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L’Unità a rischio chiusura (di nuovo). Perché salvarla ancora?

Il quotidiano fondato da Antonio Gramsci nel 1924 è a rischio chiusura: ha un mese scarso di vita. Se non troverà alcun acquirente o se non verrà salvata da un’ulteriore iniezione di fondi pubblici, a fine luglio chiuderà i battenti. Ma è il mercato, bellezza.
A cura di Charlotte Matteini
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L’Unità ha un mese scarso di vita. Se non troverà alcun acquirente o se non verrà salvata da un’ulteriore iniezione di fondi pubblici, a fine luglio chiuderà i battenti. Dispiace. Mi dispiace sempre quando chiude un quotidiano. Mi dispiace sempre quando una qualsiasi impresa che dà lavoro a delle persone e che produce ricchezza, economica e culturale, chiude. Ma la situazione dell’Unità è diversa da quella di ogni altra impresa italiana. L’Unità potrebbe ancora salvarsi, ma a spese dei soliti contribuenti. Ed è un vecchio vizio tutto italiano quello di voler salvare imprese fallimentari e decotte a tutti i costi. In queste ore sta girando sul web un video-appello strappalacrime girato dai giornalisti dell’Unità a rischio licenziamento. Una sorta di accattonaggio 2.0. Chiedono a Matteo Renzi di salvare lo storico giornale dalla chiusura. Ma perché?

Ma perché, mi chiedo io, Matteo Renzi dovrebbe salvarli a spese dei contribuenti? Perché Matteo Renzi dovrebbe utilizzare delle risorse economiche per mantenere in vita un’impresa che non si regge sulle proprie gambe e che da sempre vive di finanziamenti pubblici? Perché un’impresa editoriale dovrebbe avere una corsia preferenziale di salvataggio rispetto a una qualsiasi altra impresa italiana? Sì, è vero, ci sono dei lavoratori che rischiano il posto di lavoro, magari a 50 anni suonati. Rischiano il posto di lavoro presumibilmente per le pessime scelte strategiche del management dell’azienda, non per colpa loro. Ma perché per questi lavoratori dovremmo provare più compassione rispetto ai lavoratori di una piccola PMI italiana che fallisce perché schiacciata dal peso di una tassazione folle come quella italiana e che magari restano a casa senza alcun tipo di ammortizzatore sociale? Un giornalista o un poligrafico valgon più di un semplice operaio? Perché L’Unità dovrebbe essere favorita rispetto a un’altra qualunque azienda che chiude i battenti perché i clienti l’abbandonano giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, anno dopo anno, perché non la reputano più all’altezza dello standard ricercato?

Perché questo sta succedendo a L’Unità. L’Unità sta per fallire perché non ha abbastanza lettori. E’ un quotidiano che vive di fondi pubblici, non di libero mercato e nemmeno con le sovvenzioni statali è in grado di sopravvivere. Qualcuno potrà obiettare che la cultura non può essere assoggettata alle regole del liberismo. Non sarei d’accordo, ma non è questo il punto.
L’Unità non sta chiudendo perché da un giorno all’altro gli sono stati tolti i finanziamenti pubblici di cui gode. L’Unità sta chiudendo perché oltre agli svariati milioni che percepisce dalla Presidenza del Consiglio, oltre 53milioni negli ultimi 10 anni e che non bastano mai visto l’indebitamento folle della società editoriale, L’Unità sta chiudendo perché quasi più nessuno compra il giornale. E non è nemmeno la prima volta che accade. Nel 2000 L’Unità era sull’orlo del baratro, la tiratura colata a picco, arrivando a toccare le 28.000 copie giornaliere. E fallì. Oggi, nel 2014, è fallita de facto, toccando le 21.000 copie scarse. Dal 2010, la tiratura è passata da 44.450 a 20.937. Nel giro di 13 anni ha perso oltre 50.000 copie.

Sono stati proprio i lettori dell’Unità a decretarne il fallimento. E’ un fallimento di mercato, indifendibile da ogni punto di vista. Non vedo perché un'impresa editoriale debba avere in qualche modo una corsia preferenziale rispetto ad altre imprese e possa anche solo pensare di essere immune del fallimento qualsiasi cosa accada. Cari giornalisti dell'Unità, a me dispiace. Ma se una qualsiasi altra PMI fallisce, chiude. Non la salva nessuno. Non la sostiene nessuno. E non ci sono appelli che tengano.

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