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Opinioni

Avevano solo un anno, sono morti perché nessuno li ha salvati: vogliamo davvero diventare questo?

Ci sono almeno tre bambini tra i morti del naufragio di questa mattina al largo delle coste della Libia. Il barcone, carico di circa 120 migranti, è affondato a est di Tripoli. Più di cento persone risultano disperse e solo sedici sono state salvate. I tre bambini recuperati senza vita avevano meno di un anno e mezzo.
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Avevano un anno o poco più, sono morti nell’ennesimo naufragio avvenuto a est di Tripoli. I migranti dispersi (a questo punto potremmo dire deceduti) sono oltre cento.

Siamo diventati questo, degli habitué del più grande olocausto del XXI secolo. Non ci indigna che uomini muoiano in mare, non ci indigna che bambini neonati muoiano perché nessuno li ha salvati.

Nessuno li ha salvati perché la politica definisce chi salva le vite "tassisti del mare". Come se quelle imbarcazioni portassero "acqua" e non vite umane. Come se portassero pacchi e non persone in carne e ossa che muoiono sul fondo del Mediterraneo. Secondo il sito Alwasat l’imbarcazione è affondata a sei chilometri dalla costa. Sei chilometri, niente.

Sono morti perché nessuno li ha percorsi quei sei chilometri. Una distanza risibile, la stessa che separa San Pietro da Termini. Eppure nessuna nave è arrivata. Perché quando parliamo della " Guardia costiera libica" parliamo di questo: di niente. Di qualcosa che non esiste. Di un corpo militare che fa capo a una parte politica che controlla solo una porzione di paese. Di un corpo militare che non in grado neanche di intercettare un'imbarcazione a sei chilometri dalla propria costa.

E così ci abituiamo a leggere il bollettino ufficiale che parla del ripescaggio “dei corpi di tre bambini”. Lo leggiamo e passiamo oltre come se fosse normale, come quell'olocausto non stesse avvenendo a pochi chilometri da casa nostra. Stiamo voltando la testa come molti all'inizio del secolo scorso.

No, io non ci sto. Non voglio girare la testa, non voglio leggere di un sopravvissuto yemenita – paese oggetto di una guerra – che racconta della morte di venti donne e dieci bambini e far finta di niente. Voglio continuare a provare ad accendere un faro su chi muore in mare. Su chi, pur di sfuggire alla guerra e alla fame, sale su “una barca di legno rovesciatasi perché vecchia”.

Non posso stare zitto mentre il mio paese chiude i porti e lascia che che si muoia in mezzo al mare. Non posso accettare che, solo nel 2018, oltre mille persone abbiano perso la vita mentre cercano di cambiare il proprio destino. Non posso accettarlo perché in 653 sono deceduti sulla rotta del Mediterraneo centrale tra l'Africa del nord e l'Italia.

Non posso accettarlo perché non posso immaginare di vivere in un paese che si commuove davanti "La vita è bella" e gira la testa dinanzi a tutto ciò.

Non posso accettarlo perché voglio restare umano.

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Ex direttore d'AgoraVox, già professore di Brand Strategy e Comunicazione Pubblicitaria Internazionale presso  GES -  Grandes Écoles Spécialisées di Parigi. Ex Direttore di Fanpage.it, oggi Direttore di Deepinto.
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