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La stagione delle stragi non fu solo mafia: cosa sappiamo sul ruolo dei servizi segreti deviati

Il ruolo dei servizi segreti nelle stragi del 1992 e del 1993 emerge da numerosi processi e testimonianze, ma ancora non sappiamo la verità. Cosa dicono i documenti.
A cura di Antonio Musella
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Sono passati 30 anni dall'attentato di Capaci in cui perse la vita Giovanni Falcone, insieme alla sua compagna Francesca Morvillo e tre uomini della sua scorta. "L'attentatone" come venne definito dai mafiosi del tempo, aprì la strategia stragista sancita da Toto Riina e dalla cupola di "cosa nostra" nelle mani dei Corleonesi, aprì la strategia stragista che appena un anno prima, a Enna nel 1991, venne decisa da un simposio tra cosche siciliane e calabresi. Sandro Ruotolo, nella sua intervista a Fanpage.it a trent'anni dalla strage di Capaci, lo sottolinea: "Fu solo mafia? Dopo 30 anni questa domanda non ha ancora una risposta".

Eppure l'ombra della complicità degli apparati di sicurezza deviati del nostro paese con quella strategia che ha insanguinato e destabilizzato l'Italia dal 1992 fino alle elezioni del marzo del 1994 che portano alla vittoria di Silvio Berlusconi, sono tante e messe nere su bianco, nei tanti processi che si sono tenuti e si stanno tenendo sui fatti di quegli anni. Il senatore Ruotolo ricorda che : "Due giorni prima della strage un'agenzia di stampa annunciò l'attentatone; che due anni prima nel 1989 nel fallito attentato dell'Addaura contro lo stesso Falcone, il giudice parlò di menti raffinatissime; e che il pentito Gaspare Spatuzza raccontando le operazioni di confezionamento dell'autobomba che a luglio del 1992 uccise Paolo Borsellino, parla della presenza di elementi estranei a cosa nostra". Ricorda inoltre, come nel processo per la trattativa Stato – mafia, sono stati assolti tutti gli ufficiali dei carabinieri ed i politici, ma sono stati condannati i mafiosi: "E' un po' strano, allora chi trattò con chi?". Ma sappiamo anche tante altre cose, che non vengono messe in fila, ma che sono emerse e sono state riscontrate.

"La lista" di Fulci e l'ombra dei servizi segreti

Sappiamo ad esempio, che l'ex direttore del CESIS del 1993, l'organismo di controllo dei due servizi segreti italiani quello militare e quello civile, l'ex ambasciatore italiano all'ONU, Francesco Paolo Fulci, scomparso pochi mesi fa, durante il processo trattativa Stato – mafia, ammise di aver avuto seri sospetti su un gruppo di uomini appartenenti ai nostri servizi segreti. Nella sua deposizione Fulci racconta che si sentiva spiato nei suoi uffici e che riceveva continue sollecitazioni da parte degli americani, in particolar modo dalla CIA, sulla possibile complicità di pezzi dei servizi segreti italiani nelle stragi del '92 e del '93. Fulci compilò una lista di 15 nomi (di cui Fanpage.it è in possesso), il gruppo "OSSI" creato dal SISMI. L'ex ambasciatore in aula dichiara che aveva preparato quella lista di 15 nomi e l'aveva nascosta in un libro, dicendo alla moglie che se gli fosse accaduto qualcosa, bisognava cercare tra quei 15. Racconta anche che consegnò quella lista prima al generale dei Carabinieri Luigi Federici e poi al capo della polizia Vincenzo Parisi e che ne era informato anche il presidente della repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Sappiamo, da un documento del SCO, il servizio centrale della polizia di Stato (di cui Fanpage.it è in possesso), che subito dopo la strage di via Palestro del luglio del 1993, furono diramati degli elenchi di possibili complici degli attentatori tra uomini degli apparati di sicurezza, e tutti e 15 i nominativi della lista di Fulci erano presenti in quegli elenchi.  E' emerso dai processi che l'utilizzo della sigla "Falange Armata" per rivendicare gli attentati del 1992 e del 1993, compresa la strage di Capaci, fu "suggerita" dall'esterno ai vertici di "cosa nostra". Sappiamo, sempre dalle deposizioni di Fulci, che un suo collaboratore stilò una mappa geografica dei luoghi da cui erano partite le telefonate di rivendicazione della Falange Armata e che questi luoghi coincidevano con le sedi periferiche del SISDE, il servizio segreto interno.  Lo stesso Fulci ha dichiarato in aula di aver ricevuto minacce dirette siglate "Falange Armata", tra cui una telefonata nel suo studio due giorni dopo l'insediamento al CESIS.

I documenti delle commissioni stragi

La recente desecretazione di molti documenti delle commissioni stragi e della commissione bicamerale sull'omicidio di Aldo Moro, ha portato alla luce molti fatti e circostanze che rafforzano la tesi della complicità dei servizi segreti deviati nella strategia della tensione. Ad esempio che già nel 1991, uno dei collaboratori della commissione parlamentare d'inchiesta su Gladio, la struttura militare clandestina presente in Italia in funziona anticomunista e legata direttamente alla CIA, era in grado di ricostruire la genesi del gruppo "OSSI" del gruppo "GOS". Fu un consulente della commissione, il dott. Gianluca Salvatori, a stilare un documento dove veniva riportata la genesi dei due gruppi identificati come sezioni dei nostri servizi di sicurezza addestrati per la guerra non convenzionale. Nel 1997 una perizia di una collaboratrice della commissione stragi sull'archivio della SAD, il centro studi speciali e addestramento da cui dipendeva la struttura della Gladio, fa emergere l'inizio delle attività del gruppo OSSI già dal 1987. Sappiamo quindi che ai nostri apparati di sicurezza, già negli anni in cui avvenivano le stragi, l'esistenza di sezioni dei servizi segreti usati per operazioni "sporche" era già noto.

"Falange Armata" e il legame tra servizi segreti e mafia

La sigla "Falange Armata" fa la sua comparsa dopo l'omicidio dell'educatore carcerario Umberto Mormile in provincia di Milano nel 1990. Secondo il pentito Antonino Cuzzola, sentito nel processo trattativa Stato – Mafia, Mormile fu ucciso perché scoprì i rapporti tra i servizi segreti e il boss Domenico Papalia. Da quel momento le telefonate di rivendicazione della "Falange Armata", accompagnano l'incredibile susseguirsi di stragi, attentati, omicidi, che caratterizzò il biennio 1992-1993. Sappiamo anche che nel corso del processo d'appello "Ndrangheta stragista" in corso a Reggio Calabria stanno emergendo tantissimi riscontri sui rapporti tra appartenenti ai servizi segreti e le cosche siciliane e calabresi nei primi anni novanta. Ad esempio sono particolarmente interessanti le deposizioni del vicequestore in servizio alla Dia, Michelangelo Di Stefano, che in diverse udienze, non ultima quella del 22 febbraio scorso, sta ricostruendo la possibilità che dietro la sigla "Falange Armata" abbiano agito appartenenti ai servizi segreti italiani e dei gruppi d'elite (Col Moschin, Folgore, Comsubin). Di Stefano sta ricostruendo circostanze, incontri, presenze congiunte all'interno di alberghi e ristoranti, sovrapponendole alle attività rivendicative della "Falange Armata". All'interno di questo preziosissimo lavoro, emerge con chiarezza l'esistenza dei gruppi "OSSI" e "GOS" legati ai servizi segreti italiani e alle loro attività "non convenzionali" e dei legami di questi ultimi con gli uomini di "cosa nostra" e della "ndrangheta". Nella ricostruzione del vicequestore, ad ogni incontro tra questi soggetti legati ai servizi segreti italiani, sarebbero poi corrisposte telefonate e comunicati della Falange Armata ad istituzioni e agenzie di stampa. Inoltre il lavoro di Di Stefano ha mostrato una continuità tra gli appartenenti a Gladio e alla VII divisione del SISMI e la Falange Armata. Dagli accertamenti e dalle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia emergono anche dei campi di addestramento paramilitari, messi in piedi da uomini dei servizi segreti, ai confini con la Svizzera, a cui avrebbero preso parte affiliati alla "ndrangheta" ed a "cosa nostra".

Fu solo mafia?

La possibilità di fare chiarezza sul ruolo dei servizi segreti nella strategia stragista delle organizzazioni criminali italiane negli anni '90, viene propriodal processo di Reggio Calabria. Condannati in primo grado il boss di Brancaccio (Pa), Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, boss di Melicucco (Rc) ritenuti i mandanti degli omicidi di alcuni carabinieri tra il 1993 e il 1994. Gli omicidi in cui persero la vita gli appuntati Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, uccisi il 18 gennaio 1994 sull'autostrada Salerno-Reggio, rientravano pienamente nella strategia stragista decisa nel 1991 dalle cosche siciliane e calabresi. Si tratta degli ultimi fatti prima del fallito attentato allo stadio Olimpico di Roma, sempre contro i Carabinieri, il 27 gennaio 1994. In quel caso centinaia di chili di tritolo non esplosero, tecnicamente per un cattivo funzionamento del telecomando da innesco. Nel marzo del 1994, dopo la vittoria di Silvio Berlusconi alle elezioni politiche, si interrompono gli attentati. Nel processo d'appello "Ndrangheta stragista", sta emergendo con chiarezza il ruolo dei servizi segreti e degli ambienti neofascisti con le stragi del '92 e '93 ed i legami tra gli uomini degli apparati di sicurezza e i boss di mafia e ndrangheta.

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