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Il rapimento di Silvia Romano in Kenya

Cosa sappiamo sul rapimento di Silvia Romano: dopo 4 mesi aumentano i timori sulla sua sorte

Cosa sappiamo sul rapimento di Silvia Romano, la 23enne cooperante italiana scomparsa in Kenya ormai 4 mesi fa? Dopo i primi arresti messi a segno dalla polizia locale, le autorità del Paese africano mantengono il silenzio sulle condizioni della ragazza. Le ultime notizie ufficiali risalgono al 21 gennaio scorso e intanto aumentano i timori sulla sorte della giovane milanese.
A cura di Ida Artiaco
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Sono trascorsi quattro mesi, esattamente 127 lunghi giorni, dal rapimento di Silvia Romano, la volontaria italiana di 23 anni scomparsa in Kenya. Era il 20 novembre 2018 quando se ne sono perse le tracce nel villaggio di Chakama, a 80 chilometri da Malindi, dove era impegnata in un programma di aiuti per la onlus marchigiana Africa Milele. E mentre continua il braccio di ferro tra Italia e Kenya, per scoprire finalmente la verità su dove sia finita la ragazza, aumentano i timori sulla sua sorte. Lo stesso premier Giuseppe Conte ha dichiarato la scorsa settimana che" c’è stato un momento in cui sono stato confidente che si potesse avere un risultato positivo a portata di mano. I gruppi criminali sono stati individuati, ma non siamo ancora riusciti a venirne a capo e a raggiungere quel risultato per cui lavoriamo da mesi".

Le ultime notizie della polizia kenyota risalgono ormai allo scorso 21 gennaio, poi il silenzio. Solo tre giorni fa la magistratura italiana aveva inviato una nuova richiesta alle autorità locali per essere autorizzata a mandare un proprio pool di investigatori a Nairobi per indagare sulla vicenda, ma anche in questo caso non c'è stata risposta. Il pm Sergio Colaiocco, che indaga sul sequestro della cooperante di origine milanese, è ancora in attesa di una replica, dopo l'invio di una rogatoria internazionale con la quale si chiede di poter condividere, anche in assenza di un trattato di cooperazione tra i due Paesi, gli esiti degli accertamenti investigativi effettuati dalla polizia locale. La domanda a questo punto è: perché gli inquirenti e le autorità del Kenya si comportano in questo modo? Davvero non sanno come muoversi oppure cercano di nascondere qualcosa? Ecco una breve ricostruzione del sequestro di Silvia Romano.

Il sequestro di Silvia e i primi arresti

La notizia della scomparsa di Silvia Romano è stata diffusa il 20 novembre 2018: la ragazza, milanese di 23 anni e volontaria di una onlus marchigiana, è stata sequestrata in Kenya, precisamente a Chakama a 80 chilometri da Malindi. Nell'attacco, effettuato con kalashnikov, sono rimaste ferite 5 persone. Non è chiaro chi abbia rapito la giovane anche se nella zona ci sono stati sequestri di stranieri da parte di fondamentalisti islamici con base in Somalia. Per cui, la prima pista che gli inquirenti decidono di seguire è proprio quella dei gruppi terroristici vicini ad Al Shabaab, il gruppo di integralisti islamici somali che da anni seminano il terrore nella zona. Intanto, anche la Procura di Roma apre un fascicolo per sequestro di persona a scopo di terrorismo. A gestire le indagini è il sostituto procuratore Sergio Colaiocco. Della vicenda si occupa il Ros dei Carabinieri che, su delega della Procura, è in contatto con le autorità del Kenya per uno scambio di informazioni. La prima svolta arriva due giorni dopo il rapimento, con l'arresto di 14 persone, che sarebbero collegate a vario titolo ai sequestratori. La polizia locale esprime più volte il suo ottimismo sulla risoluzione del caso, dopo il fermo di altro persone che "potrebbero fornire informazioni utili per salvare la ragazza", ma di fatto non c'è nessuna certezza.

L'annuncio della polizia locale: "Silvia è viva"

Buone notizie arrivano subito dopo quella degli arresti effettuati dalla polizia kenyota. Addirittura il capo delle forze dell'ordine, Noah Mwivanda, dichiara il 24 novembre 2018, a 4 giorni dalla sua sparizione, che Silvia è viva. Il funzionario di polizia spiega anche che il sequestro sarebbe stato compiuto da un commando di otto uomini, che dopo aver rapito la 23enne si sarebbero divisi consegnandola a un gruppo di altre tre persone. Le autorità si starebbero avvalendo nelle loro ricerche delle più sofisticate tecnologie, e probabilmente proprio grazie a dei visori termici – in grado di rilevare il calore dei corpi anche nella foresta – sarebbe stato individuato il luogo in cui i rapinatori nascondono la cooperante. È questa la prima dichiarazione ufficiale da parte delle autorità del Paese africano, come riporta La Repubblica.

Il giorno seguente vengono diffusi volti e nomi dei rapitori, annunciando al contempo una taglia sulla loro testa dal valore di un milione di scellini locali, pari a circa 8500 euro ciascuno, e viene addirittura arrestata la moglie di uno dei sospetti. Si tratta di Said Adan Abdi, Ibrahim Adan e Yusuf Kuno: proprio questi tre terrebbero Silvia segregata in una zona che gli inquirenti hanno individuato e che stanno controllando anche con l'ausilio della popolazione locale. Ma purtroppo della ragazza ancora nessuna traccia. Il 28 novembre arriva poi la notizia dell'avvistamento della 23enne con i suoi rapitori nel villaggio di Bombi, nel distretto di Kilifi, nell'est del paese, come riporta l'emittente televisiva Ntv secondo cui gli abitanti del villaggio, distante non molti chilometri da Malindi, hanno confermato alla polizia di aver visto la ragazza entrare nella foresta con i suoi rapitori, tre uomini già identificati e ora ricercati dalla polizia. Intanto, l'ipotesi del coinvolgimento dei terroristi di Al Shabaab nella vicenda comincia a tramontare, mentre sembra ormai certo che a rapirla sia stato un gruppo improvvisato, che puntava a un sequestro lampo.

Il silenzio delle autorità kenyote e le richieste dall'Italia

Poi, gradualmente comincia il silenzio della autorità locali sul rapimento di Silvia. Qualcosa non quadra già dopo i primi arresti: i carabinieri del Ros chiedono di andare in Kenya e di verificare tutte le prove raccolte fino a quel momento, come del resto è sempre accaduto in passato in occasione di altri rapimenti di italiani all’estero. In alcune lettere è stato sottolineato come la cooperazione tra investigatori potrebbe rivelarsi determinante anche per verificare l’ipotesi che Silvia sia stata "venduta" dalla banda a un gruppo terroristico di Al Shabaab e trasferita in Somalia. Ma le pressioni italiane non sono accolte. Persino la rappresentanza diplomatica italiana, come riporta l'Agi, è all'oscuro di come stiano procedendo le indagini. L'ultimo contatto ufficiale con la polizia locale si è avuto lo scorso 21 gennaio, quando i funzionari hanno dichiarato che Silvia si troverebbe in Kenya, e non in Somalia, e che continua a esserci un certo ottimismo sul ritrovamento della ragazza sana e salva. Poi il silenzio. Per questo alla metà del mese di marzo la Procura di Roma è tornata ad insistere per essere messa al corrente di cosa sta succedendo e per indagare direttamente sul caso. Intanto, il presidente della Repubblica, Sergio Matterella, il 15 marzo ha assicurato che "l’attenzione, l’ansia e l’impegno sono inalterati, altissimi e al massimo livello per poterla presto rivedere in Patria", segno che è nell'interesse di tutto il Paese riportare Silvia a casa.

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