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Perché è stata assolta l’infermiera Daniela Poggiali: “Manca prova di morte violenta del paziente”

Le motivazioni della Corte d’Assise d’appello di Bologna della sentenza con cui l’infermiera di Lugo Daniela Poggiali è stata assolta dall’accusa di omicidio volontario del paziente di 95 anni Massimo Montanari.
A cura di Susanna Picone
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Daniela Poggiali.
Daniela Poggiali.

Le testimonianze rese da una collega che aveva descritto la sua insistenza per occuparsi di un paziente morto poco dopo sono frutto di un "erroneo ricordo”, non è provato che avesse praticato "una iniezione non prescritta né giustificata” e in quanto alle minacce, "così risalenti e non oggetto di formale querela", pronunciate cinque anni prima alla segretaria del paziente al tempo datore di lavoro del compagno, "non dimostrano che l'imputata vi diede seguito". Inoltre, il “dato statistico" sulle morti in corsia "pur sfavorevole alla posizione dell'imputata, non è in grado di integrare la carenza probatoria”. Sono state depositate le motivazioni della sentenza con la quale la Corte d'Assise d'Appello di Bologna il 25 ottobre scorso aveva assolto l'ex infermiera di Lugo (Ravenna) Daniela Poggiali, accusata di avere ucciso un paziente, il 95enne Massimo Montanari, con una iniezione letale con un farmaco mai identificato alla vigilia delle annunciate dimissioni dall’ospedale. In primo grado l'imputata era stata condannata dal Gup del Tribunale di Ravenna a 30 anni di reclusione.

Si tratta di una delle due sentenze di assoluzione arrivate il 25 ottobre scorso: la stessa Corte aveva assolto Poggiali "perché il fatto non sussiste" per l'omicidio – con iniezione di potassio – di una seconda paziente, la 78enne Rosa Calderoni per la quale l’infermiera di Lugo era stata condannata in primo grado dalla Corte d'Assise di Ravenna e assolta in due appelli sconfessati da altrettante Cassazioni. In questo caso le motivazioni non sono ancora stata depositate.

"Non emerge oltre ogni ragionevole dubbio la responsabilità penale dell’imputata per il delitto di omicidio volontario pluriaggravato alla stessa contestato, mancando la prova che Massimo Montanari sia deceduto per morte violenta, e non per causa naturale, e dunque della sussistenza stessa del fatto”, scrive la Corte d’Assise d’appello di Bologna. E ancora: "La ricostruzione della personalità dell’imputata per il tramite delle testimonianze delle colleghe e dei medici del nosocomio, delle famigerate fotografie che ritraggono l’imputata in pose irridenti accanto al cadavere di una paziente, e infine delle condanne definitive per peculato e furto a suo carico, non appare in alcun modo risolutiva circa la condotta delittuosa". "Si può essere pessime colleghe, avere il gusto del macabro e pochi freni morali ed essere autrici di ripetuti furti senza per questo essere un’assassina, e, ancor più specificamente, senza essere l’assassina di Massimo Montanari – scrive la Corte – Suggestive, ma insufficienti a fungere da indizio, e ancor meno da prova, appaiono le ‘voci' di presunte morti di pazienti, dopo che se ne era fatta carico la Poggiali con frasi sibilline come ‘qua ci penso io' (quali pazienti? Tutte le indagini eseguite nei confronti della Poggiali in relazione ad altri decessi nel medesimo ospedale non hanno portato ad alcun riscontro)”.

“Io non dimentico le parole, non dimentico quello che è successo nei confronti di questa donna e saluto questa sentenza come una sentenza normale dal punto di vista della cultura delle prove, di un normale stato di diritto. Bisognerebbe interrogarsi su come sia stato possibile che una persona definita ‘bomba ad orologeria' ‘pericolo pubblico numero uno' sia poi invece stata assolta con la formula più piena che esista perché il fatto non sussiste. Da operatore del diritto registro questa gravissima anomalia della sentenza di condanna di primo grado che è costata la libertà personale ad una donna mentre stava curando la madre inferma il giorno della vigilia di Natale 2020”, il commento all’Adnkronos dell'avvocato Lorenzo Valgimigli, legale di Daniela Poggiali. 

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