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Aldo Naro, il medico ucciso in discoteca a Palermo, i familiari: “È morto a 25 anni senza motivo”

Una lettera pubblicati su Facebook dai familiari per ricordare il giovane ucciso in seguito a una rissa avvenuta nella discoteca Goa dello Zen di Palermo il 14 febbraio del 2015: “Sono passati 8 anni e non c’è ancora giustizia. Nessuno racconta la versione reale di quanto accaduto”
A cura di Biagio Chiariello
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Sono passati esattamente otto anni da quando Aldo Naro, il giovane medico originario di San Cataldo, che 8 anni fa morì in seguito a una rissa scoppiata nella discoteca Goa di Palermo. E mentre è ancora in corso il processo che vede imputati per omicidio tre buttafuori del locale, la sua famiglia non riesce ancora a trovare pace.

"Ciao, sono Aldo Naro. Sono morto da solo per un motivo a me sconosciuto. Da otto anni la mia storia non riesce ad avere giustizia. Di tutti i presenti, nessuno ha dato la versione reale di quello che mi è successo. Da otto anni i miei genitori vanno di udienza in udienza, da processo a processo in virtù della speranza, la speranza che i miei assassini paghino col carcere per ciò che mi hanno fatto. Quanto deve aspettare una persona, un uomo, un medico incensurato per avere giustizia" si legge nel messaggio diffuso su Facebook per ricordare il giovane.

Una lettera scritta da chi lo amava che ha immaginato fosse proprio Aldo a raccontare in prima persona il dramma vissuto, dall'aggressione mortale fino ad oggi.

La vicenda è infatti tutta ancora da chiarire: a uccidere il 25enne non sarebbe stato un solo calcio alla testa, ma numerosi colpi ricevuti da più aggressori. L’anno scorso, grazie a nuove indagini e nuove perizie, una riesumazione del cadavere e una nuova autopsia il gup del Tribunale di Palermo Rosario Gioia ha rinviato a giudizio con l’accusa di omicidio volontario in concorso tre buttafuori della discoteca dello Zen.

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Questo il ricordo di quella tragica sera, con la rissa, poi il pestaggio. “Sono stato ucciso a calci nella mia parte più preziosa nella mia testa, sono stato preso alle spalle, sono stato buttato a terra, mi hanno dato calci in testa, nelle costole perforandomi il polmone, mi hanno rotto il naso, schiacciato le dita, mi hanno rotto l’osso del collo a furia di calci, cercavo di dire basta, di tirarmi su, cercavo di chiedere aiuto ai miei amici” si legge nel documento.

E poi ancora, “Sono morto soffocato dal mio stesso sangue. In tutto ciò, nessuno ha fatto niente per me, ma non avrei mai chiesto da medico che qualcuno donasse la sua vita per me, ma nessuno, neanche i miei colleghi hanno saputo prestarmi soccorso nessuno mi ha aiutato, tutte le persone intorno a me si sono limitate a guardare, senza emozioni, quello che mi stava accadendo”.

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Una vita spezzata dalla furia assassina senza un vero perchè.

“In pochi minuti sono stati cancellati tutti i miei giorni futuri senza pensarci due volte, sono morto da solo su un marciapiede del giardino interno di una discoteca al freddo, in camicia, buttato fuori a calci con plurime emorragie cerebrali, sono morto da solo per un motivo a me sconosciuto. Da 8 anni la mia storia non riesce ad avere giustizia. Di tutti i presenti, nessuno – e dico nessuno – ha dato la versione reale di quello che mi è successo. Da 8 anni i miei genitori vanno di udienza in udienza, da processo a processo in virtù della speranza che i miei assassini paghino col carcere per ciò che mi hanno fatto”.

Quindi lo sfogo: “Quanto deve aspettare una persona, un uomo, un medico incensurato per avere giustizia? Per lo Stato vale così poco la vita di una persona? Io volevo soltanto essere una brava persona e un bravo medico. Non avevo fatto nulla di male per meritare una fine così disumana”.

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