L’ultimo audio di Marco Veronese: “C’è un tipo incappucciato”. Cinque minuti dopo era morto

L’ultimo audio di Marco Veronese è diventato la chiave per comprendere gli ultimi istanti della sua vita. Un messaggio di pochi secondi, inviato a un’amica d’infanzia appena cinque minuti prima di morire nella notte tra il 22 e il 23 ottobre sotto casa dei genitori a Collegno.
In quelle parole – “C’è un tipo incappucciato, è uno che già l’anno scorso stava qua, devo capire cosa vuole fare. Mi ha già bucato le gomme l’altra volta, stavolta ho il coltello e lo buco io” – c’è tutto: la paura, il sospetto, l’istinto di difendersi. È la voce di un uomo che intuisce di essere in pericolo, ma non sa ancora che di lì a poco verrà accoltellato a morte da Michele Nicastri, il nuovo compagno della sua ex, Valentina Becuti.
L’ultima sera e l’incontro fatale con Nicastri
Quella sera, Marco aveva cenato con l’amica cui avrebbe poi inviato l’audio. Poco dopo, mentre tornava a casa dei genitori a Collegno, ha notato una figura incappucciata nei pressi dell’abitazione. L’ha riconosciuta: era la stessa persona che mesi prima gli aveva tagliato le gomme dell’auto, un episodio rimasto senza colpevoli. Non sapeva, o forse solo sospettava, che quell’uomo fosse legato alla sua ex compagna. Eppure, quando ha preso il telefono per confidarsi, la paura si era già trasformata in allerta.
Poi il silenzio. Cinque minuti dopo, Veronese veniva colpito a morte.
Il sospetto di essere stata scoperto e la furia omicida
Secondo una delle ipotesi investigative, Nicastri si sarebbe accorto di essere stato scoperto. E da quella scoperta sarebbe nata la furia cieca che ha portato all’omicidio. Ma per la procura di Torino non si tratta di un gesto d’impeto: l’uomo, 49 anni, avrebbe agito con premeditazione.
Aveva lasciato il cellulare a casa, consapevole che il dispositivo avrebbe potuto collocarlo sulla scena del delitto. Da informatico esperto, sapeva come eludere i controlli, ma non abbastanza da sfuggire agli occhi delle telecamere. Gli investigatori hanno ricostruito il percorso della sua auto attraverso centinaia di sistemi di videosorveglianza, individuando ogni spostamento.
L’indagine e la confessione del killer di Collegno
Dopo l’omicidio, Nicastri è rientrato a casa per cambiarsi, poi si è liberato dei vestiti e dell’arma, gettandoli nella Dora, dove le ricerche non hanno ancora dato risultati. Ferito a un braccio durante la colluttazione, si è fatto medicare due giorni dopo in Francia. Poi si è rifugiato a Bardonecchia, nella casa di famiglia, dove avrebbe trascorso giorni interi a pianificare una fuga all’estero e a muovere denaro tra conti e carte. I carabinieri lo tenevano già sotto controllo. Il 3 novembre, dopo dodici giorni di latitanza, è tornato improvvisamente nella casa di Torino. Gli investigatori hanno colto il momento e lo hanno fermato.
Durante l’interrogatorio con il pm Mario Bendoni, Michele Nicastri ha ammesso di aver ucciso Veronese, cercando però di minimizzare: “Volevo solo impedirgli di prendere i bambini, non avevo intenzione di ucciderlo”. Un racconto che, secondo la procura, non regge. Le prove indicano una pianificazione accurata e un movente legato alla gelosia e al controllo. “Volevo che lei vivesse tranquilla, volevo evitarle l’ennesimo disastro emotivo”, ha detto riferendosi a Valentina. E poi, in un lampo di lucidità, ha aggiunto: “Non capisco come io abbia potuto farlo”.
Una gelosia covata a lungo nei confronti di Veronese
Nicastri amava Valentina da anni, ben prima che la relazione tra lei e Marco finisse. Era l’amico a cui la donna confidava le difficoltà del suo matrimonio, l’uomo che la ascoltava, in silenzio, aspettando. Quando la separazione è arrivata, lui si è fatto avanti. Ma quel legame nato dalle confidenze si è trasformato in ossessione.
Veronese, imprenditore di 39 anni e padre di tre figli, era rimasto a vivere nella casa dei genitori, proprio dove la notte del 22 ottobre ha trovato la morte.