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Opinioni

Soleinsieme: in un bene confiscato la sartoria sociale che dà lavoro a donne in difficoltà

Donne che provengono dal circuito della comunità, mamme sole, vittime di violenza. Per uscire da situazioni di fragilità sociale hanno unito le forze e in un bene confiscato alla ‘ndrangheta hanno creato Soleinsieme, una sartoria sociale in pieno a centro a Reggio Calabria: «Un’esperienza che dà uno spiraglio anche di speranza: anche sul nostro territorio si possono realizzare delle cose belle».
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A cura di Dominella Trunfio
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‘Soleinsieme' è il nome della sartoria sociale che a Reggio Calabria, in un bene confiscato alla ‘ndrangheta dà lavoro a vittime di violenza, mamme sole e donne in difficoltà. Un piccolo miracolo di imprenditoria femminile in una delle regioni con il più alto tasso di disoccupazione. E in pochi anni è diventata un punto di riferimento in città riuscendo anche a creare un circuito virtuoso di economia circolare e sostenibile. Erano donne sole e sono diventate le donne di ‘Soleinsieme', la sartoria sociale che in un bene confiscato alla ‘ndrangheta in pieno centro a Reggio Calabria, ricuce storie di un passato difficile. Vittime di violenza fisica e psicologica, ragazze nel circuito della comunità, mamme sole, donne che provengono dal centro di prima accoglienza. Hanno unito le forze e sono ripartite da zero. Per rinascere, per riscattare il loro futuro.

«Soleinsieme riprende il nome della cooperativa creata nel 2014, ed è un nome emblematico, quello che meglio rappresenta questa esperienza, del mettersi insieme per superare delle solitudini personali e trovare una risposta al proprio disagio», spiega Giusy Nuri, presidente della coop. Soleinsieme.

Un'avventura che è tutta una strada in salita perché, in una terra come la Calabria, che secondo Eurostat è a quota 52,7% come tasso di disoccupazione, creare lavoro e fare imprenditoria femminile, significa crederci per davvero. «Non è facile, anche se la cittadinanza ha risposto bene a livello di consumo. Ma questo tipo di attività richiede sempre un progetto a lungo termine in un'economia territoriale debole. Senza dimenticare che quella artigianale, è un'attività povera», continua Nuri.

Si cuce gomito a gomito, chi ne sa di più insegna alle altre. Non ci sono differenze sociali, chi può dà una mano. Si ripara e si fanno produzioni proprie soprattutto con materiali riciclati per creare un'economia circolare. La sartoria è aperta tutti i giorni,nel cortile del laboratorio chi vuole può portare i propri figli per farli giocare assieme. «Abbiamo pensato che un bene confiscato potesse essere il luogo ideale per questo tipo di attività», continua la presidente.

Confiscata a Giocchino Campolo, il cosiddetto re dei videopoker che deteneva beni per oltre 300milioni di euro tra beni mobili e immobili, la struttura è stata ristrutturata in tempo record e con soli 21mila euro, grazie ai detenuti della Casa circondariale reggina.

«Dietro c'è stata una grande rete di partenariato, perché allo stesso tavolo si sono seduti l’amministrazione provinciale e la cooperativa, la Casa circondariale, il Tribunale di Reggio Calabria, la Confcommercio, l’Associazione Industriali, l’associazione Agape, il Comune di Reggio Calabria nonché diverse imprese private. Poi la sartoria ha preso vita grazie a Pensando meridiano, un team di professionisti che fanno rigenerazione urbana», aggiunge.

Scampoli di stoffa, piante fiorite, il rumore delle macchine da cucire di sottofondo. «Ho fatto la sarta per 36 anni in Francia con mio marito, quando lui è morto sono tornata in Italia, ero da sola. Ho deciso di venire a dare una mano, perché stare insieme è bello e voglio dedicarmi agli altri», spiega una delle socie volontarie.

Per molte, l'obiettivo oltre quello di fare squadra, è l'indipendenza economica, riuscire a crescere i propri figli da sole.

«Una bella risposta per il nostro territorio:esperienze positive di persone che si mettono insieme, che riescono a fare delle cose concrete», chiosa Nuri.

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