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Perché l’aborto è sotto attacco negli Usa e rischia di esserlo ovunque

Negli Stati Uniti il diritto all’aborto sta per essere messo ancora una volta a dura prova: non è un buon momento per i diritti riproduttivi.
A cura di Jennifer Guerra
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Mentre i Paesi dell’America Latina aprono alla legislazione sull’aborto, negli Stati Uniti c’è il rischio concreto che a luglio di quest’anno la possibilità di interrompere una gravidanza in modo sicuro e legale sia negata. La Corte suprema, infatti, quest’estate si pronuncerà sul caso “Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization” sulla costituzionalità di una legge votata nel 2018 nel Mississippi che vieta l’aborto dopo 15 settimane di gestazione. Se la Corte dovesse dichiarare legittima la legge, il rischio che l’aborto venga proibito in tutti gli altri stati che hanno approvato leggi simili è molto concreto.

Negli Stati Uniti, l’interruzione di gravidanza è infatti stata resa possibile da una sentenza della Corte suprema risalente al 1973, la “Roe v. Wade”, che stabilisce l’esistenza di un diritto alla privacy che riguarda la libertà di scelta dell’individuo, compresa la scelta di abortire. Prima di questa storica sentenza, ogni Stato aveva una legislazione diversa, ma nel sistema giuridico statunitense il ruolo della Corte è proprio quello di risolvere le controversie fra Stati e uniformare il diritto. Per questo motivo, il caso “Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization” ha il potenziale di ribaltare la “Roe v. Wade” e rendere impossibile interrompere una gravidanza.

Non è infatti solo il Mississippi ad aver votato una legge restrittiva sull’aborto. Aveva fatto scalpore a luglio dello scorso anno la legge approvata in Texas che, oltre a vietare l’aborto senza alcuna eccezione nel momento in cui è percepibile il battito fetale (cioè intorno alle sei settimane), introduceva una ricompensa di 10mila dollari a chiunque denunciasse un’interruzione di gravidanza illegale. A gennaio, la Corte suprema del Texas ha respinto il tentativo di bloccare la legge da parte delle organizzazioni femministe, dichiarandola legittima. La norma texana, intitolata “Heartbeat Bill” è in realtà una delle tante leggi-fotocopia presentate o approvate negli Stati a maggioranza repubblicana e promosse dalle associazioni antiabortiste evangeliche. Si tratta di gruppi molto organizzati e potenti, finanziati dalle più importanti famiglie di miliardari americani. Nei primi mesi dello scorso anno, sono riusciti infatti a presentare più di novanta leggi contro l’aborto in tutti gli Stati Uniti, spesso utilizzando i cosiddetti “model bills”, leggi identiche che vengono approvate a distanza di pochi mesi da Stati diversi ma con lo stesso colore politico. L’obiettivo spesso è proprio quello di creare il pretesto dell’intervento della Corte suprema, anche sfruttando il fatto che si tratta di un momento particolarmente favorevole per i conservatori.

Dopo la scomparsa della giudice liberal Ruth Bader Ginsburg, rimpiazzata dall’ex presidente Donald Trump con l’antiabortista e conservatrice Amy Coney Barrett, la Corte suprema è a maggioranza repubblicana. Anche se la recente nomina della giudice di orientamento democratico Ketanji Brown Jackson venisse confermata dal Senato, gli equilibri non cambierebbero, dato che Jackson andrebbe a sostituire un altro giudice democratico. Se la Corte dovesse ribaltare la Roe, l’aborto diventerebbe automaticamente illegale in 21 Stati: negli 11 stati che hanno approvato nuove leggi, queste entrerebbero in vigore; in tutti gli altri, si ritornerebbe alla stessa legislazione del 1973. Secondo il Guttmacher Institute, un importante istituto di ricerca sui diritti riproduttivi, l’interruzione di gravidanza potrebbe essere vietata in altri 5 stati: Florida, Indiana, Montana, Nebraska e Wyoming.

In diversi stati non servirebbe nemmeno un totale ribaltamento della Roe per limitare l’aborto, ma basterebbe che la Corte intervenisse su alcuni suoi aspetti. Arkansas, Idaho, Kentucky, Louisiana, Mississippi, Missouri, North e South Dakota, Oklahoma, Tennessee, Texas e Utah hanno infatti approvato le cosiddette “trigger laws”, che renderebbero automaticamente ineffettiva la Roe nel caso di una pronuncia sfavorevole della Corte. Ma anche in questo scenario, l’aborto resterebbe comunque possibile in tutti gli altri 24 stati. Secondo il New York Times, la chiusura delle cliniche abortive riguarderebbe il 41% delle donne, che si troverebbero così a una distanza media di 450 chilometri da quella più vicina. Gli Stati democratici si stanno preparando per accogliere spostamenti di questo tipo. La California lo scorso marzo ha approvato una legge che rende accessibile e gratuita l’interruzione di gravidanza anche da parte di chi proviene da altre zone degli Stati Uniti proprio in vista di un’eventuale ribaltamento della Roe.

In generale, non è un buon momento per i diritti riproduttivi: nonostante i successi in America Latina, in tutto il resto del mondo l’aborto resta vietato o viene messo in discussione. In Polonia l’aborto è stato reso illegale a gennaio del 2021, a seguito dell’applicazione di una sentenza della Corte costituzionale. Nonostante il mancato accesso all’interruzione di gravidanza abbia causato la morte di due donne, la legge è destinata a restare. A ottobre 2020, 35 Paesi firmavano inoltre la Geneva Consensus Declaration, un impegno internazionale a ostacolare le politiche abortive. Tra questi, oltre agli Stati Uniti allora guidati da Trump, ci sono anche il Brasile, l’Egitto, l’Ungheria e la Polonia. Ciò che sta accadendo con la “Roe v. Wade” è l’ennesima dimostrazione che i diritti, una volta acquisiti, non vanno mai dati per scontati. Dopo 49 anni da una delle più grandi conquiste per l’autodeterminazione e il diritto di scelta, le donne si ritrovano a lottare per qualcosa che pensavano di aver ottenuto una volta per tutte.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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