenderà dal comportamento di Trump. Se dovesse continuare a mostrare un atteggiamento incendiario, il vicepresidente ha la sua "pistola" da utilizzare. Tuttavia non non credo sia la soluzione che preferisca. Stesso discorso per l’impeachment. Il timore dei repubblicani è che si accenda la miccia. Dopo l'esito scontato che abbiamo visto alla camera, arriverà al senato quando ormai saremo nel pieno della presidenza Biden. Non so al nuovo presidente quanto convenga bloccare l'attività di un senato con una maggioranza risicata, viste le grandi questioni che ha davanti. Il nuovo presidente ha l'opportunità di scardinare il paradigma imperante sulla spesa pubblica (che già Trump ha in parte scardinato) e sfruttare questo momento per ridurre le insopportabili diseguaglianze sociali in questo Paese. Come ti dicevo all'inizio, c'è una povertà inimmaginabile negli Stati Uniti, di cui ancora stentiamo a renderci conto.

Un'ultima domanda: cosa accadrà il 20 gennaio?

Di certo c'è solo che Joe Biden giurerà e diventerà presidente degli Stati Uniti d'America. I processi democratici andranno a compimento, se poi accadrà tra le violenza questo non lo so…

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Scrittore, sceneggiatore, giornalista. Nato a Napoli nel 1979. Il suo ultimo romanzo è "Le creature" (Rizzoli). Collabora con diverse riviste e quotidiani, è redattore della trasmissione Zazà su Rai Radio 3.
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