“Tu devi morire qui”. Violenze nel carcere di Torino, contestato il reato di tortura
“Siamo pronti a spiegare tutto ciò che sappiamo. Ci mettiamo a disposizione della magistratura, nella quale abbiamo piena fiducia”. Così Domenico Minervini, il direttore del carcere Lorusso e Cutugno, tra i 25 indagati nell'inchiesta coordinata dal pm Francesco Pelosi sulle presunte violenze, in alcuni casi torture, avvenute nel penitenziario di Torino. Secondo la procura del capoluogo torinese, insieme al capo delle guardie carcerarie Giovanni Battista Alberotanza che, secondo l'accusa, avrebbero sempre coperto gli episodi – decine quelli denunciati, a partire dalla primavera del 2017, prima dai detenuti e poi dalla garante di Torino, Monica Gallo, ma sempre ignorati a tutti i livelli. Alberotanza e Minervini sono accusati di favoreggiamento, il direttore anche di omessa denuncia.
Violenze che le guardie carcerarie avrebbero operato nei confronti dei detenuti più fragili, quelli che dimostravano qualche scompenso psichico e che sarebbero stati obbligati a spogliarsi, venivano picchiati e costretti a ripetere frasi come "sono un pezzo di m…".E ancora: “Tu devi morire qui”, “Per quello che hai fatto ti ammazzerei. E invece devo tutelarti”.
Le loro celle venivano devastate. E quando i detenuti erano troppo malconci e dovevano farsi visitare li minacciavano dicendo loro che “dovevano dichiarare che era stato un altro detenuto a picchiarlo, altrimenti avrebbero usato nuovamente violenza su di lui, così costringendolo il giorno successivo alle violenze a rendere in infermeria questa falsa versione dei fatti”, come è riepilogato nel documento di chiusura delle indagini. Per questo, dopo la denuncia del Garante, già lo scorso ottobre erano state eseguite sei ordinanze di arresti domiciliari per altrettanti agenti della polizia penitenziaria. Gli indagati devono rispondere di “condotte che comportavano un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona detenuta”, reato mai contestato prima per le violenze all’interno del carcere.
Tutto era cominciato con una segnalazione del Garante dei detenuti, Monica Gallo, che aveva raccolto testimonianze e voci che circolavano all’interno della struttura. L’inchiesta, condotta dal Nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria, facendo ricorso anche a numerose intercettazioni telefoniche, aveva preso il via dal racconto di un detenuto durante un colloquio. Secondo la magistratura il responsabile della struttura, Minevrini, poteva essere a conoscenza di ciò accadeva.