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Notizie su Alessandro Leon Asoli

Avvelenata dal figlio con le penne al salmone: “Una cosa folle, non erano più i suoi occhi”

“Eppure il veleno te l’ho dato, perché non muori?”: è la frase che Monica Marchioni, madre di Leon Asoli, condannato a 30 anni per la morte del patrigno la sera del 15 aprile 2021, vicino Bologna, non potrà mai dimenticare. In appello il giovane ha confessato. “Ma si è pentito oppure no?” continua a domandarsi la donna.
A cura di Beppe Facchini
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Sono passati esattamente due anni dal 15 aprile 2021, quando Alessandro Leon Asoli, all'epoca appena 19enne, ha prima cercato di avvelenarla con un piatto di penne al salmone al nitrito di sodio e poi ha provato ad ucciderla soffocandola.

Eppure il veleno te l'ho dato, perché non muori?”. Nella mente di Monica Marchioni, sua madre, queste parole continuano a rimbalzare ancora oggi. “Credo che non lo dimenticherò mai” conferma a Fanpage.it la 58enne bolognese, sopravvissuta al tentato omicidio da parte del figlio, ma non ancora pronta a perdonarlo. Suo marito, Loreno Grimaldi, pur di far contento il ragazzo, che quella sera aveva cercato in tutti i modi di farci questa cena, quasi come un regalo visto che non preparava mai da mangiare”, quelle penne apparentemente solo troppo salate le ha invece ingerite tutte.

Loreno è morto poco dopo, mentre la donna, dopo dieci giorni in rianimazione, ha dovuto affrontare non solo un lento percorso, ancora in corso, per riemergere dal dramma vissuto, ma anche un processo lungo due anni e terminato con la recente sentenza della Corte di assise di appello di Bologna che ha confermato il primo grado: Asoli è stato condannato a 30 anni di carcere. E nel corso dell'udienza ha inoltre confessato per la prima volta il suo piano di morte, partorito per questioni legate all'eredità.

“Non me l'aspettavo dopo mesi e mesi di cattiverie nei miei confronti – commenta la madre – e in questi giorni ho riflettuto molto: il pentimento non c'era, ma c'era solo la confessione. Lui non voleva me, lui probabilmente voleva confessarsi perché era in Appello. Sperare un giorno di riabbracciarlo? È dura. Adesso non lo so, sono cose che vanno elaborate molto bene”.

“Quando ho saputo della sua confessione ho avuto un malore – racconta ancora Monica – subito il pensiero è stato: poverino, è là da solo. Perché il padre, dopo averlo accompagnato per tutto il primo grado, quel giorno non c'era”. Non solo. Dentro di lei, che oggi vive dalla parte opposta di Bologna rispetto alla vecchia abitazione di Ceretolo, dove è avvenuta la tragedia, subito dopo i primi istanti di “gioia, perché forse si è pentito”, nel corso dei giorni è arrivato un altro pensiero, completamente diverso. Anche se la speranza è che qualcosa possa cambiare.

“Il pentimento mi farebbe bene, molto, ma non so se riuscirei a crederci. Non vorrei che questo mi portasse ad un dualismo interiore che già ho tante volte. Si è pentito oppure no? È vero o no?” continua a domandarsi la donna. “Certo che lo vorrei” sottolinea. E a proposito del suo “ragazzo” (come lo ha sempre chiamato), nato da una relazione precedente, dice: “Vorrei fermare tutto forse agli anni del liceo, quando era un ragazzo bellissimo, sorridente, solare, simpatico. Era meraviglioso. Cosa mi manca di più? Il suo odore”.

Del marito invece, sposato qualche anno fa e con cui Alessandro Leon, assicura, ha sempre avuto un ottimo rapporto, “mi manca tutto. Discutevamo spesso, eravamo un po' come Sandra e Raimondo. Però mi faceva ridere, io gli davo la forza e lui era davvero la mia struttura, le mie fondamenta. Ci siamo conosciuti a cinquant'anni, il nostro era un matrimonio d'amore. Certo, non c'erano le farfalle dei ventenni, ma era un amore molto più forte, concreto”.

Monica Marchioni (a sinistra) e Loreno Grimaldi (a destra)
Monica Marchioni (a sinistra) e Loreno Grimaldi (a destra)

Quegli occhi non erano i suoi racconta ancora Monica, riavvolgendo il nastro a quella sera, dopo la cena servita a tavola dal 19enne. “Mio marito ha mangiato questo piatto di penne al salmone per farlo contento, perché altrimenti non si spiega. Erano veramente orrende, io appena le ho assaggiate ho sentito subito un sapore acre, con un retrogusto di ammoniaca -prosegue. Questo mi ha spaventato molto, tanto da lasciarle”.

Poi Asoli “ha fatto un po' di scena, per distrarmi, per fare in modo, molto probabilmente, che mio marito morisse. Lui si era alzato da tavola dicendo di avere giramenti di testa, se n'era accorto. Così mi ha tenuta in camera cercando la mia comprensione. Io pensavo a lui perché mi sembrava talmente disperato da questo fallimento di cucina che volevo coccolarlo”. Dopo però “ha cercato di avvelenarmi di nuovo. Quando ho iniziato a stare male è venuto in bagno con un bicchiere che pensavo fosse una limonata, un Diger Selz, invece durante il processo ho scoperto che era veleno, con una percentuale che avrebbe potuto uccidere anche altre persone, non solo una”.

Poi ha cercato di soffocarmi, di picchiarmi per farmi stare zitta, perché io urlavo forte – continua nel suo drammatico racconto – finché sono stata con lui ero lucida, anche se mi girava tantissimo la testa. Anche se c'è stato un momento, quando ci siamo fermati e mi ha liberata, l'ho guardato un po' come se stesse scherzando. Era talmente folle quello che stava accadendo che ho pensato giocasse, una cosa assurda”, ripete.

Leon Asoli
Leon Asoli

“La cosa che fin dall'inizio non ho mai avuto nel mio cuore è stata la rabbia – dice ancora Marchioni – tutto avrei immaginato tranne che lui sarebbe venuto in tribunale accusando me. Lui, l'avvocato e suo padre: anche questo mi ha fatto tanto male. Io al padre quella notte avevo chiesto aiuto. E non mi aspettavo di trovarmeli contro in una cosa così meschina, perché ero già vittima di un disastro terribile”.

Lentamente, però, Monica sta cercando di venirne fuori, anche grazie (anzi, “in primis”), ad una “psicoterapeuta bravissima, che mi è stata vicina sempre, compreso nei momenti veramente bui”. Come quando ha cercato di “raggiungere mio marito. Lei mi ha salvata”. Altro ruolo importante per ricominciare è stato “un percorso spirituale che ho intrapreso e che devo dire mi ha aiutata tantissimo”.

Da quel giorno, lei e suo figlio si sono rivisti solo in due occasioni, in tribunale. “La prima volta la mia reazione non è stata sicuramente bella e neanche quella che mi aspettavo – ricorda infine Monica Marchioni – mi sono sentita male. Avrei avuto voglia di abbracciarlo. La seconda volta ci siamo incrociati gli sguardi ma lui mi ha guardato come se non vedesse nessuno”.

“Se mi manca essere chiamata mamma? Si, tantissimo– conclude – quando sento qualcuno che chiama mamma, anche le mie amiche coi figli, mi si stringe il cuore in una morsa che non riesco neanche a descrivere”.

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