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News sui carabinieri arrestati a Piacenza

Roberto Saviano sui militari arrestati alla caserma di Piacenza: “Non siete carabinieri”

Il giornalista Roberto Saviano commenta così a Fanpage.it la vicenda della caserma Levante di Piacenza, sequestrata in seguito a un’indagine, che ha portato all’arresto di dieci militari: “Vivo da oltre 14 anni tra i carabinieri, conosco cosa significa essere carabiniere, scegliere con un giuramento alla Repubblica da che parte stare. Mi viene da dire, guardando ogni singolo volto delle persone coinvolte in quest’inchiesta: non siete carabinieri”.
A cura di Annalisa Cangemi
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Spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione, lesioni personali e tortura. Sono questi i reati di cui devono rispondere i militari della caserma dei carabinieri Levante di via Caccialupo a Piacenza, che è stata sequestrata. "Questi fatti sono tra i più gravi della storia della Repubblica – ha detto in un video denuncia a Fanpage.it il giornalista Roberto Saviano.

I vertici della caserma sono stati azzerati, dopo l'inchiesta shock della Procura emiliana che vede indagati in totale dieci militari. Per i gravi fatti emersi in queste ore il comandante provinciale dei carabinieri di Piacenza, Stefano Savo, è stato rimosso dall'incarico per volere dell'Arma è stato rimosso dall'incarico per volere dell'Arma: "Questa vicenda apre una serie di riflessioni – dice il giornalista campano – Un gruppo di carabinieri infedeli che si organizza in un clan parte dall'hashish e dalla marjiuana, arrestano illegalmente degli spacciatori, rubano l'hashish e la marjiuna e li rivendono. La prima domanda è: come mai qualsiasi grupo criminale fa il suo primo passo sempre con le droghe leggere? Quanto cambierebbe se legalizzassimo l'hashish e la marjiuana? Quanta parte del crimine organizzato non farebbe il primo passo se le droghe leggere fossero legali? Questo è un punto cruciale".

Saviano ricostruisce la vicenda: "Il gruppo dei carabinieri di Piacenza quando decide di organizzarsi va dai responsabili delle basi di spaccio. Loro sono certi di essere protetti perché forniscono direttamente la roba ai capi piazza, che a loro volta la danno ai pusher. I concorrenti di questi gruppi di spaccio gestiti dai carabinieri infedeli vengono semplicemente arrestati, pestati. E si raggiunge un accordo: ‘Se non volete vendere la nostra roba dovete pagarci una percentuale'. Anche questo è un comportamento mafioso".

"C'è stato un momento di crisi nell'approvvigionamento di queste sostanze ma anche di grande richiesta di queste droghe durante il lockdown. Sapevano che ci avrebbero guadagnato ma sapevano anche che hashish e marjiuana scarseggiavano. A quel punto forniscono un'autocertificazione falsa a un capo piazza, affinché andasse a Milano per l'approvvigionamento. Quindi pur sapendo che a Piacenza in quei giorni e in quelle ore c'era un picco di contagi Covid".

"Il secondo elemento di questa storia è l'immigrazione. Mi spiego: questi militari sanno che arrestare e torturare un immigrato non crea problemi. Abbiamo le prove che nei pestaggi questi stranieri hanno perso denti, hanno perso sangue. Ci sono addirittura gli audio delle loro urla di dolore. Sostanzialmente questi carabinieri pensano di poter fare qualsiasi cosa. Chi crederà mai a un immigrato con precedenti penali per droga, se dice di essere stato torturato?"

"Ma come viene valutata l'operatività di una caserma? Spesso questa viene valutata misurando il numero di arresti compiuti. Ma come facevano i loro superiori a non accorgersi di quanto accadesse? E questi militari per tre anni hanno gestito lo spaccio nel territorio. Perché portavano risultati, quindi tanti arresti, tanti immigrati arrestati. E dall'inchiesta emerge che si trattava di immigrati innocenti, perché queste persone arrestavano concorrenti o innocenti che sotto pressione delle torture confessavano il falso".

Nel 2018 la stazione dei militari infedeli aveva ricevuto un encomio solenne dal comandante della Legione Emilia-Romagna nel corso della festa dei Carabinieri. "Questo deve cambiare. Questo non può essere il metro di valutazione della capacità operativa. Bisogna che venga valutata anche la qualità degli arresti, la modalità, quanto una città di sente sicura grazie all'operatività dei carabinieri. Queste sono misure importanti di valutazione. Se guardiamo solo ai numeri ecco cosa succede. Succede che i numeri non ci raccontano la verità. Non sappiamo quanto le gerarchie fossero consapevoli della corruzione. Ma di certo sappiamo che erano consapevoli di una certa disinvoltura nella gestione degli arresti e degli interrogatori. Lo sappiamo dalle intercettazioni. E quella disinvoltura veniva tollerata perché veniva portato il ‘risultato', di cui poi anche le gerarchie potevano godere".

"Il lato oscuro della vicenda è il rapporto con la criminalità organizzata. Possiamo ipotizzare che a Piacenza, città dove viene arrestato il presidente del Consiglio comunale Caruso per ‘Ndrangheta, qualcuno possa organizzare un gruppo narcotrafficante senza interloquire con la ‘Ndrangheta? Dalle indagini emerge il rapporto diretto con il gruppo dei Giardino, ed è lì la chiave che ci permetterebbe di capire il rapporto con il crimine organizzato. Nella prima parte della loro attività rubano hashish e marjiuana agli spacciatori che arrestano illegalmente, perché se avessero dovuto relazionare sul loro arresto avrebbero dovuto consegnare la merce sequestrata e sottratta. Ad un certo punto il gruppo cresce così tanto che va direttamente dai trafficanti".

"Mi ha molto colpito una scena. Vanno a fare un'estorsione a una concessionaria. Sostanzialmente comprano, intimidendo, una macchina da oltre 50-60mila euro a 10mila euro. Vanno a fare l'estorsione mostrando la placca dei carabinieri e mostrando l'arma. Loro dicono di comportarsi come in Gomorra (il famoso romanzo-cult sulla Camorra scritto dal giornalista ndr), usando espressioni come "alla Gomorra". Gomorra quindi diventa uno specchio, in cui i criminali si stanno guardando. Guardano la serie, non per intrattenimento o per capire delle dinamiche, ma per diventare coloro che dovrebbero contrastare. Il riferimento a Gomorra lo fa perfino la madre di Montella, che è considerato il capo di quest'organizzazione. La donna dice: ‘Lo state accusando perché c'è Gomorra. Dato che esiste questa serie pensate che mio figlio, campano, sia un camorrista'. D'altra parte anche la Procura usa la metafora di Gomorra per descrivere una complessità di connivenza. Perché in qualche modo esiste la realtà e poi esiste Gomorra. Cioè il mondo che inizia a dividersi tra realtà e Gomorra significa che da un lato c'è il ‘come dovrebbero andare le cose' e dall'altro il ‘come vanno'. È la prova per quanto mi riguarda che chi accusava Gomorra ‘esagerata', una ‘creazione di fantasia', non conoscesse la realtà, che spesso è perfino peggiore di come abbiamo provato a rappresentarla".

"Ma in tutta questa oscurità c'è un punto di luce: c'è un carabiniere, arrivato da poco nella caserma, quando le indagini erano già mature, che non partecipa a tutto questo scempio. Anzi. Da un lato sembrerebbe spaventato. Dall'altro si confessa con il padre, vede che possono fare ciò che vogliono ‘perché se lo possono permettere' perché fanno molto arresti e perché hanno ‘ganci'. Erano parte in causa dello spaccio, erano parte del sistema del narcotraffico".

"Vivo da oltre 14 anni tra i carabinieri, conosco cosa significa essere carabiniere, scegliere con un giuramento alla Repubblica da che parte stare. So che a parlare in questo momento è una mia parte emotiva. Mi viene da dire, guardando ogni singolo volto delle persone coinvolte in quest'inchiesta: non siete carabinieri".

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