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Andrea Camilleri: “L’ultimo Montalbano è un dialogo tra me, il personaggio letterario e Luca Zingaretti”

Siamo andati a casa di Andrea Camilleri in occasione dell’evento “Conversazione su Tiresia” in programma lunedì 11 al Teatro Greco di Siracusa, uno spettacolo che vede per la prima volta il 93enne scrittore siciliano portare in scena un suo testo a teatro.
A cura di Andrea Esposito
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Siamo andati a casa di Andrea Camilleri in occasione dell'evento "Conversazione su Tiresia" in programma lunedì 11 al Teatro Greco di Siracusa, uno spettacolo che vede per la prima volta il 93enne scrittore siciliano portare in scena un suo testo a teatro. Prodotto dall'Istituto Nazionale del Dramma Antico, con la regia di Roberto Andò, a cura di Valentina Alferj. Durante la nostra conversazione a proposito di Tiresia (che trovate qui) abbiamo parlato con Camilleri anche di molti altri temi, come: La fine di Montalbano, la cecità, il bipolarismo dello scrittore e il rapporto con Dio e la spiritualità. Ne viene fuori un ritratto a 360 gradi, potente e antiretorico, che restituisce la complessità di uno degli intellettuali (scrittore, regista di teatro, cinema e radio) più importanti del secolo scorso.

L’età del dubbio

Io sono sempre stato un dubbioso, meditavo a lungo prima di fare qualcosa, poi però arrivato a un certo punto decidevo che era venuta l’ora di troncare con i dubbi. Oggi però è un po’ più complesso perché meno faccio, data la cecità, e più mi sorgono dubbi. Quindi l’età del dubbio non solo non è finita, ma si è addirittura estesa.

I vizi osceni

Io sono stato un individuo che per anni si beveva una bottiglia di whisky a digiuno la mattina e quindi poi nel pomeriggio e la sera non beveva per nessun motivo, quindi succedeva che quelli che mi conoscevano la mattina pensavano fossi un alcolizzato, quelli che mi conoscevano pomeriggio e sera dicevano: ‘Ma no, è astemio’. Dualismo! Io credo che tutti noi siamo bipolari, lo scrittore è colui che fa emergere questa bipolarità”.

L’ultimo Montalbano

In prossimità degli 80 anni, temendo l’arrivo dell’Alzheimer, mi venne in mente come far finire Montalbano e lo scrissi e lo mandai a Elvira Sellerio. Quindi la fine di Montalbano io l’ho già scritta più di tredici anni fa. L’ho ripreso in mano recentemente e ci siamo accorti con Valentina (Alferj, ndr) che andava riscritto, perché in questi tredici anni la mia scrittura ha subito un’evoluzione. Perciò Montalbano è stato riscritto solo dal punto di vista della scrittura, non del plot o dell’aneddoto che racconta. Finirà Montalbano, nel momento in cui finisco io, finisce anche lui, ma Montalbano non muore, né va in pensione. Montalbano è un personaggio letterario e muore come possono morire solo i personaggi letterari. Non vi dirò di più perché ci tengo molto. Vi posso solo dire che non è tanto un romanzo, quanto un metaromanzo dove il personaggio discute con me e discute anche con l’altro Montalbano, quello che appare in televisione (l’attore Luca Zingaretti, ndr).

“La merda porta fortuna

Ero un ragazzino di quindici anni e nel retro della nostra casa di campagna c’era il pozzo nero. Questo pozzo nero era coperto da alcune assi di legno. Un giorno io giocavo proprio in questo retro casa con un mio compagno. Ad un tratto avanzai di tre passi quando la terra si aprì letteralmente sotto di me e mi trovai col liquame fino alla gola. Non solo, sentivo che i miei piedi erano poggiati su una grossa pietra scivolosissima, bastava che scivolassi per annegare… nella merda. Così mi aggrappai a questi rottami, fin quando vidi passare una contadina. Riuscì soltanto a mugolare qualcosa e lei mi vide e inizio a urlare: ‘Dio mio’ e corse a chiamare mio zio. Mio zio arrivò di corsa, prese un intero asse di legno, si mise in equilibrio e mi tiro fuori. Mentre mi lavavano con pompe e catini, la contadina mi ripeteva: ‘Don Nenè, tutta ricchezza è, tutta fortuna! O sape la merda porta fortuna?’. E devo dire che la contadina aveva ragione, perché la mia è stata una vita fortunata, ho vissuto facendo ciò che più mi piaceva. Non ho rimorsi, non ho rimpianti.

La malinconia della cecità

La cosa che mi ha fatto diventare realmente malinconico è non vedere più le donne, la bellezza femminile e poi non vedere più le tele che ho amato. Non i paesaggi, ma le tele, le pitture. Uno dei primi esercizi che ho fatto non vedendoci è ricostruirmi mentalmente la “Flagellazione di Cristo” di Piero della Francesca e cercare di ricordare i colori dei tre personaggi a destra, dei vestiti che indossano. E poi mi piace andare subito a letto, perché nel sonno, rivedo. Nel sonno vedo benissimo, ogni tanto mi sorge la domanda: ‘Ma non sei cieco?’, alla quale mi rispondo: “Non ha importanza per ora stai vedendo”. Vedo con colori vivissimi, mi arrivano con una bellezza, una forza straordinarie. Ho scoperto con l’età che tutti gli altri sensi corrono in soccorso di quel senso che ti viene a mancare. Tocco tutto, il tatto mi è diventato sensibilissimo, fumando tanto inevitabilmente avevo perso un po’ dell’odorato, del gusto… mi è tornato tutto! Il corpo umano è veramente miracoloso.

Dio e la spiritualità

Ho avuto i miei momenti in cui vorrei sentirmi tutto spirituale. Non ci sono mai riuscito perché il corpo ha sempre vinto. Naturalmente le limitazioni che comportano l’età ti fanno sempre più pensare a qualcosa d’oltre che non è Dio, non so, qualcosa… Ma la volete sapere qual è la vera ragione per la quale sono qua? È perché a 93 anni, dopo aver scritto oltre cento libri, creato situazioni di continuo, personaggi, aver fatto il regista di teatro, di televisione, di radio, ecc… in questo silenzio che si sta creando dentro di me, mi è venuta la voglia non di capire, perché sarà assai difficile capirla, ma di intuire cosa possa essere l’eternità.

Ai lettori di Fanpage.it

Posso dirvi solo una cosa: non demordete mai dalla vostre idee. Se ne siete convinti mantenetele fino all’ultimo. Devo citare Julien Benda: “Che le vostre risposte siano, sì – no. E soprattutto non cercate di spiegare il sì e il no, perché ogni spiegazione è già un compromesso”.

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