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Opinioni

Criminalità ed immigrazione: cosa dicono (davvero) i dati

Quali sono i fondamenti “reali” della ricostruzione che vuole le carceri italiane “piene di stranieri”, quali sono i reati commessi dagli immigrati e quanto tempo trascorrono effettivamente in carcere: il fact checking sulla emergenza (?) carceri in Italia.
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È opinione comune e frequentemente rilanciata da media e politica che uno dei maggiori problemi delle carceri italiane sia la massiccia presenza di stranieri. E, al contempo, la presunta propensione a delinquere dei cittadini stranieri presenti in Italia è argomento cardine della propaganda anti – immigrazione. Insomma, due concetti che si alimentano a vicenda e che armano soprattutto la polemica politica, spesso, è persino superfluo sottolinearlo, in concomitanza con qualche episodio di cronaca particolarmente significativo per l’opinione pubblica.

Le questioni (sovraffollamento carcerario, presenza di detenuti stranieri e tasso di delinquenza) sono in effetti collegate, anche se, come triste prassi, i riferimenti numerici sono del tutto arbitrari e manca ogni tipo di contestualizzazione. Basandoci sugli ultimi dati rilasciati dall’Istat, proviamo a fare un po’ di chiarezza ed a rispondere a qualche domanda di senso.

Il sovraffollamento delle carceri italiane

La situazione delle carceri italiane è una delle “costanti emergenze” del Paese e ci è costata una serie di richiami e multe da parte dell’Unione Europea. Il tema è molto complesso (e in parte abbiamo provato a svilupparlo qui, qui e qui), ma per quel che concerne l’oggetto della nostra discussione bisogna registrare la costante diminuzione del numero di detenuti, per effetto di una serie di provvedimenti approvati nel corso degli ultimi anni (e la cifra è destinata a scendere ulteriormente nei prossimi mesi).

Secondo l’Istat, al 31 dicembre 2013 risultano detenute nelle carceri italiane 62.536 persone, il 4,8% in meno rispetto al 2012 (-8% sul 2010); Antigone stima poi in 53.982 i detenuti al 28 febbraio 2015, cifra non lontanissima dalla capienza regolamentare dell’intero sistema carcerario italiano, fissata in 47.709 posti (il tasso di affollamento è dunque di 108 detenuti per 100 posti letto). Tra i detenuti, “il 17,8% è in attesa di giudizio, il 9,7% è costituito da appellanti, il 6,5% da ricorrenti in Cassazione, mentre il 2,5% presenta situazioni miste senza condanne definitive, per il 54,2% si tratta di condannati in maniera definitiva, cui si aggiunge un ulteriore 7,3% di condannati con più giudizi pendenti”; il numero di persone che entrano in carcere ogni anno si è ridotto fino a 60mila unità (2013) e per il 40% di esse l’iter è stato velocissimo: “Arresto, conduzione in carcere, processo per direttissima oppure convalida dell’arresto in pochissimi giorni,con il 15,9% dei detenuti esce dal carcere nel giro di una settimana”. Va sottolineato, inoltre, che l’Italia ha complessivamente un basso tasso di detenzione: 102,9 ogni 100mila abitanti, mentre la media europea si attesta a 124,1 e quella mondiale a 145.

Perché è diminuito il numero dei detenuti nelle carceri italiane?

Si tratta di dati determinati in larghissima misura dai provvedimenti adottati a cavallo tra il 2011 ed il 2014. In questi anni, messa da parte, per ragioni eminentemente politiche, la possibilità di concedere indulti o amnistie, si è fatto ampio ricorso alle misure alternative al carcere, “tentando” di lasciare in carcere solo “i soggetti effettivamente pericolosi per la società, in quanto autori di crimini efferati e/o con tendenza alla reiterazione del reato” (obiettivo riuscito a metà, come vedremo analizzando la composizione della popolazione carceraria). I condannati in esecuzione penale esterna al carcere sono infatti circa 30mila, in aumento del 70% rispetto al 2000 e costituiscono il 43,6% del totale delle condanne. Tra le misure alternative al carcere la più utilizzata è l’affidamento in prova ai servizi sociali (50,2%), poi la detenzione domiciliare (il 46%) e la semilibertà (3,8%).

Tra gli interventi legislativi di maggiore impatto in tal senso, si segnalano il decreto legge 211/2011, che estende la concessione della detenzione domiciliare speciale e agisce sul fenomeno delle cosiddette “porte girevoli” (permanenza di pochi giorni in carcere, approvato dal Governo Monti), la modifica della Bossi – Fini che puniva con la reclusione la violazione dell’ordine di espulsione per gli stranieri irregolari (Governo Letta), il decreto legge 146/2013, che conferma l’esecuzione della pena presso il domicilio e mitiga le pene irrogate per la detenzione di sostanze stupefacenti nell’ipotesi della lieve entità del fatto (Governo Letta), la dichiarazione di incostituzionalità della Fini – Giovanardi e la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.

Infine, a contribuire alla diminuzione del numero dei detenuti concorre (seppur in misura minore, anche data la tempistica di alcuni procedimenti giudiziari) il calo dei reati: solo nel 2014, ad esempio, i furti in abitazione sono diminuiti del 12% rispetto all’anno precedente, le rapine del 9%, quelle in uffici postali del 20% e in banca del 37%.

Gli stranieri che delinquono (più degli italiani?)

I detenuti stranieri sono pari al 34,9% del totale e provengono per il 46,3% da paesi africani, per il 41,6% da altri paesi europei, per il 5,7% dall’Asia e per il 6,3% dalle Americhe; la nazionalità “più rappresentata” è quella marocchina (18,6%), seguita da quella rumena (16%), albanese (13%), tunisina (12%), nigeriana (4%) ed algerina (2,5%); oltre il 50% dei detenuti stranieri è ospitato in strutture del Nord Italia, il 30% al Centro ed il 20% tra Sud e Isole; al Nord gli stranieri rappresentano oltre il 50% dell’intera popolazione carceraria, al Centro circa il 45%, al Sud solo il 13,5% e nelle Isole il 20%.

È evidente dunque come, in proporzione alla consistenza della popolazione, tali dati sembrerebbero confermare l'idea che "gli stranieri delinquono molto più degli italiani". Ma l'analisi non può limitarsi a questo, dal momento che, come evidenziava un report di Barbagli per il Cestim, basta un rapido excursus storico a confermare che "l’immigrazione provoca sempre l'aumento del numero di reati nel paese di arrivo” e che “gli immigrati extracomunitari nel nostro paese commettono alcuni reati (furti, spaccio e traffico di stupefacenti, rapine, omicidi) più spesso degli italiani” (reati "a forte rischio reiterazione", condizione che determina la carcerazione per il 95% dei casi). Per avere un quadro completo, però, è necessario aggiungere altri elementi:

  • la popolazione carceraria di nazionalità straniera tende ad usufruire in maniera nettamente inferiore delle misure alternative al carcere;
  • i reati commessi di solito dagli stranieri sono proprio quelli che più spesso portano in carcere;
  • i tempi di permanenza degli stranieri in carcere sono mediamente molto più bassi rispetto a quelli degli italiani.

A sostegno di quest'ultima considerazione (che si incrocia con la minore frequenza del ricorso alle misure alternative per la popolazione straniera), vi sono i dati forniti dall'Istat, che mostrano una forbice sensibile nella fascia di detenzione da 0 a 5 anni. Le ragioni sono diverse: maggiore propensione a commettere reati "minori", frequenza della reiterazione di piccoli reati e, appunto, minore ricorso a misure alternative alla carcerazione:

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Insomma, per concludere: non vi è dubbio che le statistiche mostrino un rapporto sproporzionato fra presenza degli stranieri in Italia e tasso di detenzione nelle carceri, ma i dati, oltre ad essere molto lontani dalla "percezione comune" e dalla "vulgata" della propaganda politica, necessitano di contestualizzazione e di un'analisi il più possibile oggettiva, in cui siano inseriti i riferimenti normativi, le condizioni di vita complessive della popolazione straniera in Italia (redditi più bassi, maggiore tasso di disoccupazione, salari inferiori, discriminazioni razziali e difficoltà legate all'inserimento sociale) e le oscillazioni temporali. Omettere tali fattori è operazione strumentale ed ideologica, oltre che intellettualmente disonesta.

Un discorso a parte merita invece la propaganda legata agli sbarchi nel Mediterraneo e alla presunta emergenza criminalità collegata agli immigrati che arrivano nel nostro Paese. Considerazioni di questo tipo, infatti, si scontrano con un confronto fra gli stessi dati citati in precedenza: in primo luogo, la percentuale di stranieri provenienti da paesi africani che sono reclusi nelle carceri italiane è vicina al 15% del totale (a questa va aggiunta una quota, circa lo 0,5% di siriani e profughi provenienti dal vicino oriente) ed è anch'essa in calo negli ultimi anni, nonostante l'aumento progressivo degli sbarchi; in secondo luogo i dati "complessivi" sulla criminalità sono in diminuzione e, dunque, non risentono dell'aumento del numero degli sbarchi in territorio italiano.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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